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Cram down fiscale a scartamento ridotto negli accordi di ristrutturazione; quando il peso dei debiti con il fisco (e con l’Inps) è preponderante rispetto all’intero indebitamento da gestire, l’adesione forzosa potrà scattare solo se la percentuale offerta dall’imprenditore è superiore al 60% del debito, in linea capitale, da transare. In ogni caso non si potrà offrire meno del 50% delle imposte non versate; senza contare le altre condizioni previste, senza le quali, nessun automatismo può scattare.
La transazione fiscale
Il correttivo al Codice della crisi (d.lgs. n. 136 del 13 settembre 2024) mette mano anche alla disciplina degli accordi di ristrutturazione, riscrivendo completamente l’articolo 63 CCII, in tema di transazione fiscale e di cram down fiscale e previdenziale. Vengono così risolte alcune questioni applicative emerse e viene trasfusa e recepita, con modificazioni, la disciplina emergenziale introdotta dal decreto legge n. 69 del 2023 che ha sospeso l’efficacia delle disposizioni del Codice in esame e dell’articolo 4-quinquies del decreto legge n. 145 del 2023 con cui sono state dettate disposizioni relative alla presentazione della proposta di transazione, alla documentazione da allegare e all’individuazione degli uffici competenti ad esprimere o meno l’adesione alla proposta. Mentre i commi 1 e 2 ricalcano la disciplina previgente in tema di presentazione della proposta di transazione agli enti pubblici creditori, il comma 3 detta le necessarie disposizioni di raccordo tra i tempi per il perfezionamento della transazione e l’eventuale domanda di omologazione.
I termini per il silenzio rifiuto
Viene quindi chiarito che se non c’è l’espressa adesione alla transazione, l’imprenditore può presentare la domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione in Tribunale decorsi 90 giorni dal deposito della proposta senza che ci sia stata risposta.
Siccome spesso la proposta originaria è oggetto di diverse integrazioni e modifiche, anche alla luce della precisazione del credito prodotta dagli uffici e del contraddittorio instaurato con gli stessi, la disposizione prevede che in tutti i casi di modifica della proposta originaria, il termine finale viene aumentato di altri 60 giorni decorrenti dall’invio delle modifiche. Se poi le modifiche necessarie comportano la formulazione di una nuova proposta (con modifica delle percentuali offerte o delle tempistiche di pagamento) al suddetto termine di 60 giorni devono essere aggiunti altri 90 giorni. Ciò significa che il debitore deve programmare per tempo la predisposizione della proposta di transazione all’erario e/o all’Inps perché, in difetto di sottoscrizione non potrà forzare la mano e presentare comunque la domanda di omologa, contando sul cram down, prima del decorso dei tempi indicati che vanno da tre mesi (90 giorni per analizzare la proposta originaria) ad otto mesi (90 per la proposta originaria e 60+90 per le modifiche sostanziali della stessa).
Proprio alla luce dell’importanza dei tempi necessari a far maturare il silenzio rifiuto dell’ente pubblico, il comma 3 dell’articolo 63 prevede che il debitore debba avvisare dell’iscrizione della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione nel registro delle imprese l’amministrazione finanziaria e gli enti gestori di forme di previdenza, assistenza e assicurazioni obbligatorie mediante comunicazione inviata a mezzo posta elettronica certificata alle sedi territoriali e regionali competenti sulla base dell’ultimo domicilio fiscale dell’istante. Dalla ricezione dell’avviso decorre, per gli enti, il termine per l’opposizione di cui all’articolo 48, comma 4 CCII.
Il cram down fiscale e previdenziale
Nel comma 4 e 5 dell’articolo 63 è recepita nel Codice la disciplina del c.d. cram down fiscale contenuta nel citato decreto-legge n. 69 del 2023, che condiziona l’omologazione nonostante il dissenso del creditore pubblico ad una serie di presupposti, con il dichiarato fine di evitare gli abusi che sono stati registrati nel periodo di prima applicazione dell’istituto. In particolare si è assistito a situazioni nelle quali, al momento della predisposizione del piano sottostante gli accordi, il fisco risultasse l’unico creditore della società o quello preponderante. Tale situazione, in assenza di correzioni, si prestava ad essere oggetto di cram down vista la decisività dell’adesione dell’erario (e dell’Inps) e l’assenza di convenienza di soluzioni alternative, essendo ormai la società ridotta ai minimi termini. L’abuso consiste, in tale scenario, nell’aver operato nel corso degli ultimi anni con il consapevole scopo di tacitare tutti i creditori all’infuori di quelli pubblici, potendo contare, appunto, sul cram down. Condotta questa non sempre e non facilmente perseguibile se non in sede di liquidazione giudiziale, mediante le possibili azioni risarcitorie e revocatorie, peraltro limitate.
Da qui, appunto, le maglie strettissime tessute dal correttivo per l’applicazione del cram down fiscale quando si presentano situazioni in odor di abuso.
I requisiti del debito
Si tratta, a tutti gli effetti, in uno slalom che l’imprenditore deve compiere per cercare di sfuggire alle limitazioni imposte. Intanto l’accordo non deve avere natura liquidatoria ma deve essere sviluppato con lo scopo di preservare la continuità aziendale, ancorché parzialmente ed eventualmente in forma indiretta. Poi, ed è qui che compare la norma anti abuso, i creditori aderenti all’accordo devono rappresentare almeno il 25% dell’importo complessivo dei crediti; ciò significa che, nella migliore delle ipotesi (tutti gli altri creditori risultano aderenti) il credito dell’erario e dell’Inps non può essere superiore al 75% dell’intero indebitamento. Quanto poi alla soddisfazione, posta la non deteriorità rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale, occorre che ai creditori pubblici vada almeno il 50% dell’imposta o dei contributi vantati (esclusi quindi sanzioni ed interessi), con il pagamento degli interessi di dilazione al tasso legale vigente.
Quando l’ammontare complessivo dei crediti vantati dagli altri creditori aderenti è inferiore al 25% o, addirittura, non vi sono altri creditori aderenti, la percentuale di soddisfazione, sempre riferita ai soli tributi o contributi, sale al 60% ed occorre che la dilazione proposta non sia superiore a 10 anni. Tale ultima precisazione, in verità, permette di dedurre che se il credito tributario e previdenziale non eccede i limiti imposti (75% dell’intero indebitamento) sia possibile presentare anche proposte di transazione che prevedano orizzonti di pagamento superiori a 10 anni.
L’ammontare della soddisfazione da proporre
Il fatto che la norma faccia riferimento alle sole imposte e ai soli contributi non permette di quantificare esattamente quale sia la percentuale minima che può essere offerta per conseguire il cram down. Tuttavia se si considera l’ipotesi tipica di omesso versamento, con iscrizione a ruolo delle posizioni, non è errato supporre che l’imposta dovuta rappresenti non più del 60% dell’intero carico.
Ciò significa che il cram down impone come limiti di soddisfazione, rispettivamente il 30% o il 36% circa dell’intero indebitamento tributario/contributivo. Percentuali queste in linea con la previgente normativa.
Altri requisiti
Come se non bastasse, il comma 6 dell’articolo 63 prevede ulteriori condizioni per l’applicazione del cram down fiscale. Intanto non deve esserci stata altra transazione risolta di diritto nei cinque anni precedenti ( a parte l’ipotesi di convenzione di moratoria). Tale condizione si applica inoltre, per espressa previsione del comma 7, anche se il debitore sia un soggetto diverso che tuttavia ha acquisito la propria attività produttiva nell’ambito dell’esecuzione di un accordo di ristrutturazione (acquistando cioè l’azienda da un’impresa che si è ristrutturata con tale meccanismo).
Inoltre nessun cram down è possibile quando, congiuntamente, ricorrano queste due situazioni: 1) il debito fiscale e contributivo è superiore all’80% dell’intero indebitamento dell’impresa e tale debito, tributario o previdenziale, deriva prevalentemente da omessi versamenti che abbracciano almeno cinque distinti periodi d’imposta; 2) il debito deriva, per almeno un terzo, dall’accertamento di violazioni realizzate mediante l’utilizzo di documentazione falsa o per operazioni inesistenti, mediante artifici o raggiri, condotte simulatorie o fraudolente.
L’ultimo comma dell’art. 63 prevede infine che la transazione è risolta di diritto se il debitore non esegue integralmente, entro sessanta giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle agenzie fiscali e agli enti gestori di forme di previdenza, assistenza e assicurazioni obbligatorie.
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