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Appuntamento a novembre. Come è ormai consuetudine, l’Europa si insabbia di nuovo sul pacchetto di sanzioni alla Russia. E a bloccare tutto è ancora l’Ungheria, presidente di turno dell’Ue, che con il ministro delle Finanze Mihàly Varga, a margine della riunione dell’Eurogruppo, ribadisce la propria contrarietà all’estensione da 6 a 36 mesi della durata del rinnovo al congelamento degli asset russi. Tra gli Stati membri, ha detto, “al momento non c’è consenso in materia di sanzioni, probabilmente ci torneremo in novembre”.
Il blocco ungherese, se ribadito anche il prossimo mese, potrebbe causare non pochi grattacapi alla nascente Commissione von der Leyen 2. In occasione dell’ultimo G7 italiano di giugno, Stati Uniti e Paesi Ue hanno siglato un accordo che prevede un prestito da 50 miliardi di dollari di aiuti al governo di Volodymyr Zelensky per sostenere la guerra contro la Russia di Vladimir Putin, con la leader tedesca che si è esposta in prima persona volando a Kiev per confermare la posizione europea di persona al presidente ucraino. Miliardi che saranno garantiti grazie ai profitti ottenuti dagli asset russi congelati. Questo prevede, quindi, che questi asset rimangano bloccati per poter usufruire delle rendite. Dover rinnovare questa posizione ogni 6 mesi espone l’Ue al rischio ostruzionismo dal gruppo di Paesi, Ungheria in testa, più restii a continuare con finanziamenti a pioggia in favore di Kiev. Inoltre, per arrivare all’accordo raggiunto al G7, gli Stati Uniti hanno chiesto garanzie affinché questi soldi arrivino in Ucraina entro al fine del 2024, ossia prima dell’insediamento del nuovo presidente, e soprattutto su una “maggiore stabilità“. Tradotto: rinnovi all’unanimità meno frequenti, aumentando la loro durata da 6 a 36 mesi. Senza questi presupposti, Washington potrebbe anche ritirarsi dall’accordo, insieme ai circa 20 miliardi che si è impegnata a offrire.
Il pacchetto Ucraina all’attenzione dei 27 Stati membri è composto da quattro testi legislativi: tre possono passare a maggioranza qualificata, mentre il quarto necessita dell’unanimità, che non c’è a causa del veto di Budapest. “La presidenza ungherese sta preparando l’agenda, sarò sicuro dell’agenda dopo che ne discuteremo”, ha continuato Varga confermando che l’intenzione è quella di spacchettare i provvedimenti, inviando i tre approvati a maggioranza qualificata agli ambasciatori domani e tornare poi sul quarto nell’Eurogruppo del 4 novembre. “Manderemo il tutto all’incontro del Coreper, dopodiché ci sarà un formato scritto per finalizzare la cosa”, ha concluso. Altri Paesi membri sono decisamente contrari a spacchettare e, nel caso in cui l’Ungheria insistesse con il suo veto, sono intenzionati a portare il caso al Consiglio Europeo, dove siedono i capi di Stato e di governo.
Che il clima sia tutt’altro che disteso lo dimostrano le dichiarazioni dei commissari uscenti. Come ad esempio il vicepresidente Maros Sefcovic, uno dei riconfermati da von der Leyen, secondo cui “è importante arrivare a un rapido accordo sulle proposte della Commissione Ue sull’assistenza macrofinanziaria all’Ucraina, si tratta di prestiti fino a 35 miliardi di euro come parte di un impegno assunto dal G7 a giugno. È essenziale che i fondi vengano resi disponibili entro la fine dell’anno per assicurare che l’Ucraina abbia il margine di bilancio necessario”. Anche il commissario per gli Affari Economici, Paolo Gentiloni, testimonia che lo stop è dovuto solo a pochi contrari e che l’Ue è unita sul sostegno a Kiev: “C’era un forte sostegno da parte dei ministri, incluso un supporto quasi unanime per la revisione del regime delle sanzioni”.
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