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Rischi psicosociali e carico di lavoro: come contrastare la… #finsubito prestito immediato


Milano, 30 Ott – Ormai non è più sufficiente parlare, per quanto riguarda i rischi professionali connessi alla salute psico-fisica, di stress lavoro correlato. C’è la necessità e opportunità di “aprire la prospettiva della prevenzione ad una analisi più ampia e corrispondente non solo a nuovi fattori di rischio (es. telelavoro), ma anche alla dimensione individuale che ne può derivare”. E parlando di rischio psicosociale si può più facilmente porre l’attenzione “sugli aspetti di progettazione, organizzazione e gestione del lavoro, nonché i rispettivi contesti ambientali e sociali, che potenzialmente possono arrecare danni alla salute psico-fisica: lo stress lavoro-correlato, la fatica mentale e condizioni di molestie e violenze sono tra gli effetti possibili”.

 

A ricordarlo è il “ Primo documento di consenso. Dallo stress lavoro correlato alla prevenzione dei rischi psicosociali”, prodotto a dicembre 2022 dal gruppo di lavoro sullo stress lavoro correlato (SLC) della Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione ( CIIP). Un documento che, come vedremo, non si sofferma solo sulla individuazione e valutazione del rischio psicosociale, ma fornisce indicazioni, con un occhio anche al ruolo dei servizi pubblici nella prevenzione, sulla individuazione di misure correttive collettive e individuali adatte alla gestione dei nuovi fattori di rischio stress lavoro correlato. Ad esempio occupandosi anche di fatica mentale, di monotonia, dei pericoli della ridotta vigilanza, della saturazione mentale e del tecnostress.

 

Dopo aver già riportato, in un precedente articolo, le indicazioni generali per la gestione del rischio e i suggerimenti per contrastare la monotonia, oggi ci soffermiamo sui seguenti argomenti:

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I rischi psicosociali e l’importanza della formazione

Nel capitolo 9 dedicato all’individuazione di misure correttive collettive ed individuali si sottolinea che gli interventi di formazione per la prevenzione del rischio stress lavorativo “non riguardano solo percorsi di apprendimento per incremento di conoscenza ma integrano e rendono efficaci molte delle azioni correttive”.

 

Se generalmente la formazione rivolta allo sviluppo di competenze tecniche “è più frequentemente pianificata perché tradizionalmente ritenuta utile, maggiore attenzione va dedicata alla costruzione di percorsi di apprendimento che concorrano a costruire il ruolo dei dirigenti e dei preposti”.

Infatti “la capacità di gestione dei singoli e dei gruppi di persone, la comunicazione, il coinvolgimento, il controllo e lo sviluppo di autonomia, l’attenzione al compito ed alle persone sono parte del ruolo che va costruito e sostenuto in azienda nonché preteso dalla direzione come dai sottoposti”.

 

Ricordiamo che al di là degli obblighi formativi contenuti nel D.Lgs. 81/2008 anche l’ Accordo europeo dell’8 ottobre 2004 sottolinea come la prevenzione, l’eliminazione o la riduzione dei problemi di stress lavoro correlato comportino “l’adozione di interventi che si riferiscono alle fonti del rischio e possono includere: misure di gestione e di comunicazione, la formazione dei dirigenti e dei lavoratori e l’informazione e consultazione dei lavoratori”.

 

I rischi psicosociali e il ruolo dei servizi pubblici

Nel capitolo 10 il documento si sofferma anche sul ruolo dei servizi pubblici nella prevenzione e gestione dei rischi psicosociali e dello stress lavoro-correlato.

 

Si ricorda che i Servizi Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro (SPSAL/SPreSAL) delle ASL/ATS hanno “funzioni di formazione, assistenza e vigilanza in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, rivolte alla prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, attribuite dalla Legge 833/78 di riforma del Servizio Sanitario Nazionale, confermate dal D.Lgs. 502/92 (istitutivo del Dipartimento di Prevenzione)” e dal D.Lgs. 81/2008 (Testo Unico).

E lo stesso Testo Unico (Articolo 10 – Informazione e assistenza in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro) assegna anche alle ASL compiti di promozione della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

 

Si indica poi che il Piano Nazionale della Prevenzione (PNP), declinato nei Piani regionali (PRP) e territoriali, prevede inoltre “un’analisi dei bisogni e dei dati epidemiologici relativi all’emersione di fenomeni patologici o disagi lavorativi legati allo stato di salute o di benessere della popolazione lavorativa”.

In particolare la linea di intervento sullo stress e sui rischi psicosociali (Programma Predefinito n.8) si propone di “innalzare gradualmente il livello di attenzione intervenendo in comparti identificati ‘a rischio’ attraverso l’attuazione di Piani Mirati di Prevenzione. Lo sviluppo di azioni rivolte ad incrementare la crescita della cultura della sicurezza, il coinvolgimento attivo degli stakeholders e di tutte le figure della prevenzione aziendale consentirà di seguire criteri di uniformità, trasparenza, equità nella prevenzione dei rischi psicosociali e dello stress, fenomeno che, come noto, è ampiamente sommerso”.

 

Si segnala poi che i Servizi di Prevenzione dovrebbero organizzarsi, quantomeno a livello regionale, con la costituzione di centri di accoglienza e gestione dei casi mediante équipes multidisciplinari sia per la ricognizione dei bisogni che per l’elaborazione delle più appropriate, conseguenti risposte”. E relativamente al piano formativo per gli operatori dei Servizi di Prevenzione e sicurezza occorre “rielaborare ed adeguare il programma formativo, finalizzato all’acquisizione di conoscenze specifiche in tema di Stress e Rischi Psicosociali, sui metodi e strumenti utilizzabili nel processo di valutazione del rischio, che lo rendano adeguato al contesto di riferimento”.

 

Il carico di lavoro mentale: rischi di ridotta vigilanza e di saturazione

Dopo aver parlato di formazione e del ruolo dei servizi di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro (SPSAL/SPreSAL), nel capitolo 9 si sottolinea che, riguardo alla prevenzione, oltre alle misure correttive collegate all’organizzazione e gestione del lavoro, si devono considerare “anche gli effetti del carico di lavoro mentale capaci di indurre: fatica mentale generalizzata, monotonia, ridotta vigilanza (con rischio di errori/incidenti), saturazione mentale (con rischio di disagio psichiatrico)”. E tutti questi potenziali effetti “andrebbero ricondotti ad interventi di miglioramento che riguardano i compiti, l’organizzazione delle procedure e dei tempi di lavoro, l’ambiente, le attrezzature in uso ed i dispositivi di conciliazione vita-lavoro”.

 

Sul rischio di ridotta vigilanza, gli indicatori proposti nel documento fanno riferimento “ad un’adeguata progettazione di compiti, segnali e dispositivi di controllo, variabili ambientali e layout, organizzazione temporale del lavoro, per evitare lo scadimento nel tempo delle prestazioni di rilevamento di segnali e/o diagnosi del sistema per non compromettere l’affidabilità del lavoratore che ‘vigila’ e, di conseguenza, la sicurezza del sistema”.

 

Questi i suggerimenti per contrastare la ridotta vigilanza:

  • “evitare di sottoporre il lavoratore a continue e differenziate richieste di attenzione
  • evitare di richiedere al lavoratore un’attenzione troppo prolungata, a prescindere dalla frequenza dell’evento da controllare
  • verificare che i segnali da controllare siano facilmente distinguibili
  • evitare richieste di rilevazioni rapide e consecutive (senza parametri di confronto sui displays)
  • ridurre l’incertezza del segnale attraverso conferme retroattive (feedback)
  • dotare l’operatore delle attrezzature tecniche necessarie a supportare la sua prestazione”.

 

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Riguardo, invece, al rischio di saturazione mentale gli indicatori fanno riferimento ad “un’adeguata progettazione per evitare sia la ripetitività di una singola mansione, sia l’eccessiva ‘somiglianza strutturale’ fra compiti diversi”.

 

Questi i suggerimenti per contrastare la saturazione mentale:

  • “aiutare l’operatore a percepire il senso del suo lavoro
  • coinvolgere l’operatore, convincendolo che i progressi raggiunti dal sistema dipendono anche e ‘comunque’ dal suo contributo lavorativo
  • renderlo consapevole che fa parte di un sistema dove l’operato di ciascuno permette la realizzazione degli obiettivi
  • renderlo partecipe delle decisioni organizzative”.

 

Rimandiamo, in conclusione, alla lettura integrale del documento di consenso che, riguardo alle misure correttive collettive e individuali adatte alla gestione dei nuovi fattori di rischio, si sofferma, anche con alcune tabelle, sul rischio tecnostress.

 

 

Tiziano Menduto

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l’articolo:

CIIP – Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione, “Primo documento di consenso. Dallo stress lavoro correlato alla prevenzione dei rischi psicosociali”, versione dicembre 2022, realizzato dal gruppo di lavoro composto da Antonia Ballottin (SNOP), Quintino Bardoscia, Tommaso Bellandi (SIE), Laura Bodini (CIIP), Danilo Bontadi (ANMA), Renata Borgato (Ambiente&Lavoro), Maria Pia Cancellieri, Paola Cenni, Alberto Crescentini (SIPLO), Angelo D’Errico (AIE), Priscilla Dusi (AIFOS), Claudia Fabris, Maria Frassine (AIFOS), Maria Grazia Fulco, Antonia Guglielmin (SNOP), Annalisa Lama (SIE), Michele Maisetti, Maurizio Martinelli (UNPISI), Modesto Prosperi (casa RLS Milano), Patrizia Serranti (SIE), Matteo Tripodina (AIRESPSA), Katia Razzini (UNPISI).

 

 



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