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“Sacrificio”. Ma siamo proprio sicuri che quello chiesto dal governo Meloni a banche e assicurazioni per far quadrare i conti della manovra sia davvero un sacrificio e non l’ennesimo grande bluff della politica? Le cifre inducono a propendere per la seconda ipotesi e a riflettere sull’approccio contraddittorio che tanto il centrodestra quanto il centrosinistra hanno al tema cruciale come l’equità fiscale. Ma andiamo con ordine.
Secondo il ministro Giancarlo Giorgetti, assicurazioni e banche dovranno assicurare un gettito pari a circa tre miliardi e mezzo di euro nel 2025. Più precisamente, dalle prime si vorrebbe ricavare un miliardo; con riferimento alle seconde, invece, si parla di imposte differite attive che dovrebbero rendere circa due miliardi e mezzo. Ed è proprio qui che sta il bluff. Il presunto sacrificio chiesto alle banche non è il contributo aggiuntivo che sarebbe lecito chiedere a chi, complice l’aumento dei tassi d’interesse e dunque del costo del denaro, ha visto i propri profitti crescere fino a 25 miliardi nel 2022 e a 40 nel 2023. Si tratta di una semplice sospensione delle detrazioni, cioè di un anticipo di tasse già dovute che saranno poi restituite alle banche tra il 2027 e il 2029.
Che cosa si ricava da questi numeri? Una certezza: ancora una volta si sceglie non intaccare i profitti di quei soggetti che guadagnano di più nei momenti di difficoltà. Con l’aggravante che ogni intervento fiscale applicato a settori regolamentati e non sostituibili, come quelli di banche e assicurazioni, è traslato da monte a valle e quindi si trasferisce sui costi dei servizi finanziari e assicurativi pagati dai cittadini e dalle imprese: un aggravio di spesa che colpisce soprattutto le realtà meridionali.
E allora è il caso di analizzare l’approccio che gli schieramenti politici hanno alla materia fiscale. Partiamo dal centrodestra. La manovra finanziaria ha indiscutibili note positive, a cominciare dalla riduzione del cuneo fiscale, dalla revisione dell’Irpef e dal bilanciamento dei bonus edilizi che migliorano la progressività e la stabilità del sistema fiscale sul fronte del lavoro e della previdenza. Ma misure come il presunto sacrificio imposto a banche e assicurazioni non fanno altro che alimentare un sistema fiscale fondamentalmente iniquo, dove l’Irpef è pagata per il 53,5% dai lavoratori dipendenti e per il 29,5 dai pensionati e viene evasa da quasi il 70 degli autonomi. Sul fronte opposto non va di certo meglio. Il centrosinistra accusa la destra di essere venuta meno alla promessa di ridurre le tasse, ma non mette la questione fiscale al centro del proprio impegno. Da quella parte del Parlamento si invoca ciclicamente la patrimoniale, ma nulla si dice e si propone per scardinare un sistema in cui i ricchi sono tassati in proporzione meno dei poveri, la disparità di pressione fiscale tra lavoro dipendente e lavoro autonomo è ormai quasi legalizzata e l’evasione fiscale non riesce nemmeno a essere scalfita.
Ecco perché di spot e di dichiarazioni vagamente paternalistiche come quelle del ministro Giorgetti faremmo volentieri a meno. Non possiamo più fare a meno, invece, di una riflessione seria sulle politiche fiscali attuate in Italia da almeno quarant’anni a questa parte: ce lo chiede un Paese sempre più soffocato non solo dalle tasse, ma anche e soprattutto dalla mancanza di servizi efficienti e della prospettiva di uno sviluppo equo.
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