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L’«opera» di Andreina Carpenito, il mosaico collettivo di Arezzo: il riciclo sociale diventa arte #finsubito prestito immediato – richiedi informazioni –


di
Lorenza Cerbini

Da 27 anni lavora al progetto per la chiesa dello Spirito Santo di Indicatore. Tremila metri quadrati di tesserine: l’ispirazione di Gaudì. Il sostegno dell’associazione Ezechiele

La segnaletica sulla Strada statale 69 che congiunge la Valdichiana al Valdarno indica semplicemente «Mosaico di Andreina». Non una dea, né una santa. Andreina Giorgia Carpenito è un’artista che ha stretto un patto personale con la cristianità. Da 27 anni lavora a un progetto ciclopico: ricoprire le pareti e la pavimentazione interna ed esterna della chiesa dello Spirito Santo a Indicatore (Arezzo) di mosaici. Ben tremila metri quadrati di superfici, la metà già terminati. Sul sagrato scorre un fiume dove i pesci volano e gli uccelli nuotano in una visione «onirica e paradisiaca», mentre alberi dalle forme inusuali alzano le loro fronde verso il cielo. Carpenito interpreta così il sogno che l’ispira. Rimanda all’ultimo capitolo della profezia di Ezechiele: l’acqua che sgorga dalla soglia del tempio porta fecondità anche nei suoli aridi per la salsedine.

Il mosaico di Andreina è una colossale opera di «art in sight» e come acqua purificatrice genera vita. La parrocchia dello Spirito Santo è oggi una realtà consolidata: ospita l’associazione culturale Ezechiele Aps, un centro polivalente delle arti e pure un dormitorio per gli artisti che vogliono donare il loro contributo al progetto. «Abbiamo accolto circa cinquecento persone, anche studenti Erasmus. Uno scultore spagnolo si è fermato cinque anni, poi ha aperto il suo studio in un paese vicino», dice Carpenito. Su quel sagrato dove negli anni Novanta «facevano manovra gli autobus, oggi scattano fotografie pellegrini e turisti», ricorda il parroco don Santi Chioccioli. Il mosaico sta rivelandosi una fonte di ricchezza sociale, culturale ed economica per la parrocchia e per Indicatore, frazione a dieci chilometri da Arezzo, cresciuta negli anni del boom economico sulla spinta dell’industria cittadina, orafa e dell’abbigliamento maschile soprattutto. Si andava lì solo per far visita al cimitero di guerra del Commonwealth (ospita 1267 caduti) o per gustare l’anatra al forno e il coniglio fritto durante la sagra paesana.




















































La «chiesa dello Spirito Santo è stata completata nel 1965 – dice don Chioccioli – Una chiesona pensata per accogliere molta gente e costruita nello stile dei tempi, facciata e colonne interne in cemento armato, un’enorme vetrata a illuminare il tutto, tantissima luce ad avvolgere l’altare che però risultava nascosto. Dire messa, poi, era difficile per il passaggio dei treni sulla vicina ferrovia. Umidità e infiltrazioni mettevano a dura prova le strutture adiacenti». Urgeva una ristrutturazione. Il mosaico «non è un abbellimento, ma un’opera di consolidamento», spiega il parroco.
Il mosaico si è sviluppato seguendo un ciclo di vita propria. «Don Chioccioli mi chiamò per commissionarmi la pala dedicata alla Pentecoste, oggi posizionata dietro all’altare. Avevo terminato da poco l’Academia di Belle Arti di Firenze, sezione pittura», dice Carpenito. Al dipinto seguirono le vetrate, utili per «attutire luce e rumori». Il sagrato? Era da sistemare anche quello, «240 metri quadrati di superficie ricoperta con pezzettini di mattonelle antiche donate dai cittadini, tutte rimanenze delle ristrutturazioni delle loro case».

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Un’opera di upcycling in tempi in cui non si parlava ancora di riciclo, riuso, seconda vita. La tecnica usata? «Lavorazione a trencadìs, pezzetti di ceramica aggregati da malta, senza un disegno specifico». L’ispirazione? «Gaudì, dopo una visita a Parco Guell a Barcellona. Impieghiamo anche i resti della lavorazione del marmo. Per il rivestimento di ciascuna colonna interna alla chiesa servono 500 chili di materiale». Ceramiche e marmi vengono tagliati a mano. Da undici anni Luigi Zampini è tra i volontari che collaborano al progetto. Seghetti, pinze e colla. Con Stella Bastini e Maria Clara Rosadi sta lavorando a una metopa da collocare sul pavimento della navata centrale della chiesa.

Di parola in parola, il mosaico ha varcato i confini nazionali e Andreina ha portato il suo sogno davanti a audience specializzate, ospite, ad esempio, dell’associazione francese della ceramica (Unecb). L’opera è anche inserita nella banca dati Cidm (Centro internazionale di documentazione sul mosaico), una sezione del Museo d’Arte della città di Ravenna. Bonificata dalle infiltrazioni, la parrocchia si è dotata di un dormitorio dove trovano alloggio studenti e tirocinanti. Un pullulare di gente e di contaminazioni. La chiesa di Santo Spirito è oggi un luogo di cultura e socializzazione per l’intera comunità. Durante l’anno, l’associazione Ezechiele (Carpenito ne è presidente) organizza corsi di pittura, grafica, arti applicate, scultura, lingua e pure di mosaico per i sordi. «Accogliamo persone con disabilità cognitive e down. Tra i progetti sociali, organizziamo percorsi di lavoro per i carcerati». Tra i fiori all’occhiello, la scuola di musica guidata dal maestro Massimo Nasorri. E per il futuro l’idea di creare un’officina delle arti riconosciuta a livello statale dove convivano professionisti e appassionati.

4 novembre 2024 ( modifica il 5 novembre 2024 | 10:21)

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