La premier italiana Giorgia Meloni a colloquio col presidente eletto Usa Donald Trump. – ANSA
Alle 11.25, quando la notizia della liberazione di Cecilia Sala viene diffusa da Palazzo Chigi e rimbalza sulle agenzie di stampa, l’impressione è che il buon esito della vicenda sia giunto perfino prima delle ipotetiche aspettative delle istituzioni italiane. In realtà, al passo che ha portato all’interruzione della detenzione della giornalista, rinchiusa dal 19 dicembre nel super carcere di Evin, si è giunti dopo una intensa trattativa su tre piani – politica, diplomatica e di intelligence – che negli ultimi sette giorni è andata progressivamente definendosi, fino alla svolta di ieri mattina. Una trattativa giocata sull’asse fra Roma e Teheran, ma senza che Washington, per usare l’espressione di un addetto ai lavori, «si sia messa di traverso». E che presumibilmente, ma non immediatamente, potrebbe portare nei prossimi giorni al secondo atto, ossia la scarcerazione del 38enne Mohammed Abedini Najafabadi, ingegnere con doppia nazionalità, iraniana e svizzera, agli arresti nel carcere milanese di Opera dopo esser stato fermato il 16 dicembre all’aeroporto di Malpensa su mandato delle autorità giudiziarie Usa, che l’accusano d’aver fornito droni e materiali elettronici all’Iran, aggirando l’embargo statunitense, e vorrebbero la sua estradizione.
Le attese di Teheran
Le due vicende paiono legate a doppio filo non solo dal timing (Sala viene fermata a Teheran tre giorni dopo l’arresto a Malpensa di Abedini), ma soprattutto dalle dichiarazioni della diplomazia iraniana, che più volte ha avanzato rimostranze per la cattura di Abedini, definendola «un atto illegale, che danneggia i rapporti» fra i due Paesi. E ieri – attraverso fonti del ministero degli Esteri iraniano, contattate dall’emittente La7 – ha auspicato: «Speriamo ora che anche l’ingegnere iraniano torni presto a casa e ci auguriamo che l’Italia non si faccia coinvolgere nella vecchia guerra tra gli Stati Uniti e l’Iran».
La cautela di Roma
Ma come e quando potrebbe avvenire la scarcerazione di Abedini? Pare difficile che si tratti di una cosa immediata, ragionano diverse fonti interpellate da Avvenire. Ieri, quando in agenzia viene battuto che il Guardasigilli Carlo Nordio si sta recando a Palazzo Chigi per discutere della rapida liberazione dell’ingegnere iraniano, lui stesso smentisce: « Su questa cosa, non sto proprio riflettendo. Abbiamo discusso della riforma costituzionale della separazione delle carriere». E analoga cautela traspare dalle dichiarazioni del titolare degli Esteri, Antonio Tajani: quella di Abedini «è un’altra vicenda, che non riguarda né la presidenza del Consiglio, né il ministero degli Esteri, né l’intelligence – osserva -. Riguarda l’autorità giudiziaria», che «non prende ordini dal governo». Anche se il ministro della Giustizia ha «facoltà» di chiedere la scarcerazione, aggiunge, «vedremo cosa accadrà e se verranno concessi gli arresti domiciliari o meno».
Il generale Giovanni Caravelli, direttore degli 007 dell’Aise, volato a Teheran per riportare a casa Cecilia Sala. – ANSA
L’udienza di metà gennaio
Nel frattempo, sull’altro fronte della presunta trattativa, si registra un apparente stand-by. Nel carcere di Opera, l’ingegner Abedini attende che i magistrati di Milano decidano sulla sua richiesta di domiciliari. L’udienza della Corte d’appello sulla misura cautelare è fissata per il 15 gennaio. Al momento «non c’è nessuna novità», fa sapere la procuratrice generale Francesca Nanni. E anche l’avvocato dell’accusato, Alfredo De Francesco, taglia corto: «Sono contento per Sala, debbo concentrarmi sulla difesa del mio assistito». La Procura generale ha espresso parere negativo sulla richiesta di domiciliari, motivandolo col pericolo che Abedini si dilegui nelle more dell’arrivo dei documenti statunitensi a supporto della richiesta di estradizione.
Il potere di revoca di Nordio
Ma quali scenari potrebbero presentarsi nei prossimi giorni? Fonti qualificate lasciano intendere che il dicastero di via Arenula non intenda muoversi prima della decisione delle toghe milanesi. In caso di bocciatura della richiesta di domiciliari, la carta che il ministero potrebbe giocare è legata all’applicazione del secondo comma dell’articolo 718 del codice di procedura penale: « La revoca è sempre disposta se il Ministro della giustizia ne fa richiesta». In sostanza, il Guardasigilli potrebbe presentare una richiesta di revoca della misura cautelare in carcere per Abedini. Un’istanza che, in base alla legge, i giudici non potrebbero che accogliere, rimettendo in libertà Abedini, che a quel punto potrebbe muoversi a proprio piacimento e lasciare il Paese, verso la vicina Svizzera o altre destinazioni. Una soluzione che andrebbe incontro ai desiderata dell’Iran, ma in teoria scontenterebbe quelli delle autorità investigative e giudiziarie di Washington, che dovrebbero rinunciare a un indiziato ritenuto dall’Fbi “l’uomo dei droni” del regime di Teheran.
L’ingegnere svizzero-iraniano Abedini, agli arresti nel carcere milanese di Opera su mandato internazionale degli Usa. – ANSA
Un patto con gli Usa?
Per quale ragione, o “contropartita”, le autorità a stelle e strisce dovrebbero ingoiare il rospo? In via ufficiale, non c’è alcuna conferma di un accordo sblocca-stallo. L’unico dato certo è che il 4 gennaio la premier Giorgia Meloni ha visto in Florida il presidente statunitense eletto Donald Trump e che sabato vedrà a Roma l’uscente Joe Biden. Come sempre in casi del genere, i contenuti dei colloqui – e le eventuali condizioni – saranno coperti da riserbo. L’unica valutazione che qualche fonte azzarda riguarda la tempistica: se il governo, attraverso il ministro Nordio, decidesse d’intervenire sulla scarcerazione di Abedini, potrebbe farlo prima del 20 gennaio, data dell’insediamento di Trump, per evitare che, almeno ufficialmente, questa vicenda pesi sulla sua nascente amministrazione.
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