Gabriele Sciulli, Consulente in Sviluppo Professionale, autore del libro Relazioni di successo (GueriniNetxt)
Propositi per il 2025? Impegnarsi a fare networking.
E’ l’invito che Gabriele Sciulli, HR Specialist, Trainer e Consulente in Sviluppo Professionale, rivolge alle pmi tramite il suo nuovo libro, edito da GueriniNext, intitolato Relazioni di successo.
Ma come creare reti produttive ed efficaci, ce lo dice in questa chiacchierata.
Intanto, cosa intende per networking e come ottenere relazioni proficue?
Prima di tutto, networking è l’unione dei 2 termini inglesi net (rete) e working (lavorare) che tradotto letteralmente significa lavorare all’interno di una rete (di contatti)”. In buona sostanza, il networking consiste nell’arte di stringere relazioni proficue. Ovvio, in questo caso parliamo di relazioni professionali, quindi di business o lavoro. Per costruire un networking efficace – che faccia crescere i numeri di un’azienda – è fondamentale partire con una determinata mentalità: dare prima di ricevere. Questo vale per le aziende, gli imprenditori e i liberi professionisti. In un mondo in cui tutti sembrano chiedere e pretendere, il vero modo per fare la differenza e distinguersi è proprio questo. Offrire valore, supporto e risorse agli altri senza aspettarsi immediati ritorni crea connessioni autentiche e durature, che sono la base per un networking di qualità solido e fruttuoso. Questo pattern è alla base del concetto di givers e takers di Adam Grant, come esplorato nel suo celebre Give and Take, che ho ripreso nelle pagine del mio libro. I givers sono coloro che, con il loro atteggiamento altruista, creano legami profondi e un ambiente di reciproco supporto, mentre i takers tendono a concentrarsi solo su ciò che possono ottenere dagli altri. La ricerca di Grant mostra che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, sono i givers a trarre i maggiori benefici a lungo termine, costruendo relazioni più forti e una reputazione positiva. A questo punto ci si può chiedere: Cosa posso dare di scarsa importanza per me, ma digrande valore per gli altri?
Riuscire a creare relazioni di successo: è una qualità che si impara? Nel libro fa l’esempio di Bill Clinton, ex presidente degli States.
Nell’introduzione del mio libro cito un bellissimo aneddoto sul networking che riguarda Bill Clinton, un esempio realmente accaduto e raccontato in prima persona dallo stesso Clinton. Sicuramente, come in ogni situazione nella vita, c’è chi è più portato. Ma il sottotitolo del mio libro è La soft skill fondamentale per fare la differenza nel business e nella vita. Il networking, dunque, è una vera e propria soft skill a tutti gli effetti e non è un casose Forbes e il World Economic Forum hanno inserito questa meta-competenza tra letop 16 skills più richieste dalle aziende in futuro al pari dell’AI. Ciò vuol dire che,come ogni competenza soft, anche questa può essere allenata e migliorata constudio, formazione e applicazione. E io sono qui per questo.
Relazioni di successo: quali sono i pregiudizi da sfatare?
Ricorda quando da piccoli la mamma ci diceva di non accettare mai le caramelle dagli sconosciuti? Ecco, questo è il primo pregiudizio da sfatare sul networking. Se vogliamo ampliare una vasta rete di contatti che ci permetta di trovare il lavoro dei nostri sogni, avviare un business o vendere di più della concorrenza, quello che dobbiamo imparare a fare è iniziare a parlare con gli sconosciuti.
Nel suo famoso articolo intitolato The Strength of Weak Ties, pubblicato nel 1973 sulla rivista American Journal of Sociology, Mark Granovetter ha introdotto la Teoria dei legami deboli. In breve, i legami forti sono caratterizzati dal vincolo emotivo, sono i familiari, parenti e amici. I legami deboli non sono caratterizzati dal vincolo emotivo forte, ma sono ugualmente importanti per la carriera e il business. Vi rientrano colleghi, ex colleghi, partner, soci, fornitori, docenti di università o di un master che abbiamo frequentato, ecc. Chi vince tra legami forti e legami deboli? Sembra un paradosso, ma è proprio così: vincono i legami deboli. I legami forti ti danno una pacca sulla spalla e ti abbracciano nel momento del bisogno. Ma le opportunità di lavoro e business si nascondono dietro i legami deboli. Non a caso, numerosi report di Linkedin ci dicono che più dell’80% delle posizioni lavorative viene ancora ricoperto tramite networking e quindi tramite contatti della propria rete. È importante, dunque, allargare la propria cerchia di conoscenti, imparare a relazionarci con persone diverse di ogni settore e farlo senza paura o diffidenza.
Quali sono le condizioni per avviare e far funzionare relazioni di successo?
Cinquanta anni fa, le connessioni si mantenevano attive solo attraverso il telefono o il rapporto epistolare, il che rendeva tutto molto più difficile rispetto ai giorni nostri. Oggi abbiamo Internet, gli smartphone, i tablet, i social network, le mail e molti altri strumenti virtuali che sicuramente hanno velocizzato le nostre interazioni. Quindi capisco bene la domanda, ma voglio far parlare nuovamente i dati e i numeri al posto mio. Sa perché è importante il numero 200 nel mondo delle relazioni? La regola delle 200 ore è un principio piuttosto popolare che suggerisce che ci vogliono circa 200 ore di tempo condiviso per sviluppare una relazione significativa con qualcuno. L’idea è stata resa famosa da uno studio del 2018, condotto da Jeffrey A. Hall, professore di comunicazione all’Università del Kansas. Ma non è tutto. Oltre a questo numero, una relazione diventa completa quando conosciamo una persona attraverso questi tre canali di comunicazione: mail, telefono e vis à vis, esattamente in quest’ordine. Tali dati sono importanti per poter trasformare una semplice relazione in una di successo. È un ottimo punto di partenza.
Qual è la relazione ideale che un imprenditore o un manager deve avere con i dipendenti, fornitori e stakeholders?
La chiave di volta è instaurare e mantenere rapporti profittevoli e duraturi nel corso del tempo. Ovviamente non è possibile mantenere buoni rapporti e dedicare a tutti la stessa attenzione, è fisiologicamente impossibile. Ma bisogna modulare, adattare il proprio stile comunicativo all’interlocutore. Ad esempio, con i dipendenti, è fondamentale ispirare e valorizzare il loro contributo. Con i fornitori, costruire partnership sostenibili basate su rispetto e puntualità. Con gli stakeholders, mantenere un dialogo aperto, coinvolgendoli nelle decisioni strategiche e dimostrando responsabilità sociale. L’equilibrio tra empatia e obiettivi aziendali è la chiave per relazioni durature e produttive.
Oggi quanto vengono valorizzate le relazioni trasparenti in azienda?
Purtroppo, ancora molto poco e il cammino è ancora lungo, anche se le cose stanno evolvendo per il verso giusto. Come più volte ripeto nelle mie aule di formazione, la relazione è la soft skill più utilizzata, ma paradossalmente quella meno allenata. Anche noi, in questa intervista, ci stiamo relazionando e ogni giorno ci relazioniamo con tante persone soprattutto per lavoro e business. Eppure, nessuno ci spiega come si fa e nessuno ci prepara al meglio per farlo al 100%. Ed è per questo motivo che nel mio libro – così come nei miei corsi – spiego come sfruttare al massimo il potere della propria rete in maniera proattiva e innovativa.
Qualche esempio?
Ha mai sentito parlare di Job referral o Employee Referral? E’ un termine utilizzato per indicare un sistema di reclutamento dei candidati tramite il caro e buon vecchio passa parola.In pratica i propri dipendenti vengono incoraggiati a segnalare all’azienda potenziali candidati per future assunzioni. Il dipendente è stimolato economicamente, in quanto riceverà un premio – in denaro o benefit – ma starà anche molto attento a segnalare amici o persone valide perché la scelta toccherà la sua reputazione. Questa pratica è diventata sempre più comune e preziosa nell’assunzione di personale. Icims, la più importante società di risorse umane e software di reclutamento basata su cloud, afferma che un referral rimane in azienda il 70% in più rispetto a un profilo assunto tramite un altro canale di recruiting. La maggior parte delle aziende investe tempo, soldi ed energie in campagna di recruiting costose che spesso si traducono in un nulla di fatto. La verità è che queste aziende hanno a disposizione un’arma molto potente – come ho appena spiegato – che spesso non viene sfruttata. Sto parlando del networking interno all’organizzazione che è pronto per essere sfruttato in maniera semplice e diretta e di cui, però, spesso ci si dimentica.
Sono più produttive le relazioni basate sulla collaborazione o sulla competizione?
La verità, come spesso accade, è nel mezzo e la parola da usare in questi casi è coopetizione. La scelta tra collaborazione e competizione dipende dal contesto, ma oggi si parla sempre più di coopetizione, un approccio che combina i vantaggi di entrambe. Questo termine, nato dalla fusione di collaborazione e competizione, descrive relazioni in cui due o più parti collaborano su determinati aspetti, mantenendo però una competizione su altri. Ad esempio, aziende dello stesso settore possono unirsi per sviluppare standard tecnologici comuni o affrontare sfide globali, come la sostenibilità, pur continuando a competere sui prodotti finali o sui mercati. Questa dinamica consente di ottimizzare le risorse condivise, ridurre i costi e innovare più velocemente, senza rinunciare alla spinta competitiva che incentiva il miglioramento. In conclusione, le relazioni più produttive sono quelle che trovano il giusto mix tra i due elementi, sfruttando il meglio di entrambi. La coopetizione non solo aumenta la produttività, ma crea valore aggiunto sia per le parti coinvolte che per l’intero ecosistema in cui operano.
Come affrontare relazioni tossiche in azienda? E poi, ci deve essere qualcuno in azienda a sovrintendere alle relazioni?
Quante volte abbiamo sentito ripetere la frase: Le risorse non scappano via dall’azienda ma dai propri capi? Bene, può sembrare un luogo comune, ma è così! Affrontare relazioni tossiche in azienda è una priorità assoluta per garantire un ambiente di lavoro sano e produttivo. Le relazioni tossiche, se non gestite, possono minare la motivazione dei dipendenti, aumentare il turnover e compromettere la cultura aziendale. È importante riconoscerle attraverso segnali come conflitti ricorrenti, mancanza di rispetto e comportamenti manipolatori, e intervenire in modo diretto ma costruttivo. Il mentoring, in questo contesto, riveste un ruolo chiave. Un mentore non solo fornisce un esempio positivo di comportamento, ma aiuta anche i dipendenti a navigare meglio nelle dinamiche aziendali, offrendo supporto emotivo e consigli pratici. Chi ha una guida esperta accanto è meno incline a sentirsi sopraffatto da relazioni difficili. Inoltre, il mentoring contribuisce a sviluppare competenze relazionali essenziali, come la capacità di risolvere conflitti o comunicare in modo efficace, che sono fondamentali per prevenire e affrontare tensioni. In AIDP Emilia-Romagna – il più grande network degli HR in Italia, associazione di cui faccio parte da anni come socio e membro del Direttivo – con il mio team ho lanciato un importante e innovativo progetto, dedicato a 360 gradi a questo argomento, che ha riscosso molto apprezzamento tra i professionisti di azienda, sia junior che senior. Segno che le relazioni in azienda sono un punto di svolta necessario per il benessere interno di un’azienda, ma anche per tutto il business aziendale. In definitiva, relazioni tossiche possono essere affrontate e prevenute se l’azienda investe nella formazione delle persone, crea ruoli dedicati al benessere e promuove una cultura di mentoring.
Cinzia Ficco
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