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Tribunale di Napoli, Sentenza n. 3680/23 del 06-04-2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Ordinario di Napoli, IX Sezione Civile, in persona del G.M., dott. ### ha pronunciato, la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 14393/2019 del R.G.A.C., avente ad oggetto: “occupazione senza titolo di immobile e altre domande ”, pendente TRA ### (C.F. ###), elettivamente domiciliato in Napoli, alla P.zza G. Bovio n. 22, presso lo studio dell’Avv. ### che lo rappresenta e difende giusta mandato in atti

ATTORE


E ### (C.F. F###), elettivamente domiciliato in Napoli alla piazza ### n. 9 presso lo studio dell'avv.  ### che lo rappresenta e difende come da procura in atti CONVENUTO IN RICONVENZIONALE CONCLUSIONI: come da udienza di precisazione di conclusioni ### E DI DIRITTO DELLA DECISIONE La presente sentenza viene redatta in conformità a quanto disposto dall'art.  132 c.p.c., così come modificato dalla legge ### n. 69 (pubblicata sulla G.U. n. 140 del ### ed in vigore dal ### ), mediante la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione e con omissione dell'integrale svolgimento del processo. 
Con citazione ritualmente notificata il 30.03.2019 l'istante ha chiesto di dichiarare il convenuto occupante sine titulo del cespite sito in Napoli alla - 2 - via ### n. 43 - piano 2°- int, 8, censito nel N.C.E.U. di Napoli, a sezione urbana foglio PON 1, p.lla 629; con la conseguente condanna dello stesso al rilascio del predetto immobile ed al versamento della indennità di occupazione del cespite per la impossibilità di conseguire l'utilità normalmente ricavabile dall'immobile, parametrata al valore locativo del cespite nella misura di € 700,00 mensili dal 01.11.2009. 
La convenuta, costituitasi ritualmente in giudizio, ha impugnato le avverse domande, affermandone l'improcedibilità per sopravvenuta nullità della procedura di mediazione e, a sua volta, ha spiegato domanda riconvenzionale per vedersi riconoscere la proprietà del suddetto immobile in forza dell'intervenuta usucapione di cui favore ex art. 1158 c.c.. 
Prodotta documentazione, ammessa ed espletata prova testimoniale, la causa è stata riservata a sentenza con la concessione dei termini ordinari ex art. 190 c.p.c.. 
Ciò premesso, preliminarmente occorre verificare se la condizione di procedibilità, costituita dal tentativo di mediazione di cui al d.lgs. n. 28 del 2010, è stata soddisfatta, trattandosi di causa che rientra nel novero di materie per le quali è previsto il tentativo obbligatorio di mediazione. A tal riguardo l'eccezione di improcedibilità sollevata dalla parte convenuta per l'inosservanza del termine di durata massima del procedimento di mediazione, non può trovare accoglimento. Invero, per poter stabilire se si è verificata o meno la condizione di procedibilità della domanda giudiziale occorre guardare alla specifica previsione di legge, per cui l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda e tale condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo. Ne consegue che per voluntas legis la procedibilità della domanda viene a dipendere dal solo evento dell'esperimento del procedimento di mediazione e non dal mancato rispetto del termine di presentazione della domanda di mediazione o massimo di durata della stessa. Il che si raccorda con la natura non perentoria dei termini che scandiscono la disciplina della mediazione obbligatoria: d'altronde, in forza dell'art. 152, co. 2, c.p.c., i termini - 3 - stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori. In questo senso, seppur con riferimento al termine di introduzione della mediazione ### App. Milano 24/05/2017 per cui “La previsione del tentativo obbligatorio di mediazione nella fase preliminare di alcuni contenziosi civili, come imprescindibile condizione di procedibilità, rimane pur sempre una disciplina orientata a incentivare soluzioni delle controversie pacifiche e alternative alla giurisdizione, senza eccessiva compromissione del diritto di agire, il quale non potrebbe essere impedito frapponendo ulteriori ostacoli temporali o decadenze processuali incompatibili con il principio del giusto processo e con il diritto di libero accesso alla giustizia, di matrice costituzionale e convenzionale (v. art. 24 Cost. e art. 6 Convenzione dei diritti dell'###. 
In tal senso, l'eventuale termine per l'introduzione del procedimento di mediazione fissato dal Giudice non può avere natura di termine perentorio” Orbene, nel caso di specie, dagli atti acquisiti al giudizio si evince che la condizione di procedibilità è stata osservata, essendosi documentalmente provato che la procedura di mediazione è stata prima avviata e poi conclusa senza accordo, ancorchè elasso il termine (ordinatorio) massimo di legge. 
Ciò posto in rito, si esamina preliminarmente la domanda riconvenzionale - per evidenti ragioni di logica giudica - con la quale il convenuto ha chiesto il riconoscimento dell'intervenuta usucapione del cespite oggetto della rivendica attorea. 
Orbene deve ritenersi che l'allegato acquisto a titolo originario, nel quadro probatorio emerso dal presente giudizio, non si è realizzato per la carenza di prova dell'animus possidendi, elemento costitutivo indefettibile della cd.  prescrizione acquisitiva. 
Anzitutto occorre premettere che, in tema di usucapione immobiliare, l'acquisto a titolo originario della proprietà si concretizza con il possesso continuato ed ininterrotto del bene immobile per una durata non inferiore agli anni venti accompagnato dall'animus rem sibi habendi. Sotto il profilo - 4 - probatorio, il soggetto che ha l'interesse ad accertare la proprietà a titolo originario ha l'onere di dimostrare i requisiti del possesso necessari per l'usucapione, tra i quali anche la durata del possesso medesimo per il periodo prescritto dalla legge, in applicazione della regola generale sull'onere probatorio fissata dall'art. 2697 c.c.. Precipuamente, è necessario provare un possesso continuo, pacifico, pubblico, non interrotto, non equivoco, accompagnato dall'animo di tenere la cosa come propria, che si protragga per oltre venti anni, cui corrisponda per la stessa durata la completa inerzia del proprietario, il quale si astenga dall'esercitare le sue potestà e non reagisca al potere di fatto esercitato dal possessore. In particolare, il requisito della continuità, essenziale per la configurabilità del possesso “ad usucapionem”, si fonda sulla necessità che il possessore esplichi costantemente il potere di fatto corrispondente al diritto reale posseduto e lo manifesti con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità ed alla destinazione della cosa e tali da rilevare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria di fatto sulla cosa stessa, contrapposta all'inerzia del titolare del diritto. Ne consegue che chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito ovvero chi eccepisce detta circostanza, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del corpus, ma anche dell'animus, consistente nella volontà del possessore di comportarsi e farsi considerare come proprietario del bene, desumibile dalle concrete circostanze di fatto che caratterizzano la relazione del possessore con il bene stesso. Invero chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del "corpus", ma anche dell'"animus"; quest'ultimo elemento, tuttavia, può eventualmente essere desunto in via presuntiva dal primo, se vi è stato svolgimento di attività corrispondenti all'esercizio del diritto di proprietà (cfr. Cass. n.  22667/2017, n. 14092/2010). Al contempo è d'uopo rammentare che non è consentito attribuire efficacia interruttiva del possesso se non ad atti che - 5 - comportino, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa oppure ad atti giudiziali, siccome diretti ad ottenere "ope iudicis" la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapiente. Non sono, invece, idonei come atti interruttivi del termine utile per l'usucapione la diffida o la messa in mora in quanto può esercitarsi il possesso anche in aperto contrasto con la volontà del titolare del diritto reale (cfr., ex multis, Cass. n. 14917/2001). 
Sotto quest'ultimo profilo il ### invero, essendosi limitato a contestare in via stragiudiziale il possesso del convenuto - invitando quest'ultimo a liberare l'immobile de quo (cfr. prova testimoniale in atti) - non ha mai determinato l'interruzione del possesso materiale in capo al germano convenuto conseguito da quest'ultimo dal ### (circostanza invero non specificamente contestata ex adverso), non essendo stati dedotti, ancor prima che provati dall'attore un riacquisto temporaneo del possesso del cespite, né tantomeno l'esperimento di un'azione giudiziale finalizzata alla sua restituzione. 
Ciò nonostante, l'acquisto ad usucapionem non si è perfezionato in quanto la parte istante non ha dato la prova convincente della sussistenza dell'animus possidendi, inteso come volontà, esternamente percepibile, di possedere il bene secondo facoltà e modalità corrispondenti a quelle del proprietario. Al riguardo la mera allegazione dei bollettini (o di equivalente documentazione) che attestano il pagamento delle utenze (o del canone ### non disvela in modo inequivoco un animo possessorio coincidente con quello di un soggetto proprietario. La conclusione di contratti di fornitura di energia elettrica o gas, infatti, ben potrebbe porsi come un'attività pienamente compatibile con una relazione materiale fondata su un titolo convenzionale o sulla mera tolleranza del proprietario, ma non esprime, comunque un'attività idonea a realizzare l'esclusione dei terzi dal godimento del bene che costituisce l'espressione tipica del diritto di proprietà (cfr. Cass. n. 21726/2019). Del resto il convenuto in riconvenzionale non ha dato prova di aver provveduto negli anni al pagamento degli oneri fiscali gravanti sul cespite, né alla regolarizzazione - 6 - urbanistica del cespite, adempimenti - per contro - documentalmente assolti dall'intestatario, ### Per tale ragione, premesso che la prova in ordine al maturare dell'usucapione è complessa e deve essere notevolmente concordante nei suoi esiti al punto da non lasciare spazio a perplessità sulla veridicità delle circostanze asserite, sulla concludenza e sufficienza delle medesime a dimostrare un costante comportamento corrispondente all'esercizio del diritto vantato e, in particolare, a fornire la prova degli specifici atti compiuti, idonei a rivelare in modo non equivoco il concreto possesso uti dominus esercitato sul bene, deve concludersi nel senso del mancato acquisto ad usucapionem. 
Quanto, poi, alla domanda attorea di riconoscimento dell'illegittimità dell'occupazione dell'immobile de quo, con conseguente condanna al rilascio, questa può trovare accoglimento, nei termini che seguono. 
In via preliminare è d'uopo rilevare che la domanda avanzata dall'attore, per come strutturata, rientra nell'alveo dell'azione reale di rivendicazione. 
Invero, diversamente da quanto osservato dalla parte attrice, la domanda di riconoscimento dell'illegittima occupazione e di conseguente rilascio dell'immobile non può qualificarsi come azione personale di restituzione, ancorchè - per le ragioni di seguito opposte - l'onere probatorio a carico del rivendicante debba ritenersi attenuato. 
In punto di diritto, occorre in primis evidenziare che, con riferimento al fenomeno dell'occupazione abusiva di immobile, la domanda di restituzione potrebbe fondarsi sia su di un rapporto negoziale di natura obbligatoria (si pensi al comodato o alla locazione) tra le parti, venuto meno per cause che abbiano determinato, a seconda del vizio, nullità, annullabilità o risoluzione, ovvero semplicemente per la naturale cessazione dell'efficacia del rapporto. Al contempo, però, la medesima domanda potrebbe prescindere del tutto dalla deduzione, ab origine, di alcun rapporto di natura negoziale intercorso tra le parti, per fondarsi esclusivamente sulla dedotta altrui detenzione o possesso privo di alcun titolo giustificativo. Nel primo caso l'azione di restituzione ha natura personale e relativa, e si caratterizza per non essere gravata dall'onere di - 7 - provare il diritto di proprietà; nel secondo caso, invece, essa deve inquadrarsi come azione reale di rivendica, la quale implica l'assolvimento della cd. “probatio diabolica”, ossia l'onere per l'attore di provare il proprio diritto, risalendo, se del caso, attraverso i propri danti causa fino ad un acquisto a titolo originario o dimostrando che l'interessato stesso o alcuno dei suoi danti causa abbia posseduto il bene per il tempo necessario ad usucapirlo. In tal senso si pongono le ### della ### osservando che “…poichè l'azione personale di restituzione, come già dice il nome, è destinata a ottenere l'adempimento dell'obbligazione di ritrasferire una cosa che è stata in precedenza volontariamente trasmessa dall'attore al convenuto, in forza di negozi quali la locazione, il comodato, il deposito e così via, che non presuppongono necessariamente nel tradens la qualità di proprietario, essa non può pertanto surrogare l'azione di rivendicazione, con elusione del relativo rigoroso onere probatorio, quando la condanna al rilascio o alla consegna viene chiesta nei confronti di chi dispone di fatto del bene nell'assenza anche originaria di ogni titolo. 
In questo caso la domanda è tipicamente di rivendicazione, poichè il suo fondamento risiede non in un rapporto obbligatorio personale inter partes, ma nel diritto di proprietà tutelato erga omnes, del quale occorre quindi che venga data la piena dimostrazione, mediante la probatio diabolica. La tesi opposta comporta la sostanziale vanificazione della stessa previsione legislativa dell'azione di rivendicazione, il cui campo di applicazione resterebbe praticamente azzerato, se si potesse esercitare un'azione personale di restituzione nei confronti del detentore sine titulo”(### Cass. Civ. n. 7305 del 2014). 
Orbene nel caso di specie la domanda avanzata dall'attore è qualificabile come azione di rivendicazione ex art. 948 c.c. in quanto egli si è limitato a chiedere la declaratoria di abusiva e, quindi, illegittima occupazione di un immobile di sua proprietà da parte del convenuto, con la conseguente condanna dello stesso al rilascio del bene ed al risarcimento dei danni da essa derivanti, senza, tuttavia, fondare la propria pretesa sul venire meno di un negozio giuridico sottostante. Tuttavia il rigore probatorio proprio - 8 - dell'azione di rivendicazione, nel caso che ci occupa, rimane senz'altro attenuato in quanto il convenuto, nell'opporre l'usucapione, ha riconosciuto, seppure implicitamente, o comunque non ha specificamente contestato, l'appartenenza del bene al rivendicante o ad uno dei suoi danti causa all'epoca in cui assume di avere iniziato a possedere (### Cass. n.  11124/2022). Il convenuto, infatti, ha opposto l'usucapione dichiarando di essere entrato in possesso del cespite, e in maniera ininterrotta, dall'anno 1989, senza contestare il preesistente diritto di proprietà formale dello stesso in capo all'attore; per di più la stessa comparsa conclusionale di parte convenuta contiene l'espresso riconoscimento della titolarità dell'immobile in capo all'attore ### Orbene lo standard probatorio “attenuato” risulta nel caso di specie pienamente soddisfatto tenuto conto dei documenti allegati dall'attore, vale a dire della visura catastale in atti, da cui si evince che il predetto risulta intestatario dell'immobile de quo già in epoca antecedente al possesso vantato dal convenuto, nonché dell'accertamento, seppur in via incidentale, contenuto nella prodotta sentenza definitiva del Tribunale di Napoli n. 1738/2018 (emessa anche nei confronti degli odierni litiganti), arresto che espressamente riconosce la titolarità esclusiva in capo all'attore del diritto di proprietà (anche) dell'immobile oggetto della controversia, quale intestatario al catasto. 
Dal sin qui argomentato deriva l'accoglimento della domanda di illegittima occupazione dell'immobile de quo e della conseguenziale domanda di condanna del convenuto al rilascio dello stesso. 
Va, per contro, rigettata la connessa domanda attorea di condanna del convenuto al risarcimento dei danni da occupazione illegittima, in ossequio ai principi dettati dalle ### della ### di Cassazione con la recente sentenza n. ### del 2022. Con tale arresto, infatti, la ### ha osservato che in ipotesi di occupazione sine titulo dell'immobile l'evento di danno riguarda non la cosa, ma il diritto di godere in modo pieno ed esclusivo della stessa. Tuttavia tale danno non deve intendersi come danno in re ipsa, ma come danno “presunto o normale”, avendo la parte attrice - 9 - comunque l'onere di allegare specifiche circostanze dalle quali desumere la perdita di una concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto mediante la concessione del godimento del bene ad altri dietro corrispettivo. 
Senonchè, l'attore, nel caso in esame, si è limitato a quantificare il danno da occupazione abusiva mediante il rinvio al valore locativo del bene, adducendo che vi sia stato un danno per il solo fatto della violazione del diritto di proprietà (recte del contenuto di tale diritto), rifacendosi espressamente proprio alla teorica del danno in re ipsa per cui l'evento dannoso sarebbe immanente alla violazione del diritto stesso ed alla indisponibilità del cespite. In altri termini nel caso di specie il danno viene fatto discendere dalla sola natura fruttifera del bene, la cui disponibilità è andata perduta. Di contro l'attore nulla ha allegato ancor prima che provato circa l'intenzione di concedere in godimento il bene de quo dietro corrispettivo, peraltro smentita dalle stesse testimonianze raccolte, in forza delle quali durante il periodo dell'occupazione l'attore nulla aveva a pretendere quanto ad un eventuale corrispettivo per l'utilizzo del proprio immobile: il che è verosimile anche atteso lo stretto rapporto di parentela inter partes ed è comunque confermativo della carenza di allegazione e prova, sia pure in via presuntiva, che in assenza di occupazione del bene l'attore avrebbe locato lo stesso per goderne dei frutti civili. 
Tenuto conto dell'oggettiva controvertibilità in fatto della lite e della soccombenza reciproca parziale, appare giustificata l'integrale compensazione delle spese di lite.  P.Q.M.  Il Tribunale Ordinario di Napoli, IX Sezione Civile, in persona del G.M., dott. ### definitivamente pronunciando nella causa promossa come in narrativa, ogni contraria istanza disattesa, così provvede: 1) dichiara il convenuto ### occupante sine titulo dell'immobile sito in Napoli alla via ### n. 43 - piano 2°- int, 8, censito nel N.C.E.U. di Napoli, a sezione urbana foglio PON 1, p.lla 629 di proprietà dell'attore e, conseguentemente, condanna il convenuto - 10 - all'immediato rilascio del predetto immobile in favore di ### libero e vuoto di persone e di cose; 2) rigetta la domanda attorea di condanna del convenuto al pagamento dell'indennità di occupazione; 3) rigetta la domanda riconvenzionale di usucapione; 4) compensa le spese di lite. 
Così deciso in Napoli il 31.3.2023 Il Giudice (dott. ### Si dà atto che la minuta della presente sentenza è stata redatta con la collaborazione del MOT in tirocinio dott. ### 





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