Lula riduce la spesa pubblica ma ai mercati non basta (mai): dollaro alle stelle

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Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 


È uno strano paradosso, quello del Brasile: malgrado l’anno si sia chiuso con una crescita del Pil del 3,5%, l’inflazione sotto controllo, il minor tasso di disoccupazione dal 2012 (pari al 6,1%), l’aumento del reddito medio degli occupati e la crescita degli investimenti, il capitale finanziario riesce comunque a spingere il governo Lula all’angolo, coadiuvato dai grandi gruppi mediatici.

E sì che il governo ce l’ha messa tutta per, come si suol dire, calmare i mercati. Proprio con l’obiettivo di contenere l’aumento della spesa pubblica in linea con la “regola fiscale” in vigore dal 2023, il governo aveva annunciato, alla fine di novembre, un pacchetto di tagli – per un totale di 70 miliardi di reais (11 miliardi di euro) in due anni – che, tuttavia, non aveva sortito l’effetto desiderato, spingendo addirittura il dollaro a sfondare per la prima volta quota 6,20 reais. Un pacchetto che il Congresso, il 20 dicembre, aveva provveduto ad approvare ma in una versione annacquata, lasciando per esempio inalterati i supersalari dei funzionari pubblici.

Contro i tagli si è però schierata una parte della sinistra, a cui non è bastata la proposta, non ancora inviata al Congresso – e la cui approvazione non è affatto scontata – di elevare la fascia di esenzione dell’imposta sul reddito a chi guadagna fino a 5mila reais, in cambio di un’aliquota del 10% per chi percepisce più di 50mila reais al mese. Molto criticate, in particolare, le restrizioni all’accesso dei benefici sociali e l’introduzione di un tetto all’aumento reale del salario minimo (al di sopra dell’inflazione) in base ai parametri della regola fiscale, compensata tuttavia dall’incremento del salario minimo di 106 reais rispetto al 2024, annunciato da Lula il primo gennaio e già in vigore.

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 

Che il programma di austerità fiscale non sia stato digerito bene neanche all’interno del Partito dei lavoratori, lo ha indicato il voto contrario di tre deputati, tra cui un autorevole esponente del Pt come Rui Falcão, che ha giustificato il suo no con la «riduzione dei diritti» operata dai tagli, precisando di non aver sentito il bisogno di comunicare previamente la sua decisione né a Lula né al ministro delle finanze Fernando Haddad: «Non mi hanno consultato sul pacchetto, perché avrei dovuto avvisarli?» È proprio questa del resto una delle principali critiche rivolte al governo: il fatto che non abbia sentito il bisogno di ascoltare l’opinione del partito, tra l’altro diviso tra chi sollecita una sterzata a sinistra e chi auspica uno spostamento al centro.

Né è stato preso bene a sinistra l’annuncio di Haddad, il 20 dicembre, sull’adozione di nuove misure di contenimento della spesa anche nel 2025, al fine di assicurare la sostenibilità dei conti pubblici: un modo efficacissimo di alimentare gli appetiti sempre insaziabili del “mercato”. E ciò malgrado il debito del Brasile sia pari oggi a circa il 75% del pil, uno dei più bassi tra le grandi economie mondiali.

Sull’imperativo dell’aggiustamento fiscale, che «non risparmia nemmeno le politiche sociali», si è scagliata anche l’economista Rosa Maria Marques: «È stata fatta una scelta», quella dell’adesione alla tesi dell’austerità, e «non ha senso continuare a dire che ciò deriva da rapporti di forza sfavorevoli», perché «ci sono cose che non vengono proposte e ci sono limiti che non possono essere superati».

Tanto più che la debolezza del governo ha il solo effetto di rendere le destre più aggressive. Lo dimostrano, tra l’altro, le continue allusioni all’età avanzata del presidente e al suo stato di salute: dal suo intervento del 10 dicembre per un’emorragia intracranica (in seguito alla caduta del 19 ottobre), la stampa si è scatenata evocando un possibile effetto Biden per le presidenziali del 2026. Senza contare che la sola notizia della sua operazione al cervello era già bastata a migliorare l’umore del mercato finanziario. Ma non c’è da sorprendersene: secondo un recente sondaggio Quaest, condotto dopo la rivelazione del piano del governo Bolsonaro per uccidere Lula, l’80% degli operatori finanziari voterebbe l’ex “Mito”, peraltro ineleggibile, contro l’attuale presidente.

Una buona notizia per il governo viene tuttavia dalla fine del nefasto mandato alla guida della Banca centrale di Roberto Campos Neto, la cui politica monetaria si è distinta per un totale allineamento agli interessi del capitale finanziario, a scapito delle necessità del paese. A subentrargli è stato, il primo gennaio, Gabriel Galípolo, già segretario-esecutivo del ministero delle finanze nel governo Lula.



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