di Paolo Valentino
Giallo sulle parole dell’Alta rappresentate Kallas: «Francia e Germania a Damasco a mio nome»
L’Europa prova a battere un colpo in Siria. Ma la missione europea si scontra subito con il riflesso condizionato di un nuovo regime, che non riesce a celare la sua pulsione islamica e fondamentalista. I ministri degli Esteri di Germania e Francia, Annalena Baerbock e Jean-Noël Barrot, hanno incontrato ieri a Damasco il nuovo uomo forte del Paese mediorientale, Ahmed al-Sharaa, noto come Al Jolani. Sono i primi esponenti dell’Ue a visitare la capitale siriana, da quando, l’8 dicembre scorso, i ribelli islamisti di Hayat Tahrir al-Sham (Hts) ne hanno preso il controllo, precipitando la caduta del regime di Bashar Assad.
Il viaggio a sorpresa vuole essere un segnale di cauto ottimismo mandato al nuovo potere. Ma inizia con il piede sbagliato, nel momento in cui Al Jolani si è rifiutato di stringere la mano alla ministra Baerbock. Eppure i due inviati europei hanno indicato paletti e condizioni precise (a cominciare dal rifiuto a finanziarie nuove strutture islamiche) affinché l’Europa possa forgiare un nuovo rapporto con la Siria. «Veniamo qui con la mano tesa, ma anche con chiare aspettative», ha detto Baerbock, ricordando il passato estremista di Hts, già branca di Al Qaeda durante la lunga guerra civile, e aggiungendo che Al Jolani e i suoi saranno giudicati in base alle loro azioni, a cominciare dal rispetto per i diritti delle minoranze: «Sentiamo e vediamo il desiderio di moderazione e dialogo con altri attori», ha detto la ministra tedesca, citando i colloqui avviati da Hts con la componente curda, sostenuta dagli Stati Uniti.
La missione franco-tedesca, una sorpresa positiva visto lo stallo dei rapporti tra Parigi e Berlino, innesca tuttavia un piccolo giallo a livello comunitario. Quando infatti i due capi delle diplomazie erano già nella capitale siriana, la nuova Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza, l’ex premier estone Kaja Kallas, si è appalesata sulla piattaforma X con un post nel quale ha spiegato che Baerbock e Barrot «sono a Damasco in rappresentanza dell’Ue e a mio nome». «Il nostro messaggio alla nuova leadership siriana — così Kallas —: è della massima importanza rispettare i principi concordati con gli attori regionali e assicurare la protezione di tutti i civili e le minoranze».
Ora, è difficile immaginare che sia stata Kallas a investire Baerbock e Barrot della missione. E questo conferma, una volta più delle altre, che la politica estera europea rimane fermamente in mano ai governi. Eppure, sarebbe sbagliato vedere il post dell’ex premier estone solo come il tentativo di mettere il cappello su qualcosa che non controlla. Da quando è arrivata al vertice del Seae, di fatto il ministero degli Esteri dell’Ue, Kallas sta infatti provando a dare nuova efficacia all’incarico, dopo gli anni delle «grida» di Josep Borrell, tanto loquace quanto sostanzialmente privo di influenza. Decisa a trasmettere l’immagine «di un nuovo sceriffo in città», l’ex premier baltica ha da subito messo il suo sigillo, rimuovendo il segretario generale del Seae, l’italiano Stefano Sannino. Ha poi cambiato il tono sul tema a lei più caro, il sostegno all’Ucraina, abbandonando la tradizionale formula «per tutto il tempo che sarà necessario» con un più robusto e chiaro «fino alla vittoria». Si è inoltre espressa decisamente in favore del sequestro dei fondi congelati della Russia, per usarli nell’aiuto a Kiev, tema molto controverso fra i Ventisette.
È vero però che sin dall’inizio e nonostante la gravitas da ex premier, Kallas ha dovuto toccare con mano i limiti dell’incarico, vaso di coccio tra le altre istituzioni comuni e i governi nazionali. Due esempi posso rendere l’idea: una settimana dopo la caduta del regime di Assad, è stata la presidente della Commissione Ursula von der Leyen a precipitarsi ad Ankara per incontrare il leader turco Erdogan, vero vincitore della partita siriana. Mentre, a metà dicembre, è stato il nuovo presidente del Consiglio europeo, António Costa, a gestire il vertice con i Paesi dei Balcani occidentali, candidati all’ingresso nella Ue.
La missione in Siria dei ministri di Germania e Francia sembra confermare questa dinamica. Ma il fatto che Kallas abbia potuto far capolino e rivendicare una paternità europea è un segnale nella giusta direzione. Non solo, ma l’ex premier estone si è anche risparmiata lo sgarbo fondamentalista inflitto a Baerbock da Al Jolani.
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