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La band si esibisce nel locale di Ranica venerdì 18 ottobre. Il fondatore: «Sono stato tentato di smettere. Ma il pubblico mi ha fatto pressione per continuare, la carica di umanità è stata commovente»
Il Banco del Mutuo Soccorso proporrà il meglio dei suoi 56 anni di progressive rock, venerdì sera (18 ottobre) al Druso di Ranica. La formazione non si è mai fermata, superando anche la scomparsa nel 2014 del cantante Francesco Di Giacomo e l’anno dopo del chitarrista Rodolfo Maltese. Oggi è composta da Vittorio Nocenzi, fondatore e unico rimasto della line up originaria, a organo, sintetizzatori e pianoforte; il figlio Michelangelo a piano e tastiere; Filippo Marcheggiani, che milita nel Banco da trent’anni, alla chitarra elettrica; Marco Capozi al basso elettrico; Dario Esposito alla batteria e Tony D’Alessio, voce solista.
Vittorio, cosa ci farete ascoltare?
«Cercheremo una sintesi per uno show di due ore e mezza, dai brani del disco d’esordio Il salvadanaio, così chiamato per la sua cover, fino all’ultimo, Orlando, ispirato all’Ariosto, che denuncia la globalizzazione, i problemi dell’ambiente, la guerra. Non mancheranno i nostri pezzi più famosi, come R.i.p., Paolo, Pa’, Moby Dick».
Cinquantasei anni di carriera, una longevità superata solo dai Pooh. È vero che a segnalarla per un’audizione alla Rca di Roma fu Gabriella Ferri?
«A 16 anni suonavo nella sua band. A dire il vero, fu suo papà, Vittorio. Insieme scrivevamo i pezzi per Gabriella. Un giorno gli feci sentire un ritornello e lui disse: “Ti piacerebbe se lo facessi sentire alla Rca?”. Fu come offrire un bicchiere d’acqua a un assetato nel deserto. In quegli studi entravi con la tua voce e uscivi col disco sottobraccio. Quando arrivai mi chiesero se avessi una band e la tirai su con mio fratello Gianni e altri ragazzi dei Castelli Romani. Un dirigente ci propose il nome. Andavano di moda quelli lunghi come Premiata Forneria Marconi o Raccomandata Ricevuta di Ritorno».
E pubblicarono il primo disco del Banco?
«No, me ne andai stracciando il contratto. Avevo la fretta dei 18 anni e la musica era troppo importante per aspettare. Quel disco uscì vent’anni dopo, nel 1988: Donna Plautilla».
«Ringraziando Dio ci sono i Maneskin, anche se sono un totale déjà-vu. Non se ne può più dell’autotune. E poi mancano la composizione, gli accordi. Il rap va bene per i testi. Nei dischi di Eminem c’è tanta musica di qualità. Ma oggi mi sento a mio agio solo quando ascolto la musica, se sento il nulla mi arrabbio».
Tra 2014 e 2015 la perdita di due compagni di vita.
«Sono stato tentato di smettere. Ma il pubblico mi ha fatto pressione per continuare, la carica di umanità è stata commovente. Un artista non può solo incassare ammirazione, ha dei doveri. E poi ho pensato che se avessi smesso, i due assenti se ne sarebbero andati ancora».
Che ricordi ha di Francesco Di Giacomo?
«Era un grande battutista, con un senso dell’ironia travolgente. Dopo trent’anni siamo tornati a suonare ad Abbadia San Salvatore (Siena). Un signore mi fermò ricordando che Francesco aveva detto: “Avvicinatevi e soffiate tutti con l’alito così ci scaldate”. Si ricordava la battuta al microfono di tre decenni prima».
«Ci legava un’affinità elettiva, era interessato a quadri, musei, palazzi, alla bellezza del paesaggio o di un piatto in tavola. E all’armonia degli accordi. Ancora oggi, quando eseguo un passaggio, mi giro e butto l’occhio a lui, come per dire “senti che bello, ti piace?”. All’inizio la sensazione di vuoto è stata fortissima. Sono fortunato che il mio terzo figlio abbia abbracciato il progetto».
L’ultimo album, «Orlando», è di grande attualità.
«Esprime il disagio della globalizzazione davanti ai problemi dell’ambiente, degli esuli, delle guerre. Ma io vedo che spunta il verde di chi crede ancora nelle prospettive, nei sogni, nelle utopie».
Alle 22. Apertura porte alle 20.30. Ingresso 30 euro.
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Informativa sui diritti di autore
La legge sul diritto d’autore art. 70 consente l’utilizzazione libera del materiale laddove ricorrano determinate condizioni: la citazione o riproduzione di brani o parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi qualora siano effettuati per uso di critica, discussione, insegnamento o ricerca scientifica entro i limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera citata o riprodotta.
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