Una decina di anni fa nelle città tedesche apparve una Mercedes invisibile. Era una campagna pubblicitaria per promuovere un nuovo modello di auto a idrogeno. L’auto era ricoperta di pannelli a led che riproducevano l’ambiente circostante, camuffandola. Al suo passaggio tutti giravano la testa incuriositi, con un interessante effetto paradosso: un oggetto talmente quotidiano da venire rimosso dalla percezione diventava d’improvviso alieno e, quindi, visibilissimo.
LE AUTO A IDROGENO NON FURONO MAI commercializzate (il costo di produzione era il doppio di quello per le equivalenti elettriche), ma quel cortocircuito cognitivo è molto utile oggi per imparare a vedere le automobili per quello che sono: congegni in linea di principio piuttosto utili, ma poco compatibili con la vita umana, soprattutto nei contesti urbani, in quanto responsabili della morte di decine di migliaia di italiani ogni anno. Ai tremila morti l’anno in Italia a causa delle collisioni stradali si aggiungono le decina di migliaia di persone la cui vita è abbreviata dalle emissioni nocive uscite dal tubo di scappamento, dai freni e dalle ruote dei veicoli a benzina e diesel – una pandemia di cui non parla quasi nessuno.
I CATANESI VANTANO IL TRISTE PRIMATO di essere minoranza nella propria città, dove ci sono più auto e moto che persone. A Milano, dove il tasso di motorizzazione si aggira da tempo intorno alle 50 auto per 100 abitanti, le automobili occupano circa il 70% di tutto lo spazio su strada. Le nostre città sono letteralmente invase dalle automobili: spesso sono lasciate in doppia fila, sulle aiuole, sulle corsie ciclabili. A Milano si stima siano circa 70-100 mila le auto in sosta illegale ogni giorno.
NELLE CITTA’ ITALIANE NON CI SONO mai state così tante automobili. L’Istat ha pubblicato i dati aggiornati sul tasso di motorizzazione: le auto sono aumentate nel 2023 in tutte le città.
TORINO E’ LA CITTA’ CON L’AUMENTO più rilevante: 36 auto per 1000 abitanti, seguita da Cuneo, Pistoia, Bolzano e Salerno. In media nei capoluoghi l’incremento è stato di 10 auto per 1000 abitanti. Rispetto a prima della pandemia c’è stato un incremento in tutte le grandi città, con picchi tra il 5% e il 6% a Milano, Napoli, Messina e Reggio Calabria. Malgrado il calo dei salari reali e complice il cronico sottofinanziamento del trasporto pubblico locale, gli italiani scelgono sempre di più l’auto privata come mezzo di spostamento.
L’ITALIA E’ GIA’ DA TEMPO IL PAESE con il più alto tasso di motorizzazione in Europa, passato da 59,6 auto per 100 abitanti nel 2015 a ben 64,6 nel 2023.
ABBIAMO FATTO UN’ANALISI sui dati Istat, calcolando il volume totale di tutte queste automobili. I risultati sono sconcertanti: con le auto in più apparse sulle strade di Milano tra il 2019 e il 2023 si potrebbero costruire tre stadi di San Siro; con quelle in più immatricolate a Roma si potrebbe costruire un nuovo Colosseo; a Bologna si potrebbe punteggiare la città con altre dieci Torri degli Asinelli; a Torino si riempirebbe metà dell’intero complesso industriale del Lingotto, dove è nata l’industria italiana dell’auto. Un’occupazione straordinaria di spazio urbano, che passa sotto silenzio perché ci siamo ormai abituati: non le vediamo più.
IL CONFRONTO CON LE GRANDI CITTA’ europee è impietoso: a Londra ci sono 22 auto per 100 abitanti, 27 a Parigi, 33 a Berlino. Ma in queste città si è deciso da tempo di restituire le città ai loro abitanti, riducendo in un colpo solo morti in strada, inquinanti dell’aria e gas climalteranti.
IN ITALIA LE POLITICHE DI QUESTO GOVERNO (e di quelli che lo hanno preceduto) vanno nella direzione opposta: la riforma del Codice della Strada, fortemente voluta da Salvini, è un attacco frontale alla mobilità sostenibile travestito da intervento urgente per la sicurezza stradale, che rende, tra le altre cose, quasi impossibile ai sindaci costruire nuove infrastrutture ciclabili, ridurre l’accesso delle auto (specialmente quelle inquinanti) ai centri urbani e sanzionare le infrazioni dei limiti di velocità. La legge di bilancio, inoltre, azzera ancora una volta i fondi per la ciclabilità urbana, taglia 134 milioni di euro alle metropolitane e addirittura dimezza (-2,64 miliardi di euro) il fondo per la transizione verde del comparto automotive (anche se poi 400 milioni sono rientrati dalla finestra).
MA PERCHE’ IN ITALIA CI SONO COSI’ TANTE auto? Le ragioni sono molteplici: il sottofinanziamento cronico del trasporto pubblico locale e regionale, la proliferazione di micro-zone industriali e artigianali lontane dai centri urbani, quasi mai collegate adeguatamente da mezzi di trasporto, leggi che impongono la realizzazione di nuovi posti auto ogni volta che si tira su un condominio. Il risultato è tanto evidente quanto non adeguatamente diagnosticato da politica e amministratori: siamo dipendenti dall’auto privata. Lo siamo perché non abbiamo investito nelle alternative e anzi, in alcuni casi, le abbiamo attivamente smantellate (pensiamo a tutte le linee di tram che una volta serpeggiavano nei centri urbani, rimosse nel secondo dopoguerra). Lo siamo perché abbiamo pensato lo sviluppo moderno delle nostre città, in realtà nate tutte pedonali, attorno all’automobile e non alle persone.
LA DIPENDENZA DALL’AUTO PRIVATA è una cosa seria, che può essere anche quantificata: secondo uno studio dell’Università di Dortmund, le famiglie con figli piccoli e i più poveri sono 4-5 volte più dipendenti dall’auto privata, e questo in paesi messi meglio di noi come la Germania e il Regno Unito. Al contrario di quanto sostenuto dalla retorica del ministro Salvini e di altri aficionados del motore a combustione, il diritto alla mobilità e la libertà di movimento si tutelano non consentendo la crescita esponenziale delle auto e relative infrastrutture, bensì potenziando le modalità alternative di trasporto e, anzi, scoraggiando l’acquisto e l’uso delle automobili. Il diritto alla mobilità è tutelato dando alle persone la facoltà di scegliere: chi non può scegliere è incatenato ad un’unica opzione. E come spesso accade, si rischia di iniziare ad amare le proprie catene.
SPEZZARE QUESTE CATENE, cioè liberarci dalla nostra dipendenza dall’automobile, è una questione non solo di salute e di clima, ma anche di giustizia sociale. Soprattutto se si considerano i costi che questa dipendenza ha in termini di vite umane e di aggravamento della crisi climatica, nonché l’impatto sproporzionato che l’inquinamento dell’aria e i fenomeni climatici estremi hanno proprio sui più vulnerabili e i poveri. La nostra priorità dovrebbe essere diversificare la produzione, elettrificare per non perdere il treno della transizione ecologica e investire nel ripristinare le nostre città come luoghi dove si possa prima di tutto vivere, e bene. Habitat per gli esseri umani e non per le quattro ruote.
* Direttore Clean Cities Italia
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