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Sette anni fa dichiarava guerra alle banche «che si sono arricchite impoverendo i clienti»; cinque anni fa era pronta a collaborare con loro per sostenere la crescita del fintech; oggi Revolut annuncia un nuovo assalto al mercato retail. Forte dei suoi numeri: l’app finanziaria nata nel 2015 da un’idea Nikolay Storonsky e Vlad Yatsenko, dopo l’ultima raccolta di fondi vale oltre 45 miliardi di dollari. In Italia – a livello di capitalizzazione – sarebbe sul podio delle banche, alle spalle di Intesa Sanpaolo e Unicredit.
E adesso la società entra anche nel mercato dei prestiti personali, con l’obiettivo di dare un’altra spallata al settore bancario. «Attraverso l’app si possono chiedere fino a 50 mila euro da rimborsare in un periodo tra i 6 mesi e i 7 anni» racconta Maurizio Talarico numero uno di Revolut in Italia che poi aggiunge: «Per noi l’Italia è un mercato molto promettente è in crescita. Basti pensare che abbiamo raggiunto il primo milione in Italia in 5 anni e il secondo in un anno e mezzo. Una crescita che ci convince a investire ancora, per diventare il contro principale degli italiani».
Revolut punta sulla tecnologia con l’emissione dei soldi in tempo reale e la possibilità di gestire in app tutte le operazioni: anticipi o posticipi di rata, ma anche estinzioni parziali a partire da un euro, «con l’obiettivo di ascoltare le esigenze degli utenti più giovani».
Se la tecnologia rappresenta il cuore dell’offerta Revolut, a fare breccia nel portafoglio degli italiani potrebbero essere i costi che la banca promette di tenere sotto la media di mercato, a partire da un Taeg del 5,57%. Sul mercato, il 28 settembre, i Taeg migliori online partivano dal 7,29%.
«Il nostro costo più importante – spiega Talarico – è la tecnologia che abbiamo già ampiamente ammortizzato lavorando su più Paesi. Motivo per cui non abbiamo pensato a spese aggiuntive per gli utenti. Non ci sono costi d’istruttoria o di addebito della rata. Si pagano solo gli interessi. Che sono calcolati sul rischio di credito».
E per ottenerlo entra in gioco la tecnologia: se il cliente che fa richiesta consente l’accesso al proprio open banking in pochi secondi ottiene la risposta alla richiesta di finanziamento e il costo del tasso d’interesse – che può arrivare fino a un Taeg del 16,99% – altrimenti, Revolut incrocia le informazioni a disposizione sulle banche dati. Impiegando qualche minuto. Il grosso dei primi prestiti ha un taglio medio di 6 mila.
La pressione di Revolut ha spinto le banche europee, ma anche italiane, a studiare soluzioni sempre più digitali. Come dimostra lo sforzo e la volontà di Intesa Sanpaolo nello sviluppare Isybank. Un movimento che però non preoccupa l’app inglese: «A noi fa piacere – spiega il manager italiano – che gli incumbent facciano scelte simili alle nostre, vuole che la strada intrapresa nel 2015 era quella giusta. E noi siamo convinti che più cresce la competizione, più si allarga il mercato». Perché? «Perché si avvicinano a strumenti bancari digitali, utenti che prima ne ignoravano l’esistenza. E noi siamo convinti di essere più che competitivi».
I numeri sono dalla parte di Revolut che adesso punta al terzo milione di clienti. «Per farlo – aggiunge Talarico – entro fine anno arriveranno gli Iban italiani: senza quello, alcuni datori di lavoro non possono accreditare lo stipendio. Sarà un altro passo per diventare il conto principale per gli italiani. Poi arriveranno anche i mutui, servirà un po’ di tempo perché le masse gestite sono più importanti rispetto ai prestiti, ma ci arriveremo. Intanto partiranno in Irlanda e Lituania».
L’Italia, però, resta un Paese amante del contante: «E’ vero, ma il digitale cresce sempre di più. Soprattutto nella fascia fino a 35 anni».
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