Il dossier Eurasia, la società del politologo Ian Bremmer: cresce la spinta alla disgregazione. Iran, pesa il rischio atomica. E l’effetto Trump costerà caro in termini economici
Quello appena iniziato sarà un anno di caos geopolitico crescente, ma anche meno cruento in termini di conflitti: la guerra in Ucraina, a tre anni dall’invasione russa, è destinata a spegnersi, con gli eserciti di Mosca e Kiev stremati, anche se Putin non mollerà la presa e la tensione resterà alta. Anche in Medio Oriente tensione sempre alle stelle perché l’estrema debolezza dell’Iran che ha perso la sua rete di alleati (Hamas a Gaza, Hezbollah in Libano e la Siria) può spingere il regime di Teheran ferito a gesti estremi (come arrivare a dotarsi dell’atomica), mentre Israele è tentato di infliggere un colpo decisivo al nemico più pericoloso. Ma gli attacchi israeliani a Gaza e in Libano dovrebbero cessare o ridursi di molto, visto che lo Stato ebraico ritiene di avere ormai quasi raggiunto i suoi obiettivi. Alta tensione anche in Estremo Oriente, ma per ora la Cina, alle prese coi suoi gravi problemi interni, non attaccherà Taiwan.
Il rapporto 2025 sui rischi internazionali pubblicato da Eurasia si apre con un quadro relativamente incoraggiante per quanto riguarda l’intensità dei conflitti, ma poi l’organismo guidato dal politologo Ian Bremmer disegna uno scenario geopolitico ed economico tutt’altro che incoraggiante. Nel 2015 lo stesso Bremmer coniò l’espressione GZero per descrivere un mondo che — finita la spartizione del pianeta tra Occidente filoamericano e impero sovietico, perso potere il G7, mai decollato il G20 — non aveva più nessuno al timone.
Dieci anni dopo, con il multilateralismo che si è rivelato solo una speranza e il G2 delle due superpotenze, Usa e Cina, mai nato crescono le spinte alla disgregazione, anche se i conflitti peggiori tendono a spegnersi: Stati o organizzazioni canaglia continueranno a prosperare e moltiplicarsi nei vuoti che si sono creati. Il rapporto descrive una situazione che definisce di recessione geopolitica. Le cause dell’assenza di timonieri vanno ricercate in tre fenomeni: l’incapacità dell’Occidente di integrare la Russia nell’ordine mondiale dopo la fine della Guerra Fredda, con la conseguente onda di risentimento cavalcata da Putin. Con la Cina, invece, il tentativo di integrazione è stato fatto, con l’ingresso di Pechino nel Wto, ma i risultati sono stati fallimentari: cooperazione economica che non si è mai estesa al terreno politico e si è trasformata in guerra commerciale. Infine la sfiducia dei popoli del mondo industriale avanzato nei confronti dei sistemi di democrazia liberale, abilmente sfruttata da Trump.
Il 2025, segnato proprio della nuova presidenza americana, sarà quello dell’effetto Trump che potrà essere benefico per quanto riguarda lo sforzo di spegnere conflitti, ma costerà caro al mondo in termini economici. E non si tratta solo dell’«America First» di The Donald: anche la Cina di Xi Jinping non solo rifiuta, come l’America di Trump, di assumere responsabilità globali, ma è anch’essa impegnata nel salvataggio dell’economia domestica, anche a costo di esportare le sue difficoltà: «Il mondo che spera in un 2025 di crescita economica», scrive Bremmer, «avrà un risveglio brusco: le due maggiori economie esporteranno disruption nel 2025 per tutti gli altri, creando un corto circuito nella ripresa ora in atto e accelerando i fenomeni di frammentazione geoeconomica».
Gli Usa peseranno sul resto del mondo col dollaro forte che potrebbe costringere le altre banche centrali ad alzare i tassi per difendere le loro valute, ma soprattutto con i dazi di Trump che freneranno il commercio internazionale, scatenando rappresaglie, reazioni a catena. Mentre la Cina, incapace di reagire alla stagnazione dopo decenni di forte crescita espandendo la domanda interna, continua a premere, come sempre, sull’export: ma così facendo sta creando sovraccapacità produttiva nell’auto, nell’elettronica, nei pannelli solari e altro. Venderà in dumping, a prezzi stracciati: devastante per concorrenza e mercati.
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