Metadiario – 255 – La morte di Ornella (AG 2003-006)
Il 30 agosto 2003 salii le tre ore abbondanti di percorso per raggiungere il rifugio della Lobbia Alta con Alessandro Beltrami, futuro compagno di Ermanno Salvaterra per grandi imprese in Patagonia.
In realtà ci fermammo al colle, dove era stata eretta una confortevole baracca prefabbricata che ospitava non solo gli alpinisti ma anche gli operai che in quei giorni stavano ristrutturando lo storico rifugio della Lobbia Alta che troneggiava una cinquantina di metri sopra di noi.
Eravamo all’ultima stagione di Save the Glaciers, e quella era la volta dell’Adamello, dove la discarica del rifugio era andata a confondersi con gli storici resti della prima guerra mondiale.
Il giorno dopo si aggiunse a noi anche la guida Roberto Manni, altro grande compagno di Salvaterra; il 2 settembre Alessandro fu sostituito dal padre Tarcisio Beltrami, che sarebbe rimasto con me e Roberto fino alla sera del 6 settembre. Una settimana tranquilla, segnata da un duro lavoro con tempo sempre bello e gratificata da una splendida gita alla Cima della Croce e al suo famoso Cannone, una bestia da non so quante tonnellate i cui pezzi durante la guerra gli alpini avevano trascinato fin lassù e poi assemblato.
Il 7 settembre fu l’ultimo, un drappello di una dozzina di giornalisti venne elitrasportato assieme a Mario Pinoli al rifugio per assistere alle operazioni di sgombero. L’elicottero compì diverse rotazioni, per poter trasportare i 5.660 kg di metalli che avevamo raccolto.
Però, dopo le interviste e il pranzo, il tempo, come previsto, si guastò: temevamo fortemente che l’elicottero non potesse prelevare i giornalisti. Fra loro serpeggiava il panico al solo pensiero non solo di rimanere bloccati a 3.000 metri, ma anche di non poter essere al posto di lavoro il giorno dopo.
Passò circa un’ora, spiavamo le nebbie che ci circondavano incuranti delle nostre apprensioni. Mario e io sapevamo bene che non avevamo alcuna colpa di quel contrattempo, però… sapevamo pure che il successo di un’operazione promozionale dipende anche da queste cose. Ci vuole fortuna.
Verso le 15 si aprì una schiarita, avvertimmo concitati il pilota, questo ci disse che stava partendo: allora dovevamo decidere in fretta e furia quali tra loro partissero per primi, dicendo chiaramente che c’erano purtroppo pessimistiche previsioni su un secondo volo.
Il gruppo stava maturando tensione, si vedeva che gli egoismi avevano la meglio, decisi che sarei stato io a determinare il numero chiuso dei fortunati: e lo feci in base al tipo di equipaggiamento che ciascuno di loro aveva e in base alla rapida stima delle loro qualità fisiche. Perché scendere al rifugio Mandron a 2449 m lungo il ghiacciaio non sarebbe stato uno scherzo per loro. Avremmo potuto fare notte, avevamo al massimo due pile frontali…
Definiti i gruppi, ordinai agli sfortunati di prepararsi a partire immediatamente: e infatti dieci minuti dopo eravamo in marcia vedendo arrivare l’elicottero che andava a caricare il resto del gruppo: eravamo d’accordo che se la schiarita fosse durata sarebbe venuto a prenderci sul ghiacciaio, se no avremmo rimandato tutto a quella sera, prima del buio, al rifugio Mandron. E se anche fossimo stati costretti a dormire al rifugio certo sarebbe stato il minore dei mali.
Superammo abbastanza bene la prima parte di ghiacciaio, quella più ripida, poi però, dove questo diventava quasi orizzontale, qualcuno rallentò per stanchezza, il drappello tendeva a sfilacciarsi, facevo fatica a tenerli assieme, anche perché con la scarsa visibilità qualcuno avrebbe potuto perdersi.
La situazione tendeva a peggiorare, decisi che l’amico e maestro di sci Lino Zani e Mario andassero avanti con i più freschi, io sarei rimasto indietro con i più deboli.
Alla fine il gruppo si riunì al rifugio verso le 19, qualcuno era davvero sfinito. E per fortuna, alle 19.30, con le ultime luci, l’elicottero in due tornate ci raccolse e ci depositò al posteggio.
Il 20 settembre con Salvatore Bragantini, Andrea Bavestrelli e Lorenzo Molinari lasciammo l’Alpe Devero per salire baldanzosi verso la parete est della Punta della Rossa 2887 m (il vallesano Rothorn). Questa montagna di roccia serpentinosa domina letteralmente l’Alpe Devero, ma deve la sua fama al suo Spigolo sud-est, una salita molto estetica e iperclassica sull’ordine del V grado con qualche passo poco oltre. L’itinerario fu aperto da Silvio Borsetti, Giulio Maltempi ed Enrico Vincenti il 3 agosto 1947 ed ebbe subito grande successo con centinaia e centinaia di ripetizioni. Ma la nostra intenzione era di salire solo la parte superiore di questa via perché per la parte inferiore avevano scelto una via più difficile, Picchio Muraiolo. Questa era stata aperta da Mauro Rossi e Maurizio Pellizzon con Arianna Orru nel settembre 1999.
Arrivammo all’attacco trafelati e dopo un’ora e tre quarti di cammino. Non ci eravamo alzati all’alba e l’ora sconsigliava di perdere altro tempo. Non eravamo velocissimi però salimmo con sufficiente margine le prime tre lunghezze (6a, 6b, 5c), bellissime e molto varie, che ci portarono alle ultime due lunghezze (6b+ e 6b) prima del congiungimento con la via dello Spigolo sud-est. Affrontai il 6b+ con l’insicurezza data dalla fretta e infatti fui costretto a fare due resting. Era tardi, non volevamo fare la discesa al buio pesto e così decidemmo di scendere a corde doppie per la via dello Spigolo sud-est. Eravamo alla fine della traversata chiave (di 5c) di questa via. Con una leggera delusione raggiungemmo la base della parete, ma la sensazione di fastidio fece presto a passare perché la voglia di arrivare al Devero era circondata di fatica. Ci pentimmo infatti immediatamente di non aver seguito l’accesso in salita e di aver scelto invece, per raggiungere i Piani della Rossa, di fare il lungo giro del Passo della Rossa.
A dispetto delle avventure nella pancia della mamma nella Stubaital, il 24 settembre 2003 nacque Carlotta Marlene Gaia Pinoli!
Di quel periodo ricordo con particolare piacere una gita fatta al Corno di Canzo Centrale. Il 7 dicembre con Guya, Elena e Petra salimmo da ovest, dopo la bella camminata in partenza da Canzo. In alto, verso la cima, la salita non era propriamente elementare. Guya arrivò a una trentina di metri dalla vetta, poi preferì fermarsi. Acconsentii in quanto non avevo con me corda e quindi avevo già il mio bel daffare a vegliare sulle bambine. Con loro in vetta ci si fermò davvero pochi minuti, ma fu bellissimo.
Altra cima invernale, e questa volta anche innevata, fu due settimane dopo, il 20 dicembre, nelle Alpi Apuane. La sera precedente avevo tenuto una conferenza per il CAI di Castelnuovo di Garfagnana, facendo così conoscenza con alcuni soci davvero simpatici. La notte l’avevamo passata in un ex-convento, definito poi “Ai Frati”, una specie di B&B sui generis, enorme quanto gelido perché non riscaldato se non nella sola nostra camera grazie a una stufa elettrica. Il resto dell’edificio, assai severo e abbastanza antico, era scuro e freddo, ricco di rumori e cigolii che si perdevano negli immensi corridoi, tanto da far pensare ai fantasmi. Giocammo un po’ su queste paure…
La mattina dopo salimmo al rifugio Rossi e quindi alla vetta della Pania Secca per la via normale, pestando neve già dal posteggio. In cima arrivammo noi quattro, assieme a Luciano Torriani, Alessandra Guzzi, Sergio Guzzi ed Eugenio Casanovi. It was a glorious day.
L’autunno 2003 vide anche un riordino formale delle attività di K3, grazie al rinnovo del sito e alla creazione di appositi loghi. Ampio spazio diedi alla promozione delle attività di K3 Lavori Verticali, che comprendevano il florido settore della formazione professionale. Qui di seguito il testo, pubblicato sul sito, con il quale intendevo spiegare il tipo di lavoro che potevamo svolgere:
“Team e natura a supporto della formazione professionale
Motivare, formare un gruppo di lavoro affiatato, offrire obiettivi comuni e raggiungerli insieme, sono i temi di formazione professionale che interessano K3 Lavori Verticali.
L’unione di formazione professionale e vita a contatto con la natura, momenti apparentemente così diversi tra loro, costituisce la base della filosofia di lavoro qui proposta.
L’attività fisica all’aria aperta svolta in un ambiente insolito, vicino o lontano, e comunque a contatto con una natura forte, stimola la crescita personale dell’individuo e lo spirito di gruppo.
La lontananza dai condizionamenti della vita quotidiana e la dimensione equilibrata tra attività ricreativa e lavoro sono gli ottimi presupposti per lo svolgimento delle attività formative dell’azienda proprio perché potenziano al massimo l’atteggiamento ricettivo del singolo.
Vivendo lontano dai condizionamenti della vita quotidiana, in questa nuova dimensione, il gruppo affronterà momenti di formazione professionale con un atteggiamento più ricettivo, mirato al raggiungimento degli obiettivi dell’azienda.
A titolo d’esempio elenchiamo qui una serie di esigenze di una qualsiasi azienda alternate alle relative risposte con interventi formativi per sviluppare diverse capacità e caratteristiche individuali.
Esigenza 1) Capacità di organizzazione in tempo rapido al momento del bisogno immediato, quando cioè le condizioni in cui operare si sono rivelate diverse dal previsto. Saper affrontare le difficoltà e sfruttare al meglio le opportunità che si possono prevedere all’inizio.
Risposta 1) Capacità organizzativa: lavoro a tavolino, divisi in piccoli gruppi, per determinare la strategia finalizzata al raggiungimento di un obbiettivo geografico, con l’avvertenza di usare mezzi limitati e predeterminati, cioè non modificabili all’ultimo momento. Verifica dei risultati così ottenuti. Tra le difficoltà prevedibili possiamo inserire l’orientamento e altri esercizi di problem solving.
Esigenza 2) Confronto con la novità. Scontata la singola bravura tecnica in sede aziendale (per cui si è scelti), in caso di attività uguale per tutti e a tutti sconosciuta si va incontro ad una omogeneizzazione delle capacità. Verifica dei comportamenti, anche in relazione alla spontaneità di aiuto prestato.
Risposta 2) Azzeramento delle capacità: marcia invernale nel bosco con l’uso delle racchette da neve (snowshoeing).
Esigenza 3) Orientamento all’obbiettivo. Responsabilizzazione dell’individuo nell’ambito del gruppo, sviluppo delle competenze.
Risposta 3) Lavoro di gruppo: esercitazione di orientamento su altopiano con trekking strutturato. Si procede a piccoli gruppi su percorsi diversi e contemporanei verso un obbiettivo comune. Ogni individuo ha una competenza singola e gestisce (a rotazione) uno strumento indispensabile.
Esigenza 4) Tenacia nel raggiungimento dell’obbiettivo aziendale.
Risposta 4) Fatica fisica del camminare (o altro) + fatica psicologica nell’affrontare l’ultimo ostacolo, a mente e fisico ormai provati.
Esigenza 5) Iniziativa responsabile. Nella pratica di tutti i giorni, fantasia e iniziativa sono particolarmente necessarie all’attività del singolo: ma devono sempre essere responsabili.
Risposta 5) L’isolamento in cui l’esercizio deve svolgersi è metafora dell’isolamento di chi deve prendere decisioni responsabili.
Esigenza 6) Flessibilità, apprendimento rapido, adattamento alla comunicazione e quindi al compromesso.
Risposta 6) “Corde basse”, cioè esercizi di problem solving atti a sviluppare la fiducia reciproca e la comunicazione. Si svolgono a tappe nel bosco. Esercitazione a cavallo su percorsi determinati e con ostacoli, per una miglior comunicazione con il “diverso” (animale).
Esigenza 7) Resistenza allo stress. Non conoscere le coordinate dell’impegno che ci attende riflette quel particolare momento di non equilibrio che è lo stress. Quindi nervi saldi, ottimismo, determinazione, fiducia nel gruppo, sicurezza di farcela comunque ad arrivare in fondo a dispetto delle prove che ci attendono.
Risposta 7) Discesa di fiume e breve trekking, in gruppo controllato, con superamento di ostacoli in maggioranza imprevisti (“Corde alte”, in mancanza di viveri o di acqua, eventuale bivacco). Il gruppo non deve sapere esattamente la meta del percorso, né avere idea della durata dello sforzo e dell’impegno, né del tipo di difficoltà che lo attende”.
Nei “lavori verticali” era anche compresa la mia attività di consulente per la formazione. Negli anni successivi mi capitò infatti di fare molte più “lezioni” che negli anni precedenti. Qui di seguito riporto un testo (scritto da un grande esperto del settore, Buni Zeller) che inquadrava quelli che potevano essere i miei interventi, sempre volti al confronto tra alpinismo e gestione aziendale.
“Traccia per la testimonianza di Alessandro Gogna
Tema. Come si affronta e si gestisce la pianificazione e il controllo di una spedizione alpinistica?
Caratteristiche della testimonianza
La testimonianza viene presentata allo scopo di fare emergere i seguenti messaggi:
Pianificare è indispensabile in qualunque contesto, anche laddove le variabili e lo sviluppo dell’attività sono soggetti ad elevato tasso di incertezza e variabilità;
La pianificazione non è un’attività isolata, che si realizza all’inizio e poi si deve rispettare, ma un processo dinamico che si definisce/ridefinisce nel tempo allo scopo di raggiungere la meta rispettando obiettivi e vincoli;
La pianificazione non è un’attività specialistica, ma un approccio alla gestione di attività orientate al risultato;
La pianificazione richiede di avere un modello per definire e interpretare correttamente le variabili da analizzare;
La pianificazione non è un’attività tecnica, ma uno strumento per comunicare in modo efficace con tutti coloro che sono coinvolti dall’iniziativa;
Il controllo è la modalità con cui si verifica in corso d’opera e a consuntivo se si stanno raggiungendo gli obiettivi (risultato e risorse) e si acquisiscono le informazioni necessarie per ripianificare;
Il controllo non è solo un’attività tecnica (raccolta e analisi di informazioni), ma anche un’attività relazionale necessaria per acquisire le informazioni, e i segnali deboli, e interpretarle correttamente;
La testimonianza sviluppa i temi della traccia facendo riferimento alla storia di una spedizione particolarmente significativa per importanza/sfida della meta (uno degli Ottomila?) e per complessità organizzativa/tecnica/economica.
La testimonianza alterna il commento alla proiezione di diapositive e la sua durata può essere dimensionata in 2 ore.
Traccia dei temi relativi alla pianificazione e controllo
La pianificazione è importante in una spedizione alpinistica?
Si pianifica?
Cosa si pianifica?
Perché si pianifica?
Quali sono gli ostacoli alla pianificazione?
Quando si pianifica (quanto prima e quanto si ripianifica in corso d’opera)?
Quanto c’è di strutturato piuttosto che di informale nella pianificazione di una spedizione?
Quali variabili si considerano (percorso, mezzi, tempi, risorse umane, risorse economiche, ecc.)?
Quanto si “scrive” e per chi (per sé, per il “committente”, per le autorità, per le assicurazioni, per i finanziatori, per i compagni di spedizione, ecc.)?
Come si analizzano e si gestiscono i rischi?
Chi è coinvolto nell’attività di pianificazione?
Qual è il ruolo del capo spedizione?
Quali sono le figure “tecniche” che intervengono?
Chi fornisce le informazioni?
Chi approva il piano?
Come si gestisce il controllo nel corso di una spedizione?
Chi esercita il controllo?
Come si acquisiscono e si elaborano le informazioni di controllo?
Come si acquisiscono e si interpretano i segnali deboli?
Come si “consuntiva” una spedizione alla fine?
Come si analizza il risultato tecnico?
Come si analizza il risultato economico?
Come si analizza il risultato umano?
Come si analizzano gli apprendimenti dell’esperienza?
Quanto si riutilizza il risultato della spedizione per future spedizioni?”.
Nella quotidiana vita d’ufficio ovviamente succedevano tante cose. Ci venivano richiesti preventivi, si ventilavano possibili collaborazioni, edizioni. Marco Milani era presente un giorno alla settimana, rare presenze di Federico Raiser, per il resto a spartirci gli spazi dei nostri locali eravamo Priska Marchi, Riccardo Martinelli, Roberto Corsi, Katja Roediger ed io.
Riporto qui di seguito una mail che Priska scrisse e trasmise in circolare a tutti il 16 ottobre 2003. Lo faccio perché riletta oggi fa sorridere, oltre a ricordare che la nostra sede avrebbe potuto ospitare degnamente la cricca del gruppo TNT di Alan Ford:
“Ritengo sia fondamentale, cercare di mantenere un ambiente vivibile in questo ufficio. Soprattutto per chi ci passa gran parte della propria giornata.
Sarebbe il caso di osservare alcune cose, e porvi rimedio, nonché stabilire e mettere in atto delle regole e rivedere anche un po’ i ruoli.
A) Maggior odine e pulizia in ufficio.
Sia nella propria postazione, che negli ambienti di comune utilizzo.
– Per cercare una penna tutte le volte è una caccia al tesoro, sono state comprate penne e portapenne per ogni scrivania, ma sembra che dia fastidio usare questo semplice e comodo oggetto.
– Per poter usare taglierina, fotocopiatrice e lavandino del bagno e non solo, bisogna sempre dover spostare oggetti lasciati in giro da altri.
In questo ufficio regna il caos ! Non esiste un angolo mantenuto in ordine.
B) L’ingresso, ovvero l’ambiente nel quale IO lavoro.
NON mi piace lavorare in un magazzino merci. Più volte ho cercato di dare un aspetto ordinato… ma sembra che questo non sia importante per altri.
Ho fatto più volte ordine sugli scaffali, togliendo scatole e scatoline, ma i miei sforzi sono inutili! Se c’è una cosa che non sopporto è il disordine!
Da qualche settimana, ho notato un peggioramento della vista, dovuto al dover lavorare col sole negli occhi. Ho chiesto più volte di trovare una soluzione, e grazie solo a Onetti (il padrone dei locali, NdR) sono riuscita ad avere una tenda, che comunque (in modo da zingari) risolve solo in parte questo problema, perché ad un certo orario, il sole filtra dalle fessure e comunque la luce rimane troppo fastidiosa. Devo incominciare a usare gli occhiali da sole oppure portare il conto dell’ottico?
C) Stampante
Ogni giorno faccio i km. Ho chiesto a Marco una mini stampante in bianco e nero da sistemare sulla mia scrivania a (una cosa non costosa). Ma la risposta è stata un NO categorico perché le cartucce hanno un costo molto elevato. Invece le cartucce del nero non costano come quelle del colore e se comunque quelle della Epson hanno un costo di 15,00 euro circa cadauna, una cartuccia di una stampante non di marca costerebbe di meno e potrebbe anche essere sostituita da una sottomarca.
Non ho chiesto una stampante perché devo stampare cose private, ma bensì per un utilizzo di lavoro.
Infatti utilizzo la stampante per fatture clienti – bolle fotografiche – DDT – lettere – prima nota clienti e fornitori -rassegna stampa – documenti di contabilità, ecc.
Mi chiedo perché è stata presa una stampante che costa così cara. Per quale utilizzo poi? E’ stata presa una stampante fotografica, per cosà? A cosa ci serve? Stampiamo fotografie?
Perché sono stati spesi tanti soldi per una stampante che POTREBBE (quelle poche volte) stampare foto? Il costo delle cartucce solo del 2002 è stato di euro 342,39 senza iva.
Ritengo che si debba trovare una soluzione.
D) Microonde
E’ tutto una ruggine! Continuo a riscaldare il cibo con la ruggine! Voi lo fareste? Ritengo che comunque il microonde non sia una cosa in più, donata e concessa ai dipendenti, bensì uno dei servizi che l’azienda dovrebbe dare per scontato.
Ritengo che il dipendente abbia l’obbligo e il dovere di portare a termine i propri compiti (in alcuni casi), ma che sia altrettanto un dovere da parte dell’azienda rendere il più confortevole possibile l’ambiente lavorativo.
In modo da creare anche una certa armonia nella collaborazione.
Queste righe vi avranno portato via del tempo prezioso, ma sinceramente il “sacco si sta riempiendo”. Sarebbe cosa utile secondo me fare il punto della situazione”.
Sorvolo sulle risposte, diventerei ancora più noioso.
Invece riporto un’altra mail di Priska, lapidaria, di pochi giorni dopo (27 ottobre):
“E’ la terza volta che apro l’ufficio e lo trovo impestato di puzza di fumo”.
Rispondo lo stesso giorno:
“Io non fumo, Marco non fuma, Federico, Katja, Roberto non fumano. Sono stato sabato (l’altro ieri) in ufficio fino alle 19.30. C’erano i due peruviani che facevano le pulizie e se ne sono andati senza fumare, né fuori né dentro. Chi ha fumato domenica?”.
Il mistero si chiarisce subito dopo, con la risposta di Riccardo:
“Ho fumato io naturalmente, sono l’unico che fuma. Non credevo che fumare in solitudine un paio di sigarette infastidisse nessuno, ma noto che non è così. Se la cosa reca disturbo non si ripeterà. Saluti”.
Con Ettore Togni e Lorenzo Merlo concertammo un libro sulla storia e sull’attualità delle guide alpine lombarde. Autori: Giuseppe Miotti ed io. L’idea mi attizzava molto e già a novembre iniziammo alacremente un lavoro del quale di certo nessuno di noi sospettava che non avrebbe mai visto la luce, pur terminato. Avremmo dovuto capirlo già dal momento in cui, distribuito a tutte le guide un questionario particolareggiato che ci avrebbe aiutati molto, avemmo non più di tre risposte…
Tra i mille impegni riuscii anche (12 dicembre) ad andare a Cimolais (PN) per esporre la mia relazione al convegno sulla richiesta di considerare il Campanile di Val Montanaia degno d’essere nominato Monumento Unesco.
Ornella
Fino all’ultimo Nella si dedicò alla sua creazione, l’associazione Altri Spazi. Il seguente è il suo ultimo messaggio (10 ottobre), qualche settimana prima che il suo stato di salute le rendesse impossibile ogni attività:
“Sei scomparso dalla circolazione, forse hai un mucchio di lavoro e non hai tempo. Ti invio una presentazione in Power Point fatta da Giovanni Manfredini, fratello di Simona, sulla quale ho una serie di appunti da fare. Il primo tra tutti è che non voglio comparire nella rosa di persone che propongono il progetto. Non mi va bene che il mio nome venga usato in questo modo. E non approvo che vengano usati dei nomi di persone che non sono tra i soci fondatori dell’associazione, semplicemente perché lavorano nel cinema, vedi Laura e Alessio, non mi sembra utile citare nei nomi, peraltro sconosciuti, per promuovere un progetto, e in generale non mi piace il tono usato da Giovanni in tutta la presentazione, ma è il fratello di Simona…
Io farò presente le mie osservazioni, visto che ho ottenuto a fatica di vedere questa presentazione. Dimmi tu cosa ne pensi. So che a te va bene tutto, e in fondo il tuo nome è l’unico spendibile, ma dammi un tuo parere”.
La mia risposta è dell’11 ottobre:
“Cara Nella, è vero ho avuto ed ho molto da fare, anche oggi che è sabato, anche domani. La Treccani è quasi al termine, però subito dopo comincia il libro sul K2 e subito dopo (fine novembre) quello sulle guide lombarde, ecc. Sono indietro con tutta la mia posta e con un sacco di altre cose. Ho visto e letto la presentazione di Giovanni. Devi tenere in considerazione che è rivolta al mondo degli sponsor, cioè al marketing aziendale. Non è una presentazione al pubblico, e non deve esserlo. A quel mondo son sicuro che va bene così, perché ci sono presenti tutte le cose che vuol sentirsi dire e nel nauseante modo giusto. Perciò lascia perdere (almeno a mio parere) la questione del tono. Riguardo al fatto che si spendano i nomi di gente non tra i fondatori, non sarei così fiscale: tutto dipende dalla buona volontà di queste persone, da quanto in meno si faranno pagare se lavoreranno in qualcosa, ecc. Non li conosco a sufficienza. Al limite io avrei messo anche Roberto Mantovani (se lui fosse d’accordo), anche se non è tra i fondatori. Riguardo al tuo nome sei tu che devi decidere. Ma per una marcia volta che qualcuno ti fa apparire… Per lo meno non mi è chiaro cosa vuoi dire quando dici che non vuoi che il tuo nome venga usato così. Tutto sommato è un documento che rimarrà circoscritto alle aziende o agli enti. Per il pubblico occorrerà fare una presentazione diversa, con tono diverso, e magari non ti darà più fastidio che il tuo nome continui ad esserci.
[…] Infine passiamo a cose più importanti. Cosa vuol dire “ho deciso di non curarmi più?” (mi riferisco a una conversazione telefonica del giorno prima). Tu non hai idea di quante persone mi chiedano di te. Vogliamo deluderle? Hai dei progetti da mandare avanti, delle lotte da fare. Bisogna andare avanti. E non voglio sentirti dire che sei stanca di questa lotta. Per favore”.
Il 3 dicembre mi scrisse Simona Manfredini:
“Caro Alessandro, non faccio che pensarti da quando Ornella sta irrimediabilmente male. Non so bene perché, ma nella terribile fatica che faccio ogni momento della giornata a prepararmi alla sua morte, il pensiero del tuo dolore – profondo e privatissimo – mi fa sentire meno sola. E’ strano il nostro cervello. Non ho confidenza con te, né voglio che la sofferenza sia un pretesto per simulare chissà quale intimità; avremo occasioni vitali per conoscerci meglio e, spero, far crescere un rapporto di amicizia. Ora desidero semplicemente che tu sappia che sei nei miei pensieri e che per misteriose vie sei entrato nel mio cuore con un’intensità spropositata rispetto alle nostre modeste frequentazioni. Ti abbraccio“.
Passò Natale, triste. Ormai Marina, Paolo, Michele ed io ci aspettavamo da un giorno all’altro la notizia. Che arrivò, in effetti, la mattina del 29 dicembre 2003. Mi avvertì Michele, Nella era spirata nel suo letto la mattina presto. La vidi, composta, sembrava dormire, la schiena appoggiata al cuscino. Sul soppalco costruito da Ettore, sul letto che era stato nostro, lei era lì a occhi chiusi e occupava quella che era stata la sua parte, la sinistra.
La baciai in fronte.
Si occuparono di tutto i nipoti, che rividi al momento di portare la salma al cimitero Monumentale per l’incenerimento. Eravamo un piccolo gruppetto di parenti e amici all’ingresso di via Volta 10. Faceva freddo.
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