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Ha fatto in un baleno, comprensibilmente, il giro della Rete il video diffuso dalle autorità ucraine. Sono le riprese in bianco e nero di un drone: un gruppo di figurine bianche, soldati ucraini presi prigionieri dai russi, viene fatto allineare e poi abbattuto a colpi di mitra. I sopravvissuti alla fucilazione sono poi finiti con colpi a distanza ravvicinata. Sedici sarebbero le vittime di questa strage che, com’è ovvio, non ha conferme indipendenti. I russi oggi negano, come negarono la strage di Bucha del marzo 2022. E come hanno sempre negato gli ucraini quando i russi presentarono all’Onu un rapporto sulle torture subite dai loro soldati presi prigionieri o quando la BBC mostrò due video (uno girato da un drone, l’altro da un soldato) con l’esecuzione di prigionieri russi. Fidarsi delle sole immagini, in epoca di intelligenza artificiale, è impossibile. Ma che la guerra seguita all’invasione russa del febbraio 2022 sia anche piena di atrocità reciproche è indubbio. Lo è al punto che missili e bombe scagliati sui centri abitati, sui palazzi di abitazione e sui mercati non fanno nemmeno più notizia.
Guerra che, peraltro, fa il suo inesorabile corso, anche se dalle nostre parti pochi sembrano curarsi di ciò che realmente succede sul campo. Tentiamo un piccolo riassunto per i fan della teoria “la Russia va sconfitta sul campo”, anche se lo slogan in queste settimane risuona più flebilmente di un tempo.
REGIONE DI KURSK – L’incursione ucraina del 6 agosto aveva umiliato i russi e creato le premesse per un grande colpo, se solo le truppe di Kiev fossero arrivate alla centrale nucleare russa di Kurchatov, a pochi chilometri appunto da Kursk. Ma non è andata così. Le migliori brigate ucraine, con i mezzi più efficienti, ora sono “impantanate” in un’area di Russia poco abitata (e ora, dopo le evacuazioni, largamente disabitata): non riescono ad avanzare e anzi di giorno in giorno sono costretta a cedere porzioni di terreno. Oggi, secondo le statistiche, i russi hanno recuperato il controllo su circa 200 kmq, mentre gli ucraini ancora controllano circa 750 kmq.
DONBASS – Da qui arrivano le notizie peggiori per l’esercito ucraino. È delle scorse ore la conquista da parte dei russi della città di Ugledar, una cittadina che aveva circa 15 mila abitanti prima della guerra ed era diventata uno snodo logistico-chiave per la regione di Donetsk e il dispositivo ucraino di difesa. Qui si è ripetuto uno scenario già visto a Bakhmut, con il generale Aleksandr Syrsky (adesso comandante capo delle forze ucraine, allora comandante del fronte Nord) accusato di aver dato troppo tardi l’ordine della ritirata e quindi di aver sacrificato inutilmente un gran numero di soldati. Al punto da silurare, pochi giorni prima della caduta, Ivan Vinnik, il comandante della 72° Brigata incaricata di resistere ai russi. Non migliora le cose la voce, ricorrente a Kiev, che il presidente Zelensky abbia chiesto a Syrsky di tenere la città almeno fino alla fine della sua visita negli Usa, dove si era recato per presentare il suo “piano per la vittoria”. Intanto, passo dopo passo, i russi avanzano in tutto il Donbass. E più a Nord le cose vanno meglio ma non bene: il sindaco di Khar’kiv, Ihor Terekhov, ha appena annunciato ai concittadini che quello in arrivo sarà “l’inverno più duro della nostra storia”.
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ZELENSKY – Proprio questo è un altro tasto dolente per l’Ucraina. Zelensky aveva riposto molte speranze nel viaggio negli Usa, dove però il suo “piano” è stato di fatto respinto. Armi e quattrini quanti ne vuole, ma per il resto è stato tutto un no. No all’ingresso rapido dell’Ucraina nella Nato. E soprattutto no all’autorizzazione a usare i missili americani per colpire in profondità la Russia. Ora si dice che Joe Biden aspetti l’elezione presidenziale di novembre, quando comunque uscirà di scena, per firmare e concederla. Ma intanto il tempo passa e, come si diceva, i russi avanzano.
LE FAIDE DI KIEV – Se n’è parlato poco ma i repulisti all’interno del Governo ucraino continuano. L’ultima è dei giorni scorsi, quando il ministro della Difesa Rustem Umerov ha chiesto la rimozione di tre dei suoi vice-ministri. Umerov che, stando alle voci in arrivo dalla capitale ucraina, sarebbe a sua volta a rischio rimozione. E non solo lui: anche Kyrylo Budanov, il molto celebrato capo dell’intelligence militare, e David Arakhamia, capo del gruppo parlamentare di Servo del popolo, sarebbero finiti sulla lista nera. Le ragioni sono diverse: Umerov pagherebbe la situazione al fronte, Budanov l’eccessiva popolarità (stessa sorte del generale Zaluzhny, insomma) e Arakhamia la vecchia amicizia con Zelensky, che gli consente un accesso diretto al Presidente. Il grande orchestratore di questi movimenti sarebbe il solito Andrij Jermak, il capo dell’amministrazione presidenziale, l’eminenza grigia del potere zelenskiano.
È chiaro che finché Zelensky e Jermak saranno i grandi distributori del flusso di denaro e di armi dall’Occidente potranno anche garantirsi la fedeltà degli apparati di sicurezza e delle forze armate, che di quei quattrini e di quelle armi sono i primi destinatari. Ci si domanda però se, accanto a quelle armi e quei quattrini da Occidente non potrebbe arrivare anche una proposta più ragionevole per avviare Russia e Ucraina non si dice sulla strada di un accordo di pace ma almeno su quella di un cessate il fuoco. Ripetere che la Russia non merita tregua, avendo causato la guerra con l’invasione, ci aiuta forse a sentirci dalla parte giusta. Ma certo non aiuta gli ucraini in una guerra che non può essere vinta.
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