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Si studiava a scuola, e i libri lo raccontavano come un fenomeno ricorrente e costante, un po’ come il succedersi delle stagioni. Invece la crisi climatica è riuscita a stravolgere anche lei, la corrente del Golfo: sempre più debole, a causa di afflussi massicci di acqua dolce. A questo cambiamento dalle conseguenze imprevedibili il giornalista ambientale Lorenzo Colantoni, consulente per agenzie Onu quali Unicri e Unodoc e ricercatore dell’Istituto affari internazionali (Iai), nonché documentarista sul campo, ha dedicato il libro Lungo la corrente. Viaggio nell’Europa che affronta il cambiamento climatico (Laterza). “È un libro”, spiega l’autore, “che si svolge su due direttive: una scientifica, ovvero il racconto di un tema legato al cambiamento climatico che ha incredibilmente poca rappresentazione, perché la ricerca è relativamente recente. L’altra umana, nel senso che, a mio avviso, le questioni ambientali non devono più essere spiegate dal punto di vista della spiegazione scientifica, pure fondamentale, ma anche attraverso l’interazione con la società, l’economia, la politica, perché le nostre società stanno cambiando e cambieranno ancora di più. Per questo ho deciso di fare un viaggio nei Paesi toccati da questo fenomeno”.

Può spiegarci anzitutto cos’è la corrente del Golfo?
Esiste un sistema di correnti, una sorta di sistema circolatorio, un nastro trasportatore del calore. Questo sistema regola una parte del clima globale. La corrente del Golfo parte dal Golfo del Messico, appunto, arrivando fino all’Europa e proseguendo verso nord, diventando via via più fredda. Sappiamo che l’Europa è un continente più mite grazie a questa corrente, altrimenti, ad esempio, il Regno Unito sarebbe come il Canada.

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Cosa le sta succedendo?
Le correnti si muovono grazie ad un mix di temperatura e di salinità. A causa del cambiamento climatico, però, noi stiamo immettendo quantità enormi di acqua dolce dentro l’oceano, quelle che arrivano dai ghiacciai che si sciolgono, soprattutto dalla Groenlandia. Poi ci sono fattori che non sappiamo quantificare, ad esempio non sappiamo quante precipitazioni ci sono in mezzo al mare, cioè quanta acqua dolce arriva dalle piogge. Ciò che sappiamo però è che la corrente del Golfo è alla sua velocità più bassa degli ultimi 1.600 anni.

Con quali conseguenze?
Anzitutto, i tempi. Quando l’Ipcc parlava di collasso della corrente del Golfo si riferiva a un intervallo di tempo di circa settecento anni. Ma i nuovi modelli e dati hanno cambiato l’orizzonte temporale, mettendolo tra circa 50-100 anni, dunque questa catastrofe potrebbe essere, letteralmente, domani. Ci sono già delle conseguenze ora e soprattutto per il futuro, anche se ancora se ne sa poco. Tuttavia secondo alcune ricerche fatte nel Regno Unito, questo Paese, senza corrente, e in un mondo surriscaldato, andrebbe sotto di 6 gradi di temperatura. Ma la cosa più grave è che le precipitazioni sarebbero così alterate che in pratica non ci sarebbero terre arabili senza irrigazione. Una sorta di tundra gelata, un deserto freddo, con impatti giganteschi su flora e fauna.

Anche l’Italia sarebbe impattata?
Sì, soprattutto sul discorso delle precipitazioni, perché la corrente funziona da regolatore delle piogge, l’agricoltura ne sarebbe fortemente impattata, anche se non sappiamo come. Per dare un’idea, però, è come se avessimo due rubinetti, uno di acqua bollente, l’altra freddissima ma non potessimo miscelarli.

Ci sono altri effetti nel mondo?
Sì, anche sull’Africa e l’America Latina. Ma anche sugli Stati uniti: la corrente è una sorta di fiume che entra nell’oceano, ma questo fiume è sempre più vicino e concentrato sulla corrente statunitense, perché poiché la corrente va sempre meno veloce tende ad arenarsi lì, e questo causa ondata di calore sempre più devastanti ed eventi estremi, come tifoni e uragani. Anche su altri Paesi, come sulla Scandinavia, l’effetto sembra essere quello di una estrema mitigazione, un riscaldamento invece che il contrario.

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Lei ha viaggiato anche lungo l’Europa toccata dalla corrente.
Sì anche se il viaggio non è stato solo per vedere questi effetti, ancora non chiari, ma per cercare di capire se l’Europa è pronta e come stiamo reagendo. Sono andato nelle Azzorre, anzitutto, e ho conosciuto le comunità degli ex balenieri che aiutano i ricercatori che studiano come il rallentamento della corrente stia cambiando le rotte. E come si possono trovare alternative economica per isole che altrimenti avrebbero solo il turismo.

E successivamente?
Mi sono recato in Spagna, dove avanzano i deserti, nonostante l’agricoltura intensiva. E sono andato a Doñana, dove c’è la più grande area umida d’Europa e dove c’è una sorta di guerra dell’acqua. Con coltivatori che la sottraggono all’area umida e che sono difesi però dalla destra, e uno scontro tra coltivatori legali e non legali. Quindi sulla Manica. Altra tappa del viaggio è stata la Scozia, dove ho visto con i miei occhi un mondo nato dalle miniere di carbone e dal petrolio e che ora ha abbandonato i combustibili fossili: il primo vero laboratorio a cielo aperto delle rinnovabili. Infine, ho incontrato gli indigeni che vivono nell’Artico, dove si sta aprendo una nuova via della seta grazie allo scioglimento dei ghiacci. Questi indigeni vivono dell’allevamento delle renne, ma in un Artico che si scioglie è tutto più difficile. Infine le isole Svalbard, che non hanno più ghiacci.

Lei ha visto anche come l’Europa sta cercando di reagire alla crisi climatica: è ottimista?
Quello che posso dire è che non ho mai incontrato persone sconfitte. C’è una generazione di europei che nonostante la gravità di ciò che sta accadendo ha capito la crisi climatica e cerca di combatterla. Anzi, nonostante il mio timore di incontrare dei negazionisti, appena mi sono allontanato dalle città non ho mai trovato persone di questo tipo. C’è chi ha qualche dubbio sulle rinnovabili o è meno attento ma non esiste nessuno che neghi l’evidenza di ciò che sta accadendo. D’altronde se sei un agricoltore, ad esempio, vivi una guerra sul campo ogni giorno. Quindi tutti avvertono l’urgenza di questa battaglia, pure se non si definiscono ecologisti o ambientalisti.

Cosa possiamo fare, anche per arginare lo stravolgimento della corrente del Golfo?
Il cambiamento si affronta con la mitigazione e l’adattamento. L’Europa può fare di più e meglio, dialogando con i partner extra europei, stringendo un’alleanza soprattutto con il Sud del mondo. Il messaggio del libro comunque è che ci dobbiamo adattare, rendendoci conto che i cambiamenti climatici sono già qui e quindi smettendo di pensare di essere nel mondo di trent’anni fa. Non servono solo opere tecnologiche come dighe e altri, ma anche riconoscere che non possiamo coltivare come un tempo né consumare nella maniera folle di prima. E dobbiamo apprendere soprattutto la convivenza, sia con la natura, sia tra di noi.



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