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G. Mentasti | Trattenimento dei richiedenti asilo in Albania | Sistema Penale #finsubito prestito immediato

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Trib. Roma, XVIII sez. civile – immigrazione, decreti 18 ottobre 2024, nn. 42251 e 42256

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*Contributo destinato alla pubblicazione nel fascicolo 10/2024. 

 

1. Nella serata di lunedì 21 ottobre il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto-legge che introduce disposizioni urgenti in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale aggiornando – con una fonte di rango primario – l’elenco dei Paesi di origine ritenuti sicuri.

Tale provvedimento, come noto per il clamore mediatico e le connesse polemiche che hanno portato a uno scontro tra Governo, politica e magistratura, fa seguito alla decisione della XVIII Sezione civile del Tribunale ordinario di Roma di non convalidare il trattenimento dei dodici cittadini stranieri richiedenti asilo condotti nei nuovi centri per migranti in Albania, in ragione della loro provenienza – vedremo meglio in che termini – da Paesi considerati non (integralmente) sicuri, quali l’Egitto e il Bangladesh.

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Sin dalla sottoscrizione del Protocollo tra Italia e Albania (ratificato con l. 21 febbraio 2024, n. 14), la creazione di centri di detenzione amministrativa a gestione italiana in territorio albanese – destinati al trattenimento dei (soli) migranti imbarcati su mezzi delle autorità italiane all’esterno del mare territoriale della Repubblica o di altri Stati membri dell’Unione europea, anche a seguito di operazioni di soccorso – è stata oggetto di approfondite riflessioni da parte della dottrina che non ha mancato di sollevare molte perplessità circa la legittimità di tali strutture, alla luce del loro concreto funzionamento e della compressione dei diritti dei migranti coinvolti.

I decreti del Tribunale romano, tuttavia, non si esprimono sulla legittimità dei centri e si concentrano, piuttosto, sui requisiti per l’attivazione della cosiddetta ‘procedura accelerata’ che, a monte, giustifica il trattenimento dei richiedenti asilo nei centri albanesi, giuridicamente equiparati alle zone di frontiera o di transito italiane. In questa sede, quindi, approfondiremo le argomentazioni portate dal Tribunale di Roma a sostegno della propria decisione, provando a fare chiarezza sui requisiti per il trattenimento, nonché richiamando la giurisprudenza europea in materia di ‘paesi sicuri’ che ha motivato la decisione dei giudici.

 

2. Accompagnati dal comunicato stampa della Presidente della Sezione specializzata in materia di immigrazione, il Tribunale di Roma ha emesso dodici decreti di diniego di convalida del trattenimento (due dei quali sono consultabili in allegato) tutti ugualmente motivati sulla base della impossibilità di considerare come ‘paesi sicuri’ – alla luce della interpretazione data dalla pronuncia della Grande Sezione della CGUE del 4 ottobre 2024  – gli Stati di provenienza delle persone trattenute, con la conseguenza della inapplicabilità della procedura accelerata di frontiera e del necessario trasferimento dei migranti in Italia, dove dovrà ora essere attivata l’ordinaria procedura di valutazione della loro posizione giuridica.

 

2.1. Il percorso argomentativo del Tribunale di Roma nei provvedimenti suddetti è chiaro e poggia saldamente sul dato normativo nazionale ed europeo.

Muove dal richiamo all’art. 4 comma 3 del Protocollo ove, dopo la ripartizione delle competenze tra autorità italiane e albanesi, si precisa che «le competenti autorità albanesi consentono l’ingresso e la permanenza nel territorio albanese dei migranti accolti nelle strutture di cui al paragrafo 1, al solo fine di effettuare le procedure di frontiera o di rimpatrio previste dalla normativa italiana ed europea» e che «[n]el caso in cui venga meno, per qualsiasi causa, il titolo della permanenza nelle strutture, la Parte italiana trasferisce immediatamente i migranti fuori dal territorio albanese». Parimenti, l’art. 4 comma 1 della legge di ratifica del Protocollo (l. 14/2024) precisa che ai migranti trattenuti in Albania «si applicano, in quanto compatibili, il testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, il decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251 (normativa che dà attuazione della direttiva 2004/83/CE, cd. direttiva qualifiche), il decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 (attuazione della direttiva 2005/85/CE, cd. direttiva procedure), il decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 (normativa di attuazione della direttiva 2013/33/UE, cd. direttiva accoglienza), e la disciplina italiana ed europea concernente i requisiti e le procedure relativi all’ammissione e alla permanenza degli stranieri nel territorio nazionale», ossia l’intero compendio normativo che disciplina l’ingresso, il soggiorno nonché l’accesso alle forme di protezione internazionale dello straniero in Italia.

Il richiamo operato dall’art. 4 comma 3 del Protocollo alla permanenza del migrante nei centri per il «solo fine di effettuare le procedure di frontiera o di rimpatrio», non solo rende applicabile nei centri albanesi la procedura accelerata di cui all’art. 28-bis del d.lgs. n. 25/2008 (come da ultimo modificato dalla l. 50/2023, in sede di conversione del d.l. 20/2003, c.d. Cutro) ma, di fatto, equipara ex lege i centri collocati in Albania alle zone di frontiera italiane.

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In altri termini, il trattenimento del richiedente protezione internazionale nei centri albanesi è giustificato solo se sussistono i requisiti per l’applicazione della procedura accelerata di valutazione della sua domanda di protezione.

 

2.2. Quali, dunque, i requisiti per l’applicabilità di tale procedura? Per espressa previsione dell’art. 28-bis comma 2, lettere b) e b-bis) del d.lgs. n. 25/2008, la procedura accelerata può trovare applicazione nei soli casi in cui la domanda di protezione internazionale sia stata presentata direttamente alla frontiera o nelle zone di transito: da un soggetto fermato per avere eluso o tentato di eludere i controlli di frontiera (lett. b) oppure da un richiedente proveniente da un Paese designato di origine sicura ai sensi dell’articolo 2-bis del medesimo decreto (lett. b-bis).

 

2.2.1. Agevolmente il Tribunale esclude l’applicabilità del requisito di cui alla lettera b posto che, per le stesse modalità operative descritte dal Protocollo e dalla sua legge di ratifica[1], i migranti da condurre nei centri albanesi vengono imbarcati su mezzi delle autorità italiane al di fuori del mare territoriale italiano o di altri Stati membri dell’Unione europea, ovvero rintracciati, anche nel corso di operazioni di ricerca o soccorso in mare, durante le attività di sorveglianza delle frontiere esterne dell’Unione europea.

2.2.2. Quanto al requisito di cui alla lettera b-bis – ossia la provenienza del richiedente da sottoporre a procedura accelerata da un paese di origine sicuro – il ragionamento escludente del Tribunale risulta ancorato a due elementi: da un lato, il decreto interministeriale (emanato ai sensi dell’art. 2-bis del d.lgs. 25/2008 e da ultimo aggiornato nel maggio 2024[2]) che elenca, appunto, i Paesi ritenuti sicuri dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i Ministri dell’interno e della giustizia; dall’altro lato, la direttiva procedure, così come oggi interpretata dalla recentissima sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea – Grande Sezione, del 4 ottobre 2024, causa C-406/22 – nella quale si è affermato che «l’articolo 37 della direttiva 2013/32 [ossia la cd. direttiva procedure] deve essere interpretato nel senso che esso osta a che un paese terzo sia designato come paese di origine sicuro qualora talune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni sostanziali per una siffatta designazione»[3]. Detto altrimenti, la designazione di un paese di origine sicuro dipende dalla possibilità di dimostrare che, in modo generale e uniforme (e, dunque senza eccezioni nemmeno per alcune parti di territorio) non si ricorre mai a persecuzione, tortura o pene o trattamenti inumani o degradanti e che non vi sia alcuna minaccia dovuta alla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato internazionale o interno[4].

 

2.3. In sede di convalida del trattenimento di un richiedente asilo in una zona di frontiera per la valutazione in forma accelerata della sua domanda di protezione, è certamente indispensabile – lo impone l’art. 13 della Costituzionevalutare se effettivamente sussistono i requisiti per l’applicabilità di tale procedura che, lo ripetiamo, è la sola ragione che giustifica il trattenimento del richiedente in quelle strutture. Per fare ciò – e dunque per accertarsi che il migrante provenga da un Paese sicuro, verso il quale esiste una presunzione di sicurezza che consenta l’avvio delle procedure accelerate – il giudice nazionale deve prendere in considerazione più elementi. Da un lato, la normativa europea e, in particolare, gli artt. 36 e 37 della direttiva procedure che, in sostanza, invitano gli Stati membri a predisporre una normativa, periodicamente aggiornata e comunicata alla Commissione, che consenta di designare a livello nazionale paesi di origine sicuri ai fini dell’esame (accelerato) delle domande di protezione internazionale. Dall’altro lato, la normativa nazionale che dà attuazione a tali indicazioni europee, ossia il decreto interministeriale che elenca i paesi ritenuti ‘sicuri’.

In questo quadro si inserisce la decisione della Grande camera della Corte europea di Giustizia del 4 ottobre 2024 (causa C‑406/22) che, sollecitata con un rinvio pregiudiziale del giudice del Tribunale regionale di Brno (Repubblica Ceca) a fornire la corretta interpretazione della nozione di paese di origine sicuro (con riferimento alla Moldavia) , si è espressa nel modo sopra richiamato. Il Tribunale di Roma, è bene evidenziarlo subito, ritiene di «non poter prescindere» da tale pronuncia.

In via generale, è infatti forse superfluo ricordare il carattere vincolante di tale pronuncia per i giudici italiani, trattandosi di una decisione della Grande Sezione che chiarisce la corretta interpretazione della pertinete normativa europea. I giudici nazionali, chiamati a fare applicazione di una normativa nazionale di diretta derivazione dal diritto europeo, non potranno che essere vincolati da questa sentenza nella loro attività interpretativa. 

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Non solo, la sentenza europea rimarca il dovere del giudice nazionale di rilevare, anche d’ufficio, l’eventuale violazione, nel caso sottoposto al suo giudizio, delle condizioni sostanziali della qualificazione di Paese sicuro enunciate nella direttiva 2013/32.  

 

2.3. Come è noto, il Tribunale di Roma ha deciso di non convalidare il trattenimento ritenendo che i Paesi d’origine dei migranti coinvolti – Egitto e Bangladeshnon potessero ritenersi paesi sicuri alla luce della più recente interpretazione di tale nozione data dalla Corte di Giustizia europea. In particolare, i giudici del Tribunale romano hanno ritenuto che «nelle conclusioni della scheda-Paese dell’istruttoria del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale per l’aggiornamento del sopra menzionato decreto interministeriale, basate su informazioni tratte da fonti qualificate di riferimento» entrambi i Paesi sono «definit[i] Paese di origine sicur[i] ma con eccezioni per alcune categorie di persone».

Si tratta, come evidente, di una conclusione cui i giudici non giungono autonomamente ma, al contrario, richiamando una fonte ministeriale che si esprime in questi termini. È opportuno evidenziare, infatti, che il sopracitato decreto interministeriale contiene l’apodittica elencazione – periodicamente aggiornata – dei paesi ritenuti sicuri. La specificazione della presenza di paesi ‘sicuri con eccezioni’ è infatti contenuta nelle schede-paese trasmesse dal Ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale, a cui peraltro l’art. 1 comma 2 del decreto ministeriale rimanda espressamente per l’esame delle domande di protezione internazionale. Proprio queste schede – compilate e aggiornate dal Ministero – analizzano puntualmente la situazione relativa ad ogni paese contenuto nell’elenco, evidenziando, quando presenti, eventuali eccezioni – territoriali o soggettive – alla generale designazione di un paese come sicuro[5].

Per quanto di nostro interesse, dalle informazioni contenute nella scheda-paese di Egitto e Bangladesh si evince che entrambi i Paesi sono definiti “sicuri ma con eccezioni per alcune categorie di persone”. Per quanto riguarda l’Egitto, le eccezioni riguardano oppositori politici, dissidenti, attivisti e difensori dei diritti umani o, comunque, coloro che possano ricadere nei motivi di persecuzione di cui all’articolo 8, comma 1, lettera e) del d.lgs. 19 novembre 2007, n. 251. Per quanto riguarda il Bangladesh, si riscontrano casi con un effettivo bisogno di protezione internazionale legati all’appartenenza alla comunità LGBTQI+, alle vittime di violenza di genere, incluse le mutilazioni genitali femminili, alle minoranze etniche e religiose, alle persone accusate di crimini di natura politica e ai condannati a morte, nonché il crescente fenomeno degli sfollati “climatici”, costretti ad abbandonare le proprie case a seguito di eventi climatici estremi.

 

3. Dalla applicazione dei principi formulati in sede europea, nonché dalle indicazioni fornite nelle fonti ministeriali, il Tribunale di Roma ha tratto la propria conclusione secondo la quale per i richiedenti asilo provenienti dall’Egitto e per quelli provenienti dal Bangladesh non sussiste il presupposto di applicazione della procedura accelerata in frontiera di cui all’art. 28-bis, comma 2, lett. b-bis), del d.lgs. n. 25/2008. Dal momento che il loro trattenimento è giustificato unicamente dall’espletamento di tale procedura, l’assenza dei requisiti richiesti per la sua applicazione diviene «ragione dirimente di esclusione della possibilità di convalidare il trattenimento in esame, con assorbimento di ogni altro possibile profilo di criticità, relativo al peculiare contesto normativo del trattenimento medesimo» [6].

L’assenza di un titolo di permanenza del richiedente protezione in tali strutture determina la riacquisizione da parte dello straniero dello status libertatis che, nel caso specifico, non comporta la liberazione nel territorio albanese ma, al contrario, l’attivazione delle Autorità italiane per la sua conduzione in Italia dove, è bene ricordarlo, i richiedenti saranno sottoposti alla procedura ordinaria di valutazione delle loro richieste di protezione e potranno presentare ricorso entro i termini previsti avverso il diniego di riconoscimento della protezione internazionale già pronunciato dalla Commissione territoriale.

 

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4. Il dibattito politico e la grande risonanza mediatica che hanno avuto le decisioni del Tribunale di Roma suggeriscono alcune brevi riflessioni.

 

4.1. Innanzitutto, emergono in modo lampante le grandi difficoltà legate alla effettiva operatività dei centri dislocati in Albania. Come abbiamo anticipato, già non mancano serie critiche relative alla compressione dei diritti dei migranti coinvolti, in particolare sotto il profilo del diritto di difesa (a titolo d’esempio, basti ricordare che il vaglio giurisdizionale sul trattenimento e sulla richiesta di protezione avviene, di regola, con la partecipazione da remoto tanto del richiedente, quanto del suo difensore). A queste considerazioni ora non potranno che aggiungersi quelle relative alla corretta individuazione dei cittadini stranieri effettivamente assoggettabili alla procedura accelerata e dunque trasferibili nei centri albanesi. Il problema – che già esiste nelle altre zone di frontiera – si pone con maggior forza in Albania dato che da ogni ‘errata valutazione’ scaturiscono non solo altissimi costi umani (pensiamo ai giorni di viaggio in mare a bordo di imbarcazioni militari non destinate al trasporto di passeggeri) ma anche economici, tanto che dopo le ultime dichiarazioni di esponenti politici, non è da escludersi che l’intera operazione sia presto sottoposta al vaglio della Corte dei conti. 

 

4.2. In secondo luogo, il rapido susseguirsi degli eventi (l’attività dei centri è iniziata solo la scorsa settimana) e la complessità della materia (si è in presenza di una intricata rete di connessioni tra normativa e giurisprudenza, nazionale ed europea) di certo non aiutano il dipanarsi della confusa narrazione politico-mediatica dell’intera vicenda. Ad esempio, le reazioni del Governo alla decisione del Tribunale di Roma (su tutti i giornali è stato riferito che il Ministro Nordio ha parlato di una ‘sentenza abnorme’) non sono state seguite da chiarimenti circa il destino dei migranti coinvolti lasciando quasi intendere che la decisione dei giudici romani ‘liberasse’ definitivamente i migranti e ne sancisse la loro inespellibilità tout court. Non è così: la mancata convalida del trattenimento ha una portata molto più limitata. Ai dodici migranti coinvolti non potrà essere applicata la procedura accelerata di valutazione delle domande di asilo, tuttavia, in Italia, saranno assoggettati alle normali procedure applicabili ai richiedenti asilo che, in caso di esito negativo, potrebbero tranquillamente condurre al loro rimpatrio nel paese di origine.

 

4.3. Desta sicuramente attenzione la recentissima approvazione di un decreto-legge che aggiorna, con atto avente forza di legge, l’elenco dei Paesi di origine sicuri. Nel momento in cui scriviamo abbiamo a disposizione unicamente lo stringatissimo comunicato stampa pubblicato all’esito del Consiglio dei ministri che lo ha approvato e, dunque, è sicuramente prematuro azzardare commenti su un testo che ancora deve essere pubblicato. Se davvero, però, l’intervento del Governo si sarà limitato a dotare di rango primario tale elencazione, al di là del maggiore valore istituzionale, è fin troppo evidente che ogni disposizione normativa, anche di rango primario, dovrà sempre a essere valutata dai giudici al metro dei principi costituzionale e del prevalente diritto dell’UE, così come interpretato dalla Corte di Giustizia.

Il vero quesito, semmai riguarda i margini di valutazione che spettano al giudice nazionale. Proprio su questo punto, si segnalano le preoccupazioni sollevate dall’Unione delle Camere Penali italiane che, in un comunicato del 20 ottobre, sottolinea il corretto operato dei giudici romani (i quali si sarebbero «limitati ad applicare la normativa europea di riferimento, in linea con le indicazioni vincolanti della Corte di Giustizia dell’Unione Europea» senza svolgere «alcuna particolare attività interpretativa» o tantomeno sostituendosi al potere esecutivo o a quello legislativo) ma mette in guardia dai possibili rischi legati agli scenari futuri: «Il Giudice deve valutare, infatti, anche d’ufficio se il Paese di provenienza del migrante sia sicuro secondo i principi espressi dalla stessa Corte, anche in contrasto con quanto stabilito dallo Stato membro. Una operazione delicatissima e ricca di implicazioni politiche di cui si grava la singola giurisdizione».

La questione, infatti, è tutt’altro che risolta. A luglio, dunque ben prima della richiamata pronuncia della Corte di Giustizia europea, lo stesso Tribunale di Roma aveva sottoposto alla Cassazione (che si pronuncerà il prossimo 4 dicembre) un quesito pregiudiziale sul tema.

Nel frattempo, il Ministero dell’interno ha presentato ricorso (consultabile in allegato) contro l’ordinanza del Tribunale di Roma (in particolare, contro l’ord. 42256/2024 che riguarda un cittadino del Bangladesh). Due i motivi per i quali si chiede l’intervento chiarificatore delle Sezioni unite: 1) se, nel caso di un Paese senza criticità in tutto il suo territorio nazionale (come il Bangladesh), sia legittimo considerare dirimente per il diniego della convalida del trattenimento, la sola presenza di criticità nei confronti dei diritti di alcune specifiche categorie di soggetti; 2) la carenza di adeguata motivazione circa il fatto che il richiedente si trovasse effettivamente in una situazione che giustificasse la disapplicazione della designazione del suo Paese di provenienza come Paese di origine sicuro.

L’auspicio è che questo nostro breve contributo, senza pretesa alcuna di completezza d’analisi delle complesse questioni coinvolte nella vicenda che dal fine settimana occupa le prime pagine dei media, possa risultare utile ai lettori della nostra Rivista per farsi un’idea e alimentare il dibattito. Come ha giustamente ricordato Luigi Ferrarella in un bellissimo corsivo sul Corriere della Sera del 20 ottobre 2024, è sempre fondamentale “conoscere per decidere” e per farsi un’idea.

 

 

 

 

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[1] Si veda il combinato disposto degli artt. 3, comma 2, della legge di ratifica, e 10, comma 2, lettera b-bis (introdotta dal d.lgs. n° 145 dell’11/10/2024).

[2] Con il decreto del 7 maggio 2024 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 105, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, di concerto con il Ministero dell’Interno e quello della Giustizia, ha emanato l’atto di aggiornamento periodico della lista dei Paesi di origine sicuri per i richiedenti protezione internazionale di cui all’art. 2-bis del decreto legislativo n. 25/2008.

[3] par. 83 della sentenza citata.

[4] La Corte, nella sentenza indicata, sottolinea che: «interpretare l’articolo 37 della direttiva 2013/32 nel senso che esso consente ai paesi terzi di essere designati come paesi di origine sicuri, ad eccezione di talune parti del loro territorio, avrebbe l’effetto di estendere l’ambito di applicazione di tale particolare regime di esame. Poiché una siffatta interpretazione non trova alcun sostegno nel tenore letterale di tale articolo 37 o, più in generale, in tale direttiva, il riconoscimento di una siffatta facoltà violerebbe l’interpretazione restrittiva cui devono essere subordinate le disposizioni derogatorie (v., in tal senso, sentenze del 5 marzo 2015,Commissione/Lussemburgo, C- 502/13, EU:C:2015:143, punto 61, e dell’8 febbraio 2024, Bundesrepublik Deutschland (Ricevibilità di un ricorso reiterato),C-216/22, EU:C:2024:122, punto 35 e giurisprudenza ivi citata)» (punto 71). A ciò deve aggiungersi la precisazione che la precedente direttiva consentiva l’esclusione di parti di territorio (e di categorie di persone), ma tale possibilità è stata abrogata con l’entrata in vigore della attuale direttiva, nonchè confermata dalla spiegazione dettagliata di tale proposta elaborata dalla Commissione e fornita al Consiglio dell’Unione Europea (punti 74, 75 e 76).

[5] Non pubblicate e consultate tramite procedura di accesso civico promossa da ASGI. Si legge sul sito dell’Associazione: «Ancora una volta, quindi, al fine di prendere visione dei sopra citati documenti endoprocedimentali, ASGI, come già in occasione dei precedenti decreti, ha formulato nei confronti dei Ministeri degli affari esteri, dell’interno e della giustizia, istanza di accesso civico generalizzato ai sensi dell’art. 5, c. 2, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33. A seguito dell’istanza, il Ministero degli Affari Esteri (Direttore Generale per gli italiani all’estero e le politiche migratorie) ha risposto inviando l’appunto n. MAECI_1311_06/05/2024_0056895-I a cui il decreto fa riferimento e con il quale sono  state  trasmesse  le  schede contenenti le determinazioni relative ai Paesi inseriti nell’elenco redatte dagli Uffici territoriali del Ministero. Sono state altresì trasmesse le schede Paese, che, come nel 2023, presentano parti di testo oscurate, sempre con motivazioni riconducibili alla tutela delle relazioni internazionali».

[6] Per un primo commento alle decisioni del Tribunale di Roma e, in particolare, ai profili riguardanti la primazia del diritto europeo si v. A. Natale, F. Filice, Nota ai provvedimenti di rigetto delle richieste di convalida dei trattenimenti disposti dalla Questura di Roma ai sensi del Protocollo Italia-Albania, emessi dal Tribunale di Roma, sezione specializzata nella protezione internazionale, il 18 ottobre 2024, in Questione giustizia, 22 ottobre 2024. 



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