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Vendere o affittare una seconda casa a Milano sarà sempre più costoso: plusvalenza, aumento della rendita catastale e Imu #finsubito prestito immediato


di
Gino Pagliuca

Un’analisi di tutti gli scenari possibili se si è proprietari di una seconda abitazione, se si mette in affitto o si vene prima che siano trascorsi 5 anni

Sarà sempre più costoso tenere o vendere a Milano una seconda casa, indipendentemente che sia a disposizione o che venga locata. Una conclusione cui si può giungere esaminando le norme fiscali sulle abitazioni che non possono essere considerate abitazione principale del contribuente. Certamente si tratta di norme che hanno valenza nazionale, ma nella nostra città, vista la dinamica del mercato, rischiano di impattare molto più che altrove.

Un primo aspetto riguarda chi vende una seconda casa senza averla tenuta almeno cinque anni. In questo caso sulla plusvalenza (ovvero sulla differenza tra il prezzo di acquisto maggiorato delle spese relative alla transazione e delle migliorie documentabili apportate all’immobile e il prezzo di rivendita) si applica a scelta del contribuente un’imposta del 26% oppure (ma non conviene quasi mai) il guadagno ricavato viene aggiunto agli altri redditi ed è sottoposto a Irpef statale e addizionali regionale e comunale. Consideriamo una casa da 100 metri quadrati comprata al prezzo medio richiesto a Milano 4 anni fa secondo immobiliare.it. Allora si sono spesi 473mila euro, oggi se ne possono ricavare, sempre al prezzo medio calcolato dal portale, 542mila. Ipotizzando che ai 473mila iniziali si possano aggiungere per le spese notarili e le imposte pagate all’acquisto e per lavori di manutenzione straordinaria 25mila euro in totale rimane una plusvalenza di 44mila euro, per cui oggi bisognerebbe versare alle vendita 11.960 euro.




















































Il peso del capital gain aumenta molto se per una seconda casa si è ricorsi al Superbonus 110%. In questa ipotesi infatti il calcolo avviene sempre tra il costo iniziale e l’incasso finale ma per sfuggire all’imposta non basta che siano passati cinque anni dall’acquisto ma ne devono essere passati almeno dieci dalla fine dei lavori per il Superbonus. Non solo. Il Superbonus rappresenta sicuramente una miglioria dell’immobile e quindi a rigor di termini dovrebbe abbattere il capital gain, ma la Legge di Bilancio 2024 ha previsto un meccanismo penalizzante. 

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Se la vendita avviene entro cinque anni dalla fine dei lavori le spese relative al Superbonus rimaste a carico non possono essere portate in detrazione quando l’agevolazione sia avvenuta con sconto in fattura o cessione del credito (cioè praticamente sempre); se la vendita avviene dopo cinque anni ed entro dieci i costi sostenuti sono detraibili al 50% e per il capital gain si rivaluta il prezzo di acquisto all’indice Istat del costo della vita. Il provvedimento non è di agevole comprensione ma al di là dei tecnicismi il succo è molto chiaro: lo Stato cerca di riprendersi almeno in parte con una mano quello che ha dato con l’altra. Non è certo sbagliato in via di principio, però la trasparenza nel rapporto tra Fisco e contribuente avrebbe reso auspicabile che la norma non avesse valenza retroattiva. Va poi detto che il costo del capital gain finisce per riversarsi, almeno dove ci sono le condizioni di mercato, sul prezzo dell’immobile.

Si dirà: ma questo succede solo se si vuol vendere. Vero, ma in agguato c’è un altro rischio che in questo caso incombe su chi possiede una seconda casa ristrutturata con il Superbonus ma che continua a detenerne il possesso: l’aumento della rendita catastale e conseguentemente dell’Imu, imposta che a Milano certo non è a buon mercato visto che una casa media classificata dal Catasto come A2 l’imposta è di 2.628 euro, che scendono a 1.221 per le A3. L’Agenzia delle Entrate infatti si starebbe apprestando a inviare migliaia di lettere ai contribuenti invitandoli ad effettuare rivalutazione della rendita a seguito dei lavori. In pratica bisognerà calcolare se il costo delle opere con il Superbonus, ricalcolato in valori del 1989 (cioè dell’epoca a cui risalgono le rendite catastali tuttora in vigore) supera il 15% del valore fiscale dell’immobile. In questo caso si procede al passaggio di una classe catastale. Nel caso (improbabile per la verità) in cui il ricalcolo porti al 30% si sale di due classi. A Milano il gap tra una classe e la successiva in media è del 17% e l’Imu aumenterebbe in misura proporzionale.

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7 novembre 2024



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