Quando si parla di immobili collabenti ci si riferisce a quelle costruzioni che fanno parte della categoria catastale F/2 e che di fatto non possono essere abitate o utilizzate. Ma perché tali fabbricati sono interessanti? Innanzitutto, perché il loro numero contribuisce a fotografare la condizione in cui versa il patrimonio immobiliare italiano e poi perché delinea quali possono essere le conseguenze sulle aree in cui tali edifici insistono. Vediamo dunque qual è la situazione nel nostro Paese grazie ai dati diffusi dall’Agenzia delle Entrate tramite le “Statistiche catastali 2023” pubblicate lo scorso 18 luglio.
I dati dell’Agenzia delle Entrate sugli immobili appartenenti alla categoria catastale F
Lo scorso luglio, l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato la diciassettesima edizione delle “Statistiche catastali”, che rappresenta una sintesi completa sull’entità e le caratteristiche dello stock dei fabbricati, così come censito nella banca dati del Catasto Fabbricati aggiornato al 31 dicembre 2023. Le informazioni contenute nella pubblicazione riguardano un totale di oltre 78 milioni di beni fra unità immobiliari urbane e altre tipologie immobiliari che non producono reddito.
Per quanto riguarda, in particolare, gli immobili censiti nel gruppo F è emerso che si tratta di oltre 3,7 milioni edifici (per l’esattezza 3.752.254), i quali rappresentano unità prive di reddito. Rispetto al 2022, nel 2023 lo stock complessivo del gruppo F è aumentato dell’1,4%.
Per la maggior parte si tratta di aree urbane (F/1) e lastrici solari (F/5), che non costituiscono pertinenze e dipendenze di unità immobiliari urbane. Ci sono poi le unità in corso di costruzione (F/3), di definizione (F/4) o in attesa di dichiarazione (F/6), cioè unità che trovano in queste categorie una collocazione temporanea alla quale dovrà seguire una classificazione rispondente alle definitive caratteristiche che assumeranno quegli immobili.
Ma la categoria catastale F comprende anche le unità collabenti o i cosiddetti immobili fatiscenti (F/2). E proprio i dati relativi a questa tipologia di fabbricati raccontano qualcosa a cui prestare attenzione.
Si ricorda che all’interno del gruppo F si trovano le categorie catastali F/1 – Area urbana; F/2 – Unità collabente; F/3 – Unità in corso di costruzione; F/4 – Unità in corso di definizione; F/5 – Lastrico solare; F/6 – Fabbricato in attesa di dichiarazione; F/7 – Infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione.
Immobili categoria F/2, quanti sono
Secondo quanto emerso dalle “Statistiche catastali” pubblicate lo scorso 18 luglio e il cui periodo di riferimento è l’anno 2023, le unità collabenti (F/2) – ossia quegli immobili che hanno perso la propria capacità reddituale – sono 620.003, in aumento dell’1,6% rispetto al 2022. Lo scorso anno, infatti, le unità collabenti erano 610.085.
Se poi si torna indietro nel tempo e ci si sposta a dieci anni fa (seguendo il periodo di riferimento), quindi al 2013, si vede che il numero degli immobili appartenenti alla categoria catastale F/2 è cresciuto in modo consistente. I dati relativi alle unità collabenti contenuti nelle “Statistiche catastali” relative al 2013, infatti, parlavano di 420.200 fabbricati.
La situazione appare più preoccupante se si considerano i dati registrati a partire dal 2011. Un anno cruciale che ha segnato il prima e il dopo Imu. L’imposta municipale propria, infatti, è stata introdotta a partire dall’anno 2012, sulla base dell’art. 13 del D. L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, in sostituzione dell’imposta comunale sugli immobili (Ici).
In particolare, secondo quanto sottolineare dalla Confedilizia all’indomani della pubblicazione delle “Statistiche catastali” relative al 2023, dal 2011 gli immobili ridotti alla condizione di ruderi sono più che raddoppiati, passando da 278.121 a 620.003, con un incremento del 123 per cento.
Ma perché deve preoccupare questo aumento? Come spiegato dall’Organizzazione dei proprietari di casa, questa situazione ha evidenti conseguenze sulle aree in cui tali edifici insistono, creando un serio problema di degrado urbano e sociale. Confedilizia ha infatti sottolineato che “si tratta di immobili, appartenenti per il 90 per cento a persone fisiche, che pervengono a condizioni di fatiscenza per il solo trascorrere del tempo o, in molti casi, in conseguenza di atti concreti dei proprietari (ad esempio, la rimozione del tetto) finalizzati a evitare almeno il pagamento dell’Imu”. A tal proposito, l’Organizzazione dei proprietari di casa ha ricordato che sono soggetti al pagamento dell’Imposta municipale propria anche i fabbricati definiti inagibili o inabitabili, ma non ancora considerati ruderi.
Attenzione però, perché per quanto concerne le unità collabenti riconosciute come tali, quindi come ruderi, l’Imu non è dovuta. A chiarirlo è stato il Ministero dell’Economia e delle Finanze con la risoluzione n. 4/2023, con la quale ha spiegato che “i fabbricati collabenti sono a tutti gli effetti dei fabbricati e la circostanza che siano privi di rendita li porta ad essere esclusi dal novero dei fabbricati imponibili ai fini Imu, che sono esclusivamente quelli con attribuzione di rendita, indice, quest’ultimo, sintomatico di capacità contributiva del bene soggetto a tassazione, in ossequio all’art. 53 della Costituzione”; e che “i fabbricati collabenti sono e restano ‘Fabbricati’, motivo per il quale non possono essere qualificati diversamente, come vorrebbero invece i comuni che li definirebbero ‘terreni edificabili’”.
Immobili collabenti, cosa sono
Gli immobili collabenti, la cui categoria catastale di riferimento è la F/2, sono quelle costruzioni che non possono essere utilizzate o abitate a causa di problemi strutturali, impiantistici o di altro tipo. In particolare, la categoria catastale F/2 si riferisce a quelle unità immobiliari che non producono reddito: immobili diroccati; immobili fatiscenti; ruderi; immobili parzialmente demoliti; immobili con tetto crollato; beni immobili con notevole degrado che determina assenza di autonomia funzionale e incapacità reddituale.
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