Molti soldati israeliani sono in cura o si sono suicidati: la follia della guerra rende folli

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Sono i governi a decidere le guerre, gli stati maggiori degli eserciti a pianificarle, i media a farne la propaganda, i produttori di armamenti a fornirne gli strumenti e guadagnarne, ma sono ancora – nonostante i droni killer, l’intelligenza artificiale, i killer robot – i soldati ad essere mandati sul terreno a fare il lavoro sporco. Sono ancora gli esseri umani, uomini e donne, coloro a cui è chiesto di sospendere ogni inibizione morale e trasformarsi repentinamente – ma pro tempore, s’intende – in spietati assassini e criminali sui campi di battaglia. Lo spiegava già Erasmo da Rotterdam: “Se ti ripugna il brigantaggio, è la guerra che lo insegna; se aborrisci il fratricidio, è in guerra che lo si impara. (…) Se giudichi peggior condizione per uno stato quella in cui i peggiori prevalgono, la guerra è il regno dei più scellerati” (Il lamento della pace, SE, 2014).

Oltre le tante immagini euforiche di soldati israeliani impegnati nel genocidio di Gaza postate sui social – come quelle del soldato dell’Idf denunciato in Brasile, dove si trovava in vacanza, per crimini di guerra – molte donne e uomini che hanno partecipato alla mattanza dei palestinesi non sono sopravvissuti alla propria coscienza: migliaia di essi sono in cura per sindrome post traumatica da stress (1600 già nel gennaio 2024, rivela il Jerusalem post) e 28 si sono suicidati dal 7 ottobre del 2023 (i suicidi tra i soldati erano stati 14 nel 2022 e 11 nel 2021, rivela il Time of Israel). “Lui ha lasciato Gaza, ma Gaza non ha lasciato lui. Ed è morto per questo, a causa del post-trauma”, racconta la madre di uno di loro, Jenny Mizrahi. Tuttavia, nonostante il militarismo ossessivo assorbito fin dai banchi di scuola, la trasformazione delle persone in macchine da guerra voluta dall’esercito israeliano non sempre riesce, come dimostrano anche le decine di giovanissimi refusenik, gli obiettori di coscienza che finiscono nelle carceri militari di Netanyahu sostenuti dall’organizzazione Mesarvot (e in Italia dalla Campagna di Obiezione alla guerra del Movimento Nonviolento), oppure Breaking the silence, organizzazione pacifista di ex militari che rompe dall’interno il silenzio sulla realtà dell’occupazione israeliana.

Ma quando la trasformazione raggiunge il suo obiettivo, chi la subisce rischia di non potersene più liberare: “Come infatti si asterrà da uccidere una sola persona in un momento d’eccitazione chi per un modesto compenso ne sgozza tante?” si domandava ancora Erasmo da Rotterdam. Ciò che sicuramente accomuna gli attentatori di capodanno di New Orleans e Las Vegas, per esempio, è l’essere stati soldati ed aver partecipato entrambi all’aggressione militare all’Afghanistan. E il loro sommarsi alla lunga lista di attentati commessi da veterani di guerra negli Usa: sono oltre 480 i veterani di guerra accusati di crimini a carattere estremista solo dal 2017 al 2023, tra cui 230 arrestati per aver partecipato all’insurrezione di Capitol Hill del 6 gennaio 2021. “Il principale fattore predittivo per essere classificati come autori di stragi è avere un passato militare negli Stati Uniti”, dice Michael Jensen, direttore del National Consortium for The Study of Terrorism and Responses to Terrorism dell’ Università del Maryland (il Fatto Quotidiano, 3 gennaio 2025). Mentre Mission Roll Call, organizzazione che fornisce supporto agli ex militari, stima che negli Stati Uniti si suicidino una media di 17,5 veterani al giorno, ma i dati reali potrebbero essere molto più alti. Partecipare alla follia della guerra rende folli.

Sono, dunque, anche segno di salute mentale le “diserzioni a valanga” (il manifesto, 4 dicembre 2024) in corso sui fronti russo e ucraino, che dal lato ucraino – senza contare le centinaia di migliaia di uomini fuggiti all’estero e gli arruolamenti forzati con i rapimenti dei renitenti alla leva – conta almeno 200mila disertori dai teatri di guerra. Mentre sul fronte russo si moltiplicano le insubordinazioni individuali e di gruppo contro gli ufficiali, dal lato ucraino si contano a decine di migliaia i processi contro i disertori, come i 1.700 soldati che hanno abbandonato la brigata Anna di Kiev, voluta dal presidente Macron e addestrata in Francia, come simbolo della cooperazione franco-ucraina (vedi approfondimento di Peacelink), e forse anticipo dell’invio diretto sul terreno di truppe dei paesi dell’Unione europea, vista ormai la scarsità di ucraini disposti a farsi carne da cannone.

Gli uomini pensano di usare la guerra come mezzo per risolvere i conflitti, ma ne diventano a loro volta mezzi per il suo fine di violenza. Imbracciano il fucile, ma ne sono imbracciati. Per queste ragioni “se per un principe amorevole nulla dev’essere più importante dell’incolumità dei sudditi, la guerra gli dovrà riuscire odiosa più di ogni altra cosa”, chiosava Erasmo da Rotterdam. E se così non è, non rimane ai “sudditi” che esercitare la ragione, riprendersi il proprio potere, disobbedire al tiranno – come suggeriva già Etienne da la Boétie, contemporaneo di Erasmo – e spezzare il fucile.



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