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E’ reato registrare le conversazioni della moglie, anche se in casa propria #finsubito prestito immediato


Per la Cassazione commette reato chi registra senza essere presente, anche se il fatto avviene in casa sua

La vicenda

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Un marito occulta un registratore all’interno della propria abitazione per registrare le conversazioni tra sua moglie ed il padre di lei, in quanto ha necessità di procurarsi le prove che le vicende di cui la donna minaccia di denunciarlo sono false e create ad arte. L’uomo si fa forte del fatto che l’apparecchio è installato nell’abitazione coniugale e, pertanto, egli non ha violato il domicilio della moglie in quanto esso è anche il suo domicilio. Ed infatti viene assolto.

L’analisi della Cassazione

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La Corte di Cassazione è stata più volte chiamata ad esprimersi sulla configurabilità o meno del reato di cui all’articolo 615-bis c.p. (illecite interferenze nella vita privata) nel caso in cui la captazione sia realizzata da soggetto non estraneo al domicilio dove essa avviene. La norma in questione tutela la riservatezza domiciliare, sanzionando la condotta di colui che risulti estraneo agli atti di vita privata registrati, mentre invece è lecita la condotta del soggetto estraneo al domicilio ma che è stato, anche solo temporaneamente, ammesso a far parte di quei momenti di vita privata. Sulla base di quest’ultimo presupposto, ad esempio, è stato escluso il delitto in questione in capo al padre ammesso ad accedere alla sua ex abitazione famigliare per visitare il figlio, e che aveva filmato senza consenso i suoi incontri con il minore (Cassazione, 24848/2023). Analogamente è stato assolto l’uomo che, all’interno di un’abitazione in cui era lecitamente presente, aveva filmato atti sessuali nei quali era personalmente coinvolto (Cassazione, 27160/2018). Il confine tra atto lecito ed illecito è dunque la presenza del registrante, il quale deve essere presente alla captazione, anche quando essa avvenga all’interno della sua abitazione, sia nei confronti degli ospiti sia degli altri abitanti. Tanto vero che la presenza parziale del registrante configura il reato in questione.

È il caso di un uomo che all’interno della propria abitazione ha registrato una conversazione di cui è stato parte solo temporaneamente. Durante la sua assenza, gli altri soggetti presenti, ignari di essere registrati, avrebbero potuto fare affermazioni che in sua presenza non avrebbero dichiarato, risultando del tutto irrilevante che si trattasse di stabili conviventi o di ospiti occasionali (Cassazione, 12713/2023). Il registrante, quindi, deve essere sempre e continuativamente presente alla conversazione che avviene all’interno di una privata dimora cui gli sia stato consentito di accedere.

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Il bene da tutelare

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Secondo i giudici della Suprema Corte, il bene da tutelare non è il domicilio in senso fisico, bensì la riservatezza delle azioni che in esso si compiono.

Secondo i giudici, inoltre “l’estraneità al domicilio non può essere intesa nel senso, riduttivo, che l’agente non deve essere titolare dello ius excludendi e/o condividere, stabilmente o occasionalmente, il luogo fisico in cui la persona offesa estrinseca la sua personalità“. Il concetto va inteso in altra e più elevata accezione: si richiede, “ai fini della configurabilità del reato, che il reo non partecipi a quella porzione di vita privata (registrata o ripresa) che si esplica all’interno del domicilio, quale esso sia“. In conclusione, “il reato di interferenze illecite nella vita privata deve ritenersi configurabile anche quando l’agente sia titolare o con-titolare del domicilio“.

La decisione

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Nel caso in questione, l’uomo ha registrato moglie e suocero all’interno di quello che è anche il suo domicilio (casa coniugale), ma senza essere presente alla conversazione. Egli non ha quindi partecipato a quella porzione di vita privata (la conversazione) che si è tenuta all’interno del domicilio della moglie. Per tale ragione, con la sentenza 18713 del 28/10/2024, la Cassazione ha annullato la sentenza di assoluzione.

Andrea Pedicone

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