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Quando la produzione di un evento dannoso, nella complessità di tutte le sue conseguenze negative, appare riconducibile alla concomitanza di più fattori causali – sia che abbiano concorso a produrre il fatto dannoso in sé, sia che uno di essi abbia inciso esclusivamente nell’aggravare le conseguenze che si sarebbero autonomamente prodotte – ogni fattore causale dev’essere autonomamente apprezzato per determinare in che misura abbia contribuito al verificarsi dell’evento: sia che abbia operato come concausa, sia che possa aver dato luogo ad un autonomo segmento causale, provocando conseguenze più gravi di quelle che si sarebbero verificate in mancanza di esso.

Così si è espressa la Terza Sezione civile della Corte di Cassazione, pronunciandosi in un caso di responsabilità da cose in custodia (ordinanza n. 15513/2024 – testo in calce).

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Ribadendo l’orientamento giurisprudenziale sul tema, la Corte ha cassato la pronuncia di merito ritenendo marginale il concorso di colpa del danneggiato nella produzione dell’evento dannoso e reputando invece determinante l’omessa, adeguata custodia del bene da parte della società preposta.

Il caso

Gli eredi di un uomo convenivano in giudizio Anas Spa, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per responsabilità ex art. 2051 c.c., conseguenti al decesso del loro congiunto.

Questi, alla guida della propria auto lungo l’autostrada A19, era uscito dalla sede stradale, non protetta da guardrail, e si era scontrato contro un albero posizionato a distanza inferiore a quella di legge. 

Anas si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto delle domande attoree e sostenendo che il sinistro era imputabile alla condotta di guida imprudente dell’automobilista.

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Danno e Responsabilità, di Autori AA. VV., Ed. IPSOA, Periodico. Problemi di responsabilità civile e assicurativa e tematiche del risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale.
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Il Tribunale di Palermo accoglieva parzialmente la domanda degli eredi ravvisando tuttavia un concorso di colpa dell’automobilista. Condannava quindi la società a risarcire il danno subito dagli attori iure proprio ed equitativamente liquidato in base alle tabelle del Tribunale di Milano, respingendo però la richiesta avanzata iure hereditatis, con parziale compensazione delle spese di causa. 

La decisione veniva impugnata dagli eredi ma senza successo, per cui questi ricorrevano per cassazione.

I motivi di ricorso

In sede di ricorso contestavano innanzitutto la sussistenza di un concorso di colpa del proprio congiunto, la cui condotta di guida, non abnorme, non poteva invece porsi in correlazione causale con la collisione fatale.

Secondo le risultanze probatorie, la doverosa apposizione di una barriera protettiva al margine della carreggiata avrebbe infatti evitato la fuoriuscita del veicolo, indipendentemente dalla velocità di quest’ultimo. Inoltre il CTU aveva rilevato che, anche ad una velocità d’impatto maggiore, addirittura doppia rispetto a quella accertata, una barriera di sicurezza (anche di classe minima) avrebbe potuto contenere l’autovettura entro la carreggiata.

Responsabilità da cose in custodia e nesso eziologico in concomitanza di più fattori

Secondo la Cassazione il ricorso è fondato. I giudici ribadiscono che la responsabilità da cose in custodia discende dall’oggettivo rapporto di custodia del bene nelle sue condizioni e concerne l’evento dannoso ad esso causalmente riconducibile.

Nel caso di specie era stata accertata in primo grado (e mai successivamente censurata) la responsabilità ex art. 2051 c.c. di Anas per aver omesso di custodire la strada con modalità tali da prevenirne le intrinseche potenzialità dannose in rapporto alle sue condizioni obiettive. 

In particolare la società non aveva apposto barriere adeguate a protezione di un pericolo “atipico” (l’albero posto in prossimità della carreggiata, a distanza inferiore a quella prescritta), evento al quale, secondo i giudici, vanno causalmente collegati la successiva collisione del veicolo con la pianta e la morte del conducente. 

Per alterare il rapporto eziologico tra la cosa custodita (e l’omissione di custodia) e l’impatto contro l’albero, andrebbe infatti ipotizzato che la velocità, o comunque la condotta di guida dell’automobilista, si inserisca, quale fattore concorrente, nel decorso causale che ha condotto all’evento fatale, circostanza smentita anche dalla CTU. 

Va infatti tenuto a mente l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, quando la produzione di un evento dannoso è riconducibile alla concomitanza di più fattori causali, siano essi concorrenti o uno di essi esclusivo nell’aggravare le conseguenze che si sarebbero autonomamente prodotte, ogni fattore dev’essere apprezzato autonomamente, per determinare in che misura abbia contribuito al verificarsi dell’evento (così Cass., Sez. 3, ordinanza n. 22801 del 29/09/2017).

Conclusioni

Nel caso di specie, conclude la Cassazione, la Corte territoriale ha erroneamente identificando la perdita di controllo del veicolo da parte del conducente come primo fattore della sequenza causale, facendovi seguire la mancata predisposizione di barriere protettive da parte del custode in termini di concausa.

Avrebbe invece dovuto considerare come possibile inizio e causa dell’intera sequenza l’omessa custodia da parte dell’Anas, nel senso sopra indicato – vale a dire di custodia senza adozione degli accorgimenti idonei ad evitare le potenzialità dannose del bene – e svolgere un giudizio controfattuale sulla carenza del guardrail.

Un apprezzamento, secondo la Cassazione, del tutto inadeguato e non corretto circa l’incidenza del fattore causale sulla sequenza di conseguenze poi esitate nella morte dell’automobilista, che ha quindi legittimato l’accoglimento del ricorso, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di Palermo in diversa composizione.

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