Per la Siria e la sua nuova leadership è la sfida più grande: la convivenza. Ahmed al-Sharaa, l’uomo che ha rovesciato Bashar al-Assad con il nome di battaglia di Abu Muhammad al-Jolani, ha preso il potere cercando di svestire i panni del leader su cui pendeva la taglia americana per “terrorismo”. Da guida di Hayat Tahrir al-Sham, una coalizione di milizie che comandava su Idlib con gruppi ribelli radicali e islamisti, il nuovo leader di Damasco vuole e deve presentarsi con un volto nuovo. Il volto di chi cerca di rappresentare tutte le componenti del mosaico siriano: sunniti, sciiti, alawiti, cristiani, donne e uomini, curdi e arabi. Un mondo che prima era tenuto insieme dal regime: a fatica e con la repressione. E che ora deve riuscire a coesistere e svilupparsi senza la dittatura e senza il Partito Baath.
Le prime mosse
L’obiettivo è il più alto possibile. Riuscirvi, però, è difficile. Perché adesso i nuovi “padroni” di Damasco devono far capire al mondo di essere in grado di governare il caleidoscopio siriano, e devono farlo capire attraverso mosse concrete, sul campo. Ma scrollarsi di dosso le vesti di ribelli non è semplice e cancellare il passato può essere complicato e considerato pericoloso da chi sotto il precedente regime era garantito. La comunità internazionale osserva e giudica dai fatti. Le visita dei ministri degli Esteri di Francia e Germania (anche a nome dell’Unione europea) rappresentano un primo passo. Gli Stati Uniti vogliono capire fin dove fidarsi delle mosse del governo ad interim guidato da Hts. E nonostante l’invio di una delegazione ufficiale nella capitale siriana, sembrano ancora molto cauti. Ancora più lo è Israele, che ha già fatto capire di non fidarsi della nuova Siria guidata dal fu Jolani.
Le prime mosse saranno dunque fondamentali. Sharaa ha mostrato di volere unificare la Siria evitando settarismi e soprattutto discriminazioni. Ma non tutti la pensano allo stesso modo all’interno della sua coalizione di milizie ribelli. Le formazioni più radicali premono per una svolta netta sul fronte dell’islamismo. E la paura è che il governo, in attesa della nuova Costituzione, debba muoversi su una strada tortuosa e non priva di pericoli per le minoranze. L’attenzione è alta, e lo ha dimostrato anche la luce accesa sulla prima riforma del nuovo regime: quella dei programmi scolastici. A Damasco, come ovvio, vogliono cancellare qualsiasi riferimento agli Assad e al Partito dai libri di testo e dal programma. Ma la prima bozza della riforma voluta dal nuovo ministro dell’Istruzione ad interim Nazir Al-Qadri ha destato non poche perplessità tra addetti ai lavori, minoranze e comunità internazionale.
La riforma scolastica
Tra le idee del ministro, infatti, c’era quello di eliminare dai testi scolastici il capitolo ”sull’origine e l’evoluzione della vita”- Sono stati tolti anche riferimenti a poesie sulle donne o sull’amore. Una frase, “coloro che sono dannati e si sono smarriti”, è stata sostituita con una molto più netta e tipica dell’interpretazione più rigida del Corano, e cioè “ebrei e cristiani”. E il martire, che per l’ideologia nazionalista del Partito Baath era colui che sacrificava se stesso “per difendere la propria patria”, ora è colui che decide di ”sacrificare la propria vita per la causa di Dio”. L’educazione “nazionale” diventava “religiosa”. E secondo L’Orient Le Jour, anche lo studio della storia subiva dei ritocchi di non poco conto, tra cui il mandato del presidente Shukri al-Quwwatli degli Anni Quaranta del secolo scorso, o addirittura la leggendaria regina di Palmira, Zenobia.
L’annuncio ha preoccupato molti, soprattutto chi teme una islamizzazione del settore pubblico. Subito dopo le prime notizie ufficiali della riforma, il ministero ha precisato che «i programmi scolastici in tutte le scuole in Siria sono ancora in vigore finché non verranno formati comitati specializzati per rivedere e verificare i programmi». E ha provato a minimizzare dicendo che a parte l’interpretazione di alcuni versetti coranici, la bandiera e le frasi in cui si glorificavano gli Assad, i programmi non sarebbero stati toccati. Una mossa che per molti fa capire come a Damasco siano preoccupati dell’immagine data al resto del mondo, in cui tanti vogliono evitare che Hts e gli ex ribelli trasformino il Paese in uno Stato a trazione islamista. Ma che conferma anche la preoccupazione del leader, al-Sharaa, sulla tenuta del tessuto sociale siriano. Il nuovo regime ha garantito che la scuola sarà aperta a tutti, che garantirà le minoranze, le donne, che sarà ricostruita in piena collaborazione con le organizzazioni internazionali. Ma chiaramente tutto dipenderà dalle scelte definitive. E se il freno (almeno a parole) alla riforma è sentito da molti come una vittoria democratica e dei moderati, dall’altro lato il testo proposto dal governo ad interim è stato un campanello d’allarme.
Il bivio
Per Damasco, questo è il momento delle scelte e i “ribelli” che hanno destituito Assad ora si ritrovano a un bivio. Cancellare il passato degli Assad e l’eredità del Baath viene considerato un percorso quasi scontato. Ma la convivenza è un elemento essenziale per evitare che la Siria piombi nel caos. Dal punto di vista economico e sociale, la situazione è disastrosa. Migliaia di siriani stanno rientrando in patria dopo la caduta del regime. Dalla fuga di Assad a Mosca, secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) più di 115mila persone sono tornate in Siria dopo essere stati per anni in Turchia, Giordania e Libano. Ma al Paese manca tutto ed esistono ancora sacche di resistenza dei lealisti del Baath. Giovedì le forze di sicurezza di Damasco hanno lanciato una vasta operazione a Homs, nella Siria centrale, nei quartieri della minoranza alawita. L’operazione è rivolta contro “criminali di guerra e persone coinvolte in crimini e che si sono rifiutate di consegnare le armi e di recarsi nei centri di regolarizzazione”, hanno spiegato dal ministero dell’Interno, e prende di mira anche “latitanti, munizioni e armi nascoste”. I miliziani legati ad Assad, gli ex membri delle shabiha, non hanno ancora consegnato i loro arsenali. E la paura è che possa sorgere una guerra civile strisciante in grado di durare per molto tempo.
Lo scontro tra il potere centrale e le milizie alawite è ancora duro, complice l’appartenenza degli Assad a questa comunità e alla forte preoccupazione della minoranza per il proprio futuro. Ma tutti aspettano la prova dei fatti e la risposta ai tanti dubbi sulla capacità del nuovo regime di mantenere in vita il mosaico siriano. Un sistema in cui hanno convissuto per secoli comunità religiose ed etnie diverse e che adesso, dopo il pugno duro della dittatura, deve riuscire a convivere anche con quelle milizie che prima controllavano Idlib e ora l’intera Siria.
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