Il made in Italy in cassa integrazione non fa rumore #finsubito prestito immediato

(a cura del Centro Studi di Confimi Industria)

C’erano tempi in cui il ricorso alla cassa integrazione da parte di un’azienda di medie dimensioni si sarebbe aggiudicato di diritto un titolo sui quotidiani. Erano gli stessi tempi in cui gli scioperi dei lavoratori non venivano archiviati come “impiccio del venerdì” per i cittadini.

Poi sono arrivati i tempi in cui soltanto gli operai delle grandi aziende in sciopero, e il ricorso alla cassa integrazione delle stesse, ha fatto rumore. Come se 12.000 lavoratori di un’azienda, magari partecipata pubblica, valessero di più dei 500.000 lavoratori appartenenti a tante piccole e medie imprese.

Adesso è il tempo della crisi economica europea, e tanto italiana, in cui la manifattura – proprio la stessa cui si deve la definizione di made in Italy e un nome di dicastero – dopo anni richieste di soccorso è in pieno segnale di allerta. Un allarme che però sembra brusio di sottofondo. 

Durante il secondo semestre del 2024 più del 20% delle aziende della nostra Confederazione è ricorsa alla cassa integrazione e il 26% intende usarla nel primo semestre 2025. I dati raccolti dal Centro studi di Confimi Industria durante l’ultima indagine flash sulla cig parlano chiaro. E lo fanno ad alta voce. Chi ha ricorso alla cassa l’ha fatto in prima istanza per necessità visto il calo di ordinativi e clienti (89%), segue la causa della crisi generale dell’economia italiana ed europea (34%), e solo 3,1 % per ristrutturazione aziendale.

Tra le aziende rispondenti perché sentono il tema “caldo” – meccanica (53%), servizi (10%) settore plastica e gomma (8%) – 7 imprese su 10 che hanno ricorso alla cassa lo hanno fatto per mantenere l’occupazione senza dover licenziare i propri collaboratori.

Lavoratori, operai, impiegati, tecnici: persone. E famiglie, visto che la maggior parte delle pmi italiane sono aziende familiari. Un’impresa su cinque grazie alla cassa ha tamponato momentaneamente le perdite senza però trovare una risoluzione e solo il 22% è riuscito a limitare i danni economici. È mentre si continua a cercare la colpa a quelle imprese che non riescono a tenere il passo con le nuove regole europee, Green deal per citarne una, l’anno nuovo alle porte non sembra promettere meglio. Nel primo semestre del 2025 più di un’azienda su 4 (26%) ha in programma di utilizzare la cig. Le motivazioni sono le stesse di questo autunno: previsione di calo ordinativi e clienti (84%), crisi economica generale (45%), ristrutturazione aziendale (4,5%).

Costo dell’energia, concessione di finanziamenti, sia pubblici sia privati, snellimento della burocrazia, regole e politiche in linea con quelle europee: non sono semplici richieste delle pmi italiane ma una domanda di aiuto.