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Progetto Itaca: l’associazione che si occupa di salute mentale ha compiuto 25 anni #finsubito prestito immediato


Itaca non è solo la patria di Ulisse, ma anche il titolo di una poesia del poeta greco Costantino Kavafis. In Italia, Itaca è il nome di un’associazione nazionale che ha tagliato il traguardo del quarto di secolo e che si occupa di persone con problemi di salute mentale e delle loro famiglie. Per approfondire meglio la sua storia e il suo ruolo, abbiamo parlato con Floriana Fiore: Responsabile Relazioni Esterne, Raccolta Fondi e Comunicazione. Floriana ci ha risposto dal quartier generale dell ‘organizzazione, che si trova a Milano.

Ieri (martedì 29 ottobre, n.d.r.), Progetto Itaca ha compiuto 25 anni. “Approfitto” di lei per ripercorrerne la storia. Quando, dove e com’è nata l’Associazione? Come si è sviluppata? Quale sarà il suo futuro?

Era il 29 ottobre 1999 quando un gruppo di persone, che viveva da vicino il disturbo psichico di un proprio caro, ha dato vita a Progetto Itaca. All’inizio non si poteva affatto immaginare che si sarebbe potuti arrivare a crescere così tanto e farlo così rapidamente. Oggi Progetto Itaca è una realtà riconosciuta a livello nazionale, presente in 17 città, con oltre 700 volontari e più di 50 operatori, impegnati nell’informazione, sensibilizzazione e supporto di oltre 23.000 persone ogni anno. Possiamo dire che si sia fatto tanto in questi anni ma ancora molto c’è da fare, soprattutto in quella che è la lotta allo stigma e al pregiudizio che ancora affliggono le persone che soffrono di disturbi psichici e le loro famiglie. Nel nostro orizzonte, infatti, c’è la volontà di continuare a rafforzare la sinergia fra enti del Terzo Settore, mondo delle Istituzioni e settore privato, al fine di produrre un concreto cambiamento in positivo a supporto di chi convive con un disturbo della salute mentale. E vogliamo continuare a sensibilizzare e informare in maniera corretta l’opinione pubblica su un tema così ampio e sfaccettato, di cui oggi se ne parla maggiormente, ma è necessario continuare a farlo e in maniera corretta e pertinente.

Lo scorso 10 ottobre, Palermo, nell ‘insolita veste di “capitale d ‘Italia”, ha ospitato una serie di manifestazioni (a una delle quali abbiamo partecipato anche noi: leggi qui). Ma il capoluogo di regione della Sicilia non è stata l’unica città italiana a essere interessata da eventi organizzati proprio per parlare di salute mentale. Può tracciare un bilancio complessivo di quella giornata per il nostro Paese?

Il 10 ottobre è stata una giornata memorabile. Palermo e moltissime altre città italiane sono state palcoscenico di un’iniziativa di Progetto Itaca – “Accendere il verde sulla Salute Mentale” – perché il verde è il colore che la rappresenta. Pertanto – in tutte e 17 le città dov’è presente una sede locale dell’organizzazione – i principali monumenti, palazzi e istituzioni si sono accesi in segno di vicinanza verso chi soffre di un disturbo della salute mentale. Palermo ha visto risplendere sia il teatro Massimo che il teatro Politeama, luoghi nei quali si sono svolte molte iniziative di sensibilizzazione organizzate dalla Fondazione Dragotto, che ha assegnato il suo Premio a Progetto Itaca “come doveroso riconoscimento nel 25° anniversario di impegno e di lavoro al fianco delle persone affette da disturbi mentali e delle loro famiglie, affermando grazie a un’attività pionieristica la dignità e la centralità dell’essere umano e il suo reinserimento in società”, come ha spiegato proprio il Presidente Tommaso Dragotto. Ma, sempre per la Giornata Mondiale della Salute Mentale, si sono accesi il Ministero della Salute a Roma, La Mole Antonelliana a Torino, Palazzo della Regione a Milano, come molti atri edifici e strutture storiche. Insomma, un ‘iniziativa clamorosa, che ha raccolto grandissima attenzione anche da parte dei media e che ci ha restituito nel suo complesso un grande segno di fiducia e solidarietà.

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Dalla pandemia in poi, i governi italiani hanno concesso un “Bonus Psicologo” a chi non può permettersi di pagare una psicoterapia. Cosa pensate voi di questa misura?

Il Bonus psicologo è stato introdotto nel 2022 e reso strutturale nel 2023. Quell’anno ha avuto una dotazione totale di 10 milioni, che ha consentito di coprire quasi il 3% delle domande. Per l’anno 2024 la dotazione è salita a 12 milioni, fondi che copriranno circa 1.500 domande. Non è facile comprendere con quali obiettivi tale strumento sia stato concepito. Se si voleva dare una prima risposta all’enorme bisogno scoperto di servizi per la salute mentale del nostro Paese, attingendo a risorse del mercato dei professionisti privati, allora è un provvedimento risibile. Le ultime rilevazioni del Ministero della Salute parlano, infatti, di un divario tra il personale per la salute mentale in servizio (circa 30.000 unità) e quello stimato sulla base degli standard dei Livelli Essenziali di Assistenza che lo Stato dovrebbe garantire, di oltre 11.000 unità di personale tempo pieno equivalente. Ricordiamo la Lettera Aperta dei direttori di 90 Dipartimenti di Salute Mentale rivolta due anni fa alla Meloni e a Mattarella per denunciare l’impossibilità di far fronte a circa il 40% della domanda di servizi di salute mentale dei territori, con la richiesta di destinare circa 2 miliardi aggiuntivi al Fondo Sanitario per raggiungere l’obiettivo minimo del 5% del Fondo per la Salute Mentale, come richiamato anche dalla sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 2022. Da questi numeri si comprendono bene le dimensioni del bisogno: uno stanziamento di 12 milioni è, in sostanza, inutile.
Aggiungo una nota di metodo: i disturbi di salute mentale necessitano di un approccio multidisciplinare. I migliori risultati e il miglior rapporto tra risorse investite ed esiti si ottengono quando è un team di psichiatra – psicologo – e figure educative (educatore/Terp/pedagogista o formatore) a prendere in carico una situazione di sofferenza. Infatti, i servizi di salute mentale del nostro Servizio Sanitario Nazionale sono stati concepiti e costruiti con questo approccio. Il problema è che oggi sono gravemente depotenziati. Al contrario, sembra perdente l ‘approccio del “bonus”: da un lato l’idea di bonus richiama il concetto della regalia di un bene non strettamente necessario, quando invece parliamo di garantire il bene primario per eccellenza: la salute. Dall ‘altro lato, suggerisce una soluzione differente, quasi opposta, a quella offerta dal SSN: cioè i servizi di un professionista psicologo, che lavora per lo più in solitudine, senza il supporto e la supervisione offerta da un team allargato.

In Sicilia, l ‘Assemblea Regionale Siciliana, ha approvato un disegno di legge per l ‘istituzione della figura dello Psicologo di Base. Ritenete sia fattibile assumere questo impegno in tutta Italia?

La figura dello Psicologo di Base potrebbe essere utilissima a patto che venga integrata nei servizi di salute mentale già presenti e operativi e lavori all’interno di un team multidisciplinare. Un impegno di questo tipo su tutte le Regioni richiede una visione comune – la salute mentale come priorità su cui investire – e una scelta politica, che destini a questo tema le risorse adeguate. Due condizioni molto improbabili. Abbiamo regioni pronte a investire cifre da capogiro su altri ambiti della salute, molto specialistici (le famose 28 cardiochirurgie lombarde). Restiamo un Paese culturalmente restio a investire sui servizi territoriali di comunità, che in salute mentale costituiscono la via maestra indicata da OMS e da qualsiasi Società professionale di psichiatria.

Relativamente allo stigma, che vige ancora nel nostro Paese, nei confronti delle persone che soffrono di disturbi mentali cosa è stato fatto finora per contrastarlo e cosa pensate si debba ancora fare?

Crediamo che non sia stato fatto molto per contrastarlo. Il canale di gran lunga prevalente attraverso il quale si parla di salute mentale – verso un pubblico generalista e adulto – resta la cronaca, in prevalenza nera. Nei servizi televisivi e negli articoli di stampa viene ancora propugnato il collegamento tra violenza, aggressività, devianza e disturbo mentale. L’immagine che si materializza nella mente di tanti, quando si parla di salute mentale, è il volto di Jack Nicholson in Shining o la scena della tenda della doccia in Psycho. Credo, quindi, che scontiamo ancora un grosso ritardo nella cultura della salute mentale… almeno nella popolazione over 35. Per questo, non immagino necessario inventare chissà quale campagna anti stigma. Sarebbe più efficace investire nella formazione dei giornalisti e comunicatori in genere, per arrivare a modificare linguaggio e categorie culturali… come avvenuto nella comunicazione in altri campi della salute o per le diversità etniche, di genere, di orientamento sessuale.

Il colore verde è associato alla speranza e voi lo avete associato alla salute mentale, in occasione della già citata giornata del 10 ottobre. Con quale speranza ci lasciate oggi?

L’eredità della Campagna condotta il 10 ottobre – e, direi in maniera ancora più ampia, rispetto ai risultati raggiunti in questi 25 anni che, per citarne uno su tutti, è quello di aver raggiunto 160.000 beneficiari dal 1999 a oggi – è proprio quello di continuare il nostro cammino e farlo in questa direzione che, evidentemente, è quella giusta e che punta alla speranza di una vita degna e inclusiva per tutti: per coloro che soffrono di disturbi psichici e per le loro famiglie. In tema di metafore, mi piace concludere raccontando che il nome Progetto Itaca è stato scelto dai fondatori proprio ispirati dalla poesia di Kavafis: la strada verso la salute mentale è lunga e piena di ostacoli, ma è nel viaggio che troviamo la forza. Il nostro motto è «Tieni Itaca sempre nella tua mente, raggiungerla sarà la tua meta».

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Barbara Giangravè
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