In tema di immigrazione clandestina, è da considerare come trattamento inumano l’avere trasportato, a bordo di un natante, un numero considerevole di migranti, costretti a sopportare, sottocoperta, un lunghissimo viaggio con condizioni di mare particolarmente avverse. Questo è quanto emerge dalla sentenza 24 luglio 2024, n. 30380 (testo in calce) della Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione.
Il caso vedeva due uomini essere condannati per il reato di cui agli artt. 110 c.p., e 12, comma 1, 3-bis, in relazione al comma 3, lettere a, b, c, d e 3-ter D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, per avere organizzato ed effettuato, in concorso tra loro e con altri soggetti non identificati, il trasporto di 78 cittadini extracomunitari nel territorio dello Stato, a mezzo di natante partito dalle coste turche.
Con ricorso per cassazione gli imputati contestano, sostanzialmente, il riconoscimento delle circostanze aggravanti di cui all’art. 12, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, in quanto non era stata data prova della effettiva nazionalità dei 78 migranti presenti a bordo dell’imbarcazione in quanto tutti dichiarati sedicenti ed identificati sommariamente con generalità fornite dagli stessi in assenza di perquisizione sulla persona, e non vi era stato alcun trattamento inumano o degradante, non avendo riferito, gli stessi migranti, di avere subito o assistito ad episodi di violenza, senza considerare che i migranti si trovavano nelle medesime condizioni dei due imputati, perfettamente consapevoli delle condizioni di viaggio che avevano accettato, pagando una considerevole somma di denaro ai trafficanti, unici e veri responsabili dell’organizzazione del viaggio.
Veniva, inoltre, contestato il mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’articolo 114 c.p., in quanto gli imputati non avevano accettato spontaneamente di condurre il natante verso le coste europee, ma vi erano stati costretti al fine di evitare conseguenze per la loro incolumità e di quella degli altri soggetti trasportati senza ottenere alcun vantaggio personale o patrimoniale.
Secondo gli ermellini, i giudici del merito avevano ricostruito in maniera ineccepibile il fine di profitto che aveva animato le condotte dei ricorrenti posto che era stato provato che gli organizzatori del viaggio avevano prospettato, quale corrispettivo per l’attività di scafisti, una somma ingente di denaro. A tal proposito, l’ipotesi di cui all’art. 12, comma 3-ter, D.Lgs. n. 286 del 1998, è integrata anche nel caso di profitto indiretto, avendo chiarito la giurisprudenza di legittimità, che per tale deve intendersi una aspettativa di arricchimento anche non di natura economica ma comunque identificabile in un vantaggio apprezzabile, non necessariamente connesso all’ingresso contra ius dello straniero favorito (Cass. Pen., Sez. I, 19 marzo 2013, n. 15939). Senza considerare che l’aggravante in oggetto non richiede l’ingiustizia del profitto, e non implica un approfittamento della situazione di debolezza dello straniero, ma presuppone solo che il reo abbia inteso trarre un qualsiasi vantaggio dalla propria attività delittuosa.
La Corte EDU ha avuto modo di precisare che è da considerare trattamento inumano quello che infligge una sofferenza fisica o psicologica, se non una vera e propria violenza sul corpo della persona, di particolare intensità, capace di suscitare nella vittima sentimenti di paura ed angoscia (Corte Edu, 18 gennaio 1978, Irlanda c. Regno Unito), e che è trattamento degradante quello che cagiona una lesione particolarmente grave della dignità umana (Corte Edu, 16 marzo 2010, Orsus c. Croazia), che umilia o svilisce l’individuo, suscitando sentimenti di paura, angoscia o inferiorità capaci di infrangerne la resistenza morale e fisica (Corte Edu, 15 giugno 2010, Harutyunyan c. Armenia).
Anche la nostra giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare che costituisce trattamento inumano e degradante il caso in cui le persone trasportate, viste le dimensioni del natante, erano state stivate in spazi angusti per vari giorni in condizioni igienico sanitarie pessime (Cass. Pen., Sez. I, 22 aprile 2024, n. 26211)
In ossequio ai principi sanciti dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale, gli ermellini affermano il principio di diritto secondo il quale, in tema di immigrazione clandestina, al fine dell’integrazione della circostanza aggravante di cui all’art. 12, comma 3, lett. c), D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, è inumano il trattamento che abbia inflitto alla persona trasportata una sofferenza fisica o psicologica prolungata e di particolare intensità, capace di suscitare nella vittima sentimenti di paura ed angoscia, ed è degradante il trattamento tale da cagionare una lesione particolarmente grave della dignità umana, umiliando o svilendo l’individuo e suscitando sentimenti di inferiorità capaci di infrangerne la resistenza morale e fisica.
Nella fattispecie, considerata la natura e la durata della condotta e le particolari condizioni di debolezza, e di vera e propria soggezione dei migranti, si ritiene che le condotte contestate abbiano senz’altro integrato un trattamento inumano e degradante, in quanto l’essere stati costretti ad un lunghissimo viaggio sottocoperta, in condizioni di sovraffollamento in uno spazio ristretto, in assenza dei presidi di salvataggio e in presenza di condizioni meteo-marine avverse ha comportato per i migranti la prolungata sottoposizione a condizioni lesive della loro dignità ed idonee a cagionare sofferenze fisiche acute ovvero un verificabile trauma psichico conseguente a sentimenti di paura ed angoscia.
In merito al trattamento sanzionatorio, deve escludersi che possa trovare applicazione al caso di specie la circostanza attenuante di cui all’art. 114 c.p., in quanto la circostanza della partecipazione di minima importanza nella preparazione o nell’esecuzione del reato non trova applicazione, oltre che nell’ipotesi aggravata di cui all’articolo 112 c.p. (numero dei concorrenti pari almeno a cinque), quando il numero dei partecipanti al reato sia considerato come circostanza aggravante speciale, come previsto in materia di immigrazione clandestina (Cass. Pen., Sez. I, 23 aprile 2015, n. 37277).
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