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Dopo i tagli i comuni fanno cassa aumentando la tassa di soggiorno #finsubito prestito immediato


Gli introiti della tassa di soggiorno in Italia a fine novembre hanno toccato la cifra record di 976 milioni di euro nel 2024, ma manca chiarezza sull’utilizzo delle risorse da parte dei comuni, affossati dai tagli del governo. Il dato è stato calcolato dall’agenzia di consulenza Jfc, che prevede un aumento dell’incasso a 1,52 miliardi per il 2025. Il Lazio è in cima alla classifica con 295 milioni di euro seguito da Lombardia (108 milioni), Toscana (100 milioni) e Veneto (98 milioni).

Numeri che riflettono l’aumento esponenziale del turismo in Italia – giunto al picco di 133,6 milioni di arrivi e 447,2 milioni di presenze nel 2023 secondo l’Istat – ma che hanno un impatto controverso sui territori. Come sottolinea l’amministratore di Jfc, Massimo Feruzzi, «la tassa di soggiorno è considerata dai comuni uno strumento essenziale per acquisire risorse, la maggior parte delle quali utilizzate per interventi non turistici». Tra gli enti locali, sottolinea Feruzzi, «tali risorse vengono sempre più utilizzate per coprire buchi di bilancio». Diversi amministratori dichiarano di aumentare la tassa «in quanto costretti a causa dei tagli imposti dalla manovra di bilancio». Una situazione che non potrà che peggiorare: dopo la decurtazione di un miliardo inflitta lo scorso anno, ha denunciato l’Anci, il governo Meloni ha deciso di infierire sottraendo altri 3,7 miliardi per il 2025-2027.

Altri sindaci giustificano la decisione «affermando che l’imposta di soggiorno viene ritoccata al rialzo per fronteggiare l’overtourism» senza spiegare quali siano tali misure. In tutta Europa è esplosa la discussione sull’eccesso di turismo, che genera sovraffollamenti, invivibilità dei centri storici, disparità economiche e sociali, carenza di alloggi a scopo abitativo, scomparsa delle attività di quartiere. La tassa di soggiorno è un modo per costringere i turisti a compensare con un contribuito economico nelle casse pubbliche; tuttavia la legge 23/2011 impone di reinvestire gli introiti dell’imposta solo per finanziare interventi in materia di turismo.

Tra questi figurano i sostegni alle strutture ricettive e ai servizi pubblici locali, nonché gli interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali. Ma se i comuni, come evidenzia Jfc, utilizzano gli incassi soprattutto per risolvere le difficoltà economiche in cui versano anziché per le opere di pubblica utilità, di conseguenza i cittadini percepiscono solo gli effetti negativi del turismo. Anche per questo, negli ultimi mesi in Italia si sono accese le proteste contro la turistificazione. Tra gli apripista c’è stato il comitato Salviamo Firenze x viverci, che nelle scorse settimane ha organizzato una serie di proteste contro la proliferazione degli appartamenti destinati agli affitti brevi turistici, a scapito di quelli residenziali.

Anche a Roma la discussione è calda: dopo avere raccolto oltre mille adesioni al manifesto «Fermare la turistificazione», il Gruppo romano regolamentazione affitti brevi organizza oggi alle 18 un’assemblea pubblica per sensibilizzare le istituzioni sulla necessità di gestire le locazioni turistiche sulla scia di quanto fatto a Barcellona, Parigi e Lisbona. Inoltre, venerdì in piazza del Pigneto si terrà la manifestazione «Roma non è un albergo» che evidenzierà le preoccupazioni in vista del Giubileo 2025, quando nella capitale è previsto l’arrivo di 35 milioni di persone. Una cifra che è più del doppio rispetto al 2023, e che ha già generato l’aumento degli affitti del 20% negli ultimi 12 mesi secondo Immobiliare.it, oltre a un’innumerevole quantità di sfratti da parte di proprietari che guadagneranno di più con gli affitti brevi. Per contrastare tutto ciò, la tassa di soggiorno non serve.



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