Dark Fleet: la minaccia invisibile che sfida ambiente, commercio e diritto internazionale

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Contributo a cura di avv. Walter Lo Bocchiaro *

* Lo Bocchiaro studio legale

 

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Il fenomeno del “dark fleet,” o “flotta oscura,” rappresenta uno degli aspetti più controversi e complessi della navigazione marittima contemporanea. Questo termine si riferisce a una rete di navi che operano in modo deliberatamente clandestino o eludendo i controlli internazionali, spesso per attività legate al contrabbando, alla pesca illegale, al trasporto di carichi sanzionati o a operazioni ambientalmente dannose. Nonostante l’apparente invisibilità che contraddistingue queste operazioni, le conseguenze sul piano ambientale, economico e legale sono di portata globale. Il fenomeno è emerso in parallelo con la globalizzazione e la crescente domanda di risorse, aggravando sfide già complesse come il rispetto delle normative internazionali, la tutela dell’ambiente marino e la sicurezza dei traffici commerciali.

Le origini del fenomeno possono essere rintracciate nell’evoluzione del commercio marittimo e nella crescente sofisticazione delle tecnologie di tracciamento satellitare. In passato, la mancanza di sistemi di monitoraggio globali consentiva alle navi di muoversi senza controlli adeguati. Con l’introduzione del sistema AIS (Automatic Identification System), pensato per aumentare la sicurezza del traffico marittimo, molte navi hanno iniziato a spegnere i transponder per evitare di essere tracciate, dando così vita a una sorta di ombra nelle rotte marittime globali. Questa pratica, che inizialmente poteva avere motivazioni legittime, è diventata un espediente sistematico per condurre attività illecite. L’impiego del cosiddetto “dark fleet” si è intensificato in modo particolare in settori ad alto rischio, come il trasporto di petrolio soggetto a sanzioni internazionali o la pesca in zone protette.

Dal punto di vista ambientale, il contributo negativo della “flotta oscura” è significativo. Le navi coinvolte spesso operano senza rispettare le normative ambientali, utilizzando carburanti non conformi o sversando rifiuti in mare. Inoltre, la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (IUU fishing), è una delle attività più comuni associate alla “dark fleet.” Questa pratica contribuisce al collasso degli ecosistemi marini, alla diminuzione delle risorse ittiche e al degrado delle aree protette. In regioni come l’Artico o l’Antartico, la presenza di navi non autorizzate compromette ulteriormente habitat già fragili. Dal punto di vista climatico, l’impiego di carburanti pesanti e l’assenza di controlli sulle emissioni fanno della “dark fleet” un contributore non trascurabile all’inquinamento globale.

L’impatto economico e sociale sui traffici mercantili legali è altrettanto preoccupante. La competizione sleale introdotta da navi che operano senza rispettare regole e standard crea disparità significative, mettendo in difficoltà gli operatori onesti. Inoltre, la presenza di queste navi mina la fiducia nei sistemi di trasporto marittimo e nella capacità degli organismi internazionali di garantire un commercio equo e sostenibile. Episodi come il trasporto di petrolio iraniano sotto sanzioni internazionali evidenziano come il “dark fleet” rappresenti anche una sfida geopolitica, creando tensioni tra Stati e rendendo difficile l’applicazione delle normative globali.

La risposta normativa al fenomeno è complessa, coinvolgendo un intricato sistema di leggi internazionali, accordi bilaterali e regolamenti nazionali. Tra le normative più rilevanti vi è la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), che stabilisce il quadro legale per l’uso sostenibile degli oceani e la regolamentazione delle attività marittime. Tuttavia, l’applicazione pratica di queste norme è ostacolata dalla natura transnazionale delle operazioni della “dark fleet.” La Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare (SOLAS) e la Convenzione MARPOL per la prevenzione dell’inquinamento marino sono altre due normative cruciali, spesso violate da queste navi.

In Italia, la normativa marittima è particolarmente stringente grazie all’applicazione di regolamenti europei e nazionali. Le autorità italiane, come la Guardia Costiera, svolgono un ruolo cruciale nel monitoraggio delle rotte marittime e nell’applicazione delle leggi. L’Italia è inoltre parte attiva di iniziative internazionali, come il progetto “Blue Belt” dell’UE, che mira a migliorare il monitoraggio e la tracciabilità delle navi. Tuttavia, i limiti delle tecnologie esistenti e la mancanza di una cooperazione globale più incisiva rendono difficile arginare il fenomeno.

Sul fronte giurisprudenziale, i precedenti legali legati alla “dark fleet” sono ancora limitati, ma alcuni casi emblematici dimostrano la complessità della questione. Ad esempio, il sequestro di navi sospettate di trasportare petrolio venezuelano o iraniano in violazione delle sanzioni evidenzia come il sistema legale internazionale fatichi a garantire l’effettiva esecuzione delle normative. Le sfide legate alla giurisdizione, alla raccolta di prove e all’applicazione delle sentenze sono aggravate dalla capacità della “dark fleet” di sfruttare bandiere di comodo e società di copertura.

Le soluzioni per affrontare il problema del “dark fleet” richiedono un approccio multilivello, combinando strumenti tecnologici avanzati, cooperazione internazionale e applicazione rigorosa delle leggi. L’uso di tecnologie satellitari e di intelligenza artificiale per monitorare le rotte delle navi è già una realtà, ma necessita di investimenti e di un coordinamento globale per essere efficace. L’adozione di misure più stringenti contro le bandiere di comodo, con un maggiore controllo da parte degli Stati di bandiera, è un passo essenziale. Inoltre, il rafforzamento delle sanzioni contro gli operatori illegali e la promozione di accordi internazionali per la condivisione delle informazioni sono indispensabili per arginare il fenomeno.

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In conclusione, il “dark fleet” rappresenta una sfida complessa che richiede un impegno collettivo a livello globale. L’interazione tra normative, tecnologie e cooperazione internazionale sarà determinante per garantire un futuro sostenibile per il commercio marittimo e la tutela degli oceani. Lo sviluppo di strategie innovative e l’applicazione rigorosa delle leggi esistenti sono strumenti fondamentali per contrastare un fenomeno che minaccia non solo l’equilibrio ecologico, ma anche la sicurezza economica e geopolitica mondiale.

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