L’ambasciatrice Elisabetta Belloni si è dimessa dalla guida del Dis, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, a decorrere dal 15 gennaio.
”Ho presentato le mie dimissioni a partire dal 15 gennaio”, ha detto Belloni ad “Agenzia Nova”, spiegando di non lasciare “per altri incarichi”.
Le dimissioni, secondo quanto riferito ad “Agenzia Nova” da fonti informate, hanno colto di sorpresa la presidente del Consiglio Giorgia Meloni – visto che l’incarico di Belloni sarebbe comunque finito a maggio – ma anche i dirigenti dei servizi d’intelligence.
Secondo quanto riferito dalle fonti interpellate, la decisione di dare le dimissioni sarebbe stata presa dopo un diverbio con il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, nato attorno alla vicenda di Cecilia Sala, la giornalista italiana detenuta in Iran.
Elisabetta Belloni era stata nominata direttrice generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS) dal Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi il 12 maggio 2021, dopo essere stata dal 2015 Capo di gabinetto del Ministero degli Esteri, gestito da Federica Mogherini e poi da Paolo Gentiloni, essendo presidente del Consiglio Matteo Renzi.
Elisabetta Belloni si è definita “orgogliosa di non avere nessuna matrice politica”, sottolineando che il suo ruolo è stato sempre “istituzionale” piuttosto che legato a un partito specifico. Questa affermazione è stata fatta in un’intervista del marzo 2007, dove ha dichiarato di non avere alcun orientamento politico definito, lavorando con colleghi di varie ideologie politiche.
Elisabetta Belloni, secondo alcune interpretazioni, lascia la guida dei servizi segreti a causa di un diverbio col governo sul caso Sala.
Il ritiro, secondo quanto riferito ad “Agenzia Nova” da fonti informate, ha colto di sorpresa la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ma anche i dirigenti dei servizi d’intelligence (?). Il punto di domanda per i dirigenti si impone.
La vicenda, tuttavia, sta assumendo i contorni di un “trappolone” ordito nei confronti di Giorgia Meloni.
Stando a quanto riportato da “Il Fatto quotidiano” il 4 gennaio, alcuni ritardi iniziali da parte dell’intelligence nelle comunicazioni relative all’arresto della giornalista italiana avrebbero infatti complicato la situazione della reporter. Il ministero degli Esteri e i Servizi segreti sarebbero stati informati della sua sparizione sin dal pomeriggio del 19 dicembre, ricevendo poi conferma la mattina del 20 dicembre in seguito a una telefonata di Sala dal carcere di Evin, ma non avrebbero informato il titolare del ministero della Giustizia, Carlo Nordio, che il 20 dicembre ha sottoscritto la richiesta di mantenere in carcere l’ingegnere iraniano Mohammad Abedini senza sapere dunque nulla di quanto accaduto alla giornalista italiana.
Una caramella avvelenata per Nordio e per la Meloni?
Se consideriamo che Cecilia Sala è una giornalista del Foglio, quotidiano da sempre prossimo agli Usa ed è figlia di un esperto finanziario, Senior Advisor di Jp Morgan in Italia e consulente del Monte dei Paschi, qualche attenzione al pericolo che la sua presenza in Iran potesse essere strumentalizzata si doveva pur avere.
In ogni caso il non aver avvertito Nordio in tempo ha creato la situazione diplomaticamente difficile nella quale si trova ora il Governo Italiano.
In un’intervista al “Riformista” del 2 gennaio, Marco Mancini, prima numero 2 dell’Aise, poi a lungo dirigente del Dis, aveva detto che le autorità italiane, non appena saputo di dover arrestare una probabile spia iraniana a Malpensa, avrebbero dovuto mettere al sicuro Sala, un’operazione che, tuttavia, non è avvenuta.
Osservazione assolutamente comprensibile.
È pur vero – come riferisce una fonte a Agenzia Nova – che l’ex numero 2 dell’Aise ha qualche motivo di risentimento nei confronti della Belloni. Dopo il famoso episodio dell’incontro tra Mancini e Matteo Renzi in un autogrill sull’autostrada Roma-Firenze, infatti, l’ambasciatrice non difese l’agente segreto ed anzi si rifiutò di riceverlo.
Qualche motivo di risentimento potrebbe averlo anche Matteo Renzi.
In ogni caso, quello che emerge dalla vicenda è che qualcosa non funziona nei servizi italiani e che c’è qualche ingranaggio che non è fedele al governo.
I servizi dovrebbero essere neutrali, al servizio del Paese, qualsiasi sia in governo in carica.
Il dato incontrovertibile è che una serie di manchevolezze, per dirla con un eufemismo, hanno messo assieme una caramella avvelenata che doveva essere propinata a Giorgia Meloni.
Elisabetta Belloni fa bene ad andarsene. Il dopo Trump aprirà più di una questione anche negli apparati dei paesi dell’Alleanza Atlantica e questo avrà delle ripercussioni anche e, soprattutto sui servizi. Se Fbi e Cia non saranno più quelli che hanno sostenuto le amministrazioni neocon e dem, i riferimenti cambieranno e con i riferimenti anche la possibilità di confezionare caramelle avvelenate.
Elisabetta Belloni, con il suo gesto, ha fatto capire che non si presta a giochetti di prestigio. Meglio salvare l’onore.
Ora spetta al Governo fare chiarezza dentro e fuori gli apparati. Disintossicare è la parola d’ordine.
Dalle teste che cadranno e da chi sostituirà Elisabetta Belloni capiremo da dove arriva il veleno.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link