Dispositivi medici, l’allarme delle aziende tenute a restituire i fondi: «Il payback può farci chiudere»

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Sara TIrrito

La normativa attuale, non cancellata dalla legge di bilancio, prevede che le imprese di dispositivi medici restituiscano allo Stato metà del debito delle regioni sul tetto di spesa previsto dal Fondo sanitario nazionale per i macchinari. L’azienda Estor: «Se ci costringono a pagare ci estinguiamo», la multinazionale B.Braun: «Per accantonare le somme dei rimborsi disinvestiamo in ricerca e sviluppo»

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«Sviluppiamo le tecnologie che salvano la vita alle persone, ma con il payback siamo condannati all’estinzione». È rassegnato Mattia Bellaviti, amministratore delegato di Estor, azienda di macchinari per le terapie extracorporee con sede a Pero, in provincia di Milano.

Come tutti i produttori di dispositivi medici si sente escluso dal governo, che nella legge di bilancio appena approvata non ha previsto la cancellazione del payback sanitario




















































Cos’è il payback sui dispositivi medici

Introdotto nel 2015 ma in vigore dal 2022, il sistema stabilisce che le aziende che producono dispositivi per gli ospedali rimborsino allo Stato il 50% del debito contratto dalle regioni sul tetto di spesa previsto dal Fondo sanitario nazionale per i macchinari (il 4,4% del totale). Nel caso di Estor, pagare significherebbe affrontare una perdita di esercizio tra i 500 mila euro e 1,3 milioni minando l’esistenza stessa dell’attività. «Un’azienda come la nostra produce 200 mila euro di utile netto all’anno – dice Bellaviti –, l’impatto del payback nella sua forma completa sarebbe di 1,5 milioni circa: significa essere in perdita in modo cronico e il giorno in cui ci costringeranno a pagarlo Estor cesserà di esistere». L’azienda fabbrica apparecchi per la respirazione e distribuisce filtri ultra avanzati per l’emodialisi. Entrambi i device servono a migliorare la qualità di vita dei pazienti, e in alcuni casi a salvarli. «Durante la crisi pandemica il dispositivo per la respirazione, brevettato e realizzato in Italia da noi, è andato in esaurimento scorte perché non riusciva a soddisfare le richieste, oggi per fortuna se ne vendono meno ma nelle terapie intensive permette ancora ai pazienti di tornare a casa sulle loro gambe». 

Un altro dispositivo in portfolio serve a praticare l’emodialisi nei pazienti con comorbidità: «Circa 2 mila persone faticano a sopportare la dialisi convenzionale, noi portiamo filtri biocompatibili che depurano il sangue al di fuori del corpo e consentono ai fragili di conservare uno stato di salute accettabile, ad esempio in attesa di un trapianto». 

Le aziende più piccole temono di chiudere

L’azienda ha 40 dipendenti e un fatturato annuo di 12,5 milioni. È nata 20 anni fa in Italia come spin-off di Sanofi e oggi rifornisce 300 ospedali tra pubblico e privato. Nei mesi scorsi ha provato a chiedere un affidamento a una banca ma gli è stata chiusa la porta: «Ci hanno detto che siamo diventati un cliente meno affidabile perché la nostra categoria è soggetta a payback, il paradosso è che se saremo in perdita verremo anche esclusi da alcune gare d’appalto». La normativa attuale ha valore retroattivo e si applica per trienni, 2015-2018 e 2019-2022 quelli già trascorsi. Pochissime aziende finora hanno saldato il conto, prima di pagare hanno presentato 1.800 ricorsi al Tar. A fine luglio la Consulta si è espressa a favore del payback, ritenendo legittimo che gli imprenditori compensino gli sforamenti dal 2015 al 2018, ma la categoria spera ancora in una sentenza del Tar che arriverà a febbraio e sul pronunciamento della Corte di Giustizia europea, chiamata a esprimersi.

Le imprese più strutturate riducono gli investimenti

Nel frattempo, le aziende più forti stanno accantonando le somme per i rimborsi. È il caso di B.Braun, multinazionale di origini tedesche che produce bisturi, sacche per pazienti stomizzati e altri dispositivi sanitari. Aperta 102 anni fa in Italia, oggi ha 4 sedi e cui 2 stabilimenti produttivi e ha chiuso il 2023 con 300 milioni di ricavi con 700 dipendenti. Il rimborso previsto dalla legge attuale inciderebbe sul loro fatturato per il 30%. «Pagare il payback per noi significa rinunciare a crescere e sta già succedendo – spiega l’amministratore delegato Oliviero Pelosini –, avevamo un ritmo di investimenti a doppia cifra, solo nello stabilimento principale, a Mirandola, siamo passati da 250 a 500 dipendenti di cui 50 in ricerca e sviluppo in pochi mesi. Dal 2019 il quadro payback si è aggravato e siamo fermi, stiamo accantonando le somme per far fronte ai rimborsi».

Quanto vale l’industria dei dispositivi medici

Oggi l’industria dei dispositivi medici in Italia conta circa 4.600 imprese con 177.600 dipendenti, ha un giro d’affari di 18 miliardi di euro e, secondo le stime della Confindustria di categoria, incide per il 75% sul mercato della sanità pubblica. «Questo capitolo non può chiudersi con la manovra finanziaria – dice il presidente di Confindustria dispositivi medici Nicola Barni –, l’effetto dei rimborsi sarà disastroso, con fallimenti di aziende, migliaia di lavoratori a rischio e carenza di dispositivi negli ospedali: il governo non può lasciare morire un intero comparto».

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5 gennaio 2025 ( modifica il 5 gennaio 2025 | 09:31)

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