“Si separano le carriere per controllare i pm”

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Anche Magistratura Indipendente, corrente moderata e conservatrice delle toghe, è critica nei confronti della riforma Nordio che abolisce l’abuso d’ufficio e di alcune proposte, come la separazione delle carriere

Andrea GiambartolomeiRedattore lavialibera

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8 gennaio 2025

C’è un “filo comune” nelle politiche giudiziarie della destra, e sembra essere la volontà di di contrastare i giudici. Lo sostiene Davide Pretti, 42 anni, vicesegretario nazionale di Magistratura Indipendente, associazione di magistrati (una “corrente”) ritenuta conservatrice, quindi più vicina al centrodestra. “Non siamo contigui al governo, ci chiamiamo indipendenti perché ci riteniamo distanti dal potere esecutivo, ma siamo moderati perché riteniamo che il magistrato debba apparire imparziale”, precisa lui, sostituto procuratore a Torino.

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Questa maggioranza politica ha approvato l’introduzione di test psicoattitudinali e lavora alla separazione delle carriere. Osservando queste decisioni politiche e alcune altre proposte, qual è il giudizio complessivo di Magistratura indipendente?

“La separazione delle carriere di fatto c’è già: con la riforma Cartabia il passaggio da magistratura inquirente a magistratura giudicante, o viceversa, può avvenire una sola volta nei primi nove anni di carriera, e ora è rarissimo” Davide Pretti – Sostituto procuratore

C’è un filo comune. Vogliono contrastare l’operato dei magistrati. Il nostro è uno Stato di diritto e prevede un meccanismo di equilibrio e controllo reciproco tra i poteri. L’ordine giudiziario deve porre attenzione all’operato degli altri poteri e questo dà fastidio, come danno fastidio le inchieste giudiziarie sui reati contro la pubblica amministrazione. Il filo comune è l’intenzione di modificare questo meccanismo, ma viene nascosta all’interno di una campagna propagandistica sulla separazione delle carriere, che di fatto c’è già: con la riforma Cartabia il passaggio da magistratura inquirente a magistratura giudicante, o viceversa, può avvenire una sola volta nei primi nove anni di carriera, e ora è rarissimo. Per come è stata scritta, l’attuale riforma – a mio modo di vedere – punta ad altro: vuole inserire il controllo del potere esecutivo sul pubblico ministero. Separare i due Consigli superiori della magistratura (Csm, l’organo di autogoverno, che stabilisce incarichi e valuta i procedimenti disciplinari, ndr) e due diversi ordini, quello giudiziario giudicante da quello inquirente, consente l’introduzione di norme diverse per i due Csm.

C’è poi la questione della scelta dei componenti dei Csm.

La proposta di costituzione dei nuovi consigli è preoccupante. I magistrati non potranno scegliere e votare i loro rappresentanti, che saranno estratti a sorte, mentre i componenti di nomina parlamentare verranno votati tra i nomi proposti in un elenco ristretto di avvocati con esperienza e professori. Saremo l’unica categoria di lavoratori che non potrà scegliere i suoi rappresentanti.

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Separazione delle carriere dei magistrati, la destra rilancia la riforma

Le proposte di riforma hanno un consenso politico maggiore rispetto a quante ne avessero negli anni dei governi Berlusconi, durante i quali spesso la magistratura era attaccata?

In questo periodo, ogni volta che c’è un’indagine su un politico, ci si schiera – a prescindere dal merito – a favore di quella persona, affermando che i magistrati sbagliano e che c’è una volontà persecutoria. Se ci sono dei reati, c’è il compito di accertare se sono stati commessi ed evidentemente se si arriva a delle misure cautelari è perché sono state trovate delle prove.

Nello stesso modo vengono attaccati, anche a livello personale, colleghi che emettono provvedimenti sgraditi. È successo al collega di Bologna (Marco Gattuso, che ha chiesto alla Corte di giustizia dell’Unione europea un parere sul decreto legge riguardante i Paesi sicuri in cui rimpatriare i migranti, ndr), con la pubblicazione delle foto del suo matrimonio su alcuni giornali. Dei provvedimenti si può discutere e ci sono dei gradi di impugnazione, con un controllo di magistrati di grado superiore. È legittimo, in uno Stato di diritto. Gli attacchi personali no.

La riforma Nordio ha abolito l’abuso d’ufficio e depotenziato il traffico d’influenze. Si stanno valutando limiti all’uso di intercettazioni e ai sequestri di smartphone per alcuni delitti. Tra i reati ostativi, quelli che limitano i benefici penitenziari, sono stati tolti i reati contro la pubblica amministrazione. Si sta creando una giustizia forte coi deboli e debole coi forti?

“Da un lato si introducono reati come la resistenza passiva, dall’altra si elimina l’abuso d’ufficio perché c’è la paura della firma, che però si contrasta in altri modi, non aumentando l’impunità per alcuni comportamenti che la società ritiene inopportuni”

La sensazione è quella. Da un lato si introducono reati come la resistenza passiva, dall’altra si elimina l’abuso d’ufficio perché c’è la paura della firma, che però si contrasta in altri modi, non aumentando l’impunità per alcuni comportamenti che la società ritiene inopportuni. Penso al professore universitario che deve scegliere il dottorando di ricerca e lo fa per simpatie e non per meriti: senza l’abuso d’ufficio quell’atto è impunito. In una società democratica come la nostra, è inammissibile che non si possa punire il pubblico ufficiale che opera in modo parziale.

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Non ci sono altri reati esistenti che si possono contestare al posto dell’abuso d’ufficio?

Non è mai corretto far rientrare dalla finestra quanto è uscito dalla porta. Il tema è diverso: è opportuno rendere immune l’operato parziale di un pubblico ufficiale a danno di qualcuno o a vantaggio di altri?

Immagino ci sia stata un’interlocuzione parlamentare di giuristi e rappresentanti della magistratura, come su altri aspetti. Però alla fine il parlamento non è giunto a una soluzione condivisa.

L’abuso d’ufficio, nella sua versione originaria, aveva effettivamente maglie larghe e un raggio d’azione ampio, ma la soluzione non è abrogare la norma. È come se la politica rinunciasse al suo compito: siccome non è in grado di normare un fenomeno, allora elimina la norma. Sarebbe stato preferibile circoscrivere meglio le condotte illecite. Invece, per ovviare un problema, se ne è lasciato uno più grosso.

Il governo mette i bastoni tra le ruote della giustizia

Da anni osserviamo anche un altro fenomeno: ogni maggioranza politica e ogni governo modificano leggi e procedure. Prima la riforma voluta dal ministro Andrea Orlando, poi quella del suo successore Alfonso Bonafede, in seguito quella di Marta Cartabia e infine quella di Carlo Nordio. Questi cambiamenti frequenti non creano incertezza nei palazzi di giustizia?

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Incertezza no, ma una certa difficoltà nell’applicare la nuova normativa sì. Credo faccia parte del gioco: ogni governo è espressione di un elettorato differente e porta avanti le riforme del suo programma. Non abbiamo grandi problemi ad aggiornarci alla normativa. Certo, su alcune questioni può essere complesso, come la prescrizione – spesso modificata – e il calcolo dei suoi tempi. Però applicare la norma è il nostro dovere.

C’è poi l’attenzione maggiore posta su alcuni reati che suscitano più allarme sociale in certi periodi, perdendo di vista altri fenomeni. Non dimostra un utilizzo politico della giustizia penale?

È fisiologico che ogni maggioranza conduca una campagna elettorale portando avanti dei temi. Ritengo giusto che un governo o un altro miri a punire più alcuni reati: è espressione del fatto che alcuni reati siano di maggiore allarme o urgenza. Però investire più su alcuni reati non significa necessariamente dimenticarne altri. Ci sono anche degli obblighi internazionali che l’Italia deve rispettare, come le norme anticorruzione.

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In materia di migrazioni, i giudici di Catania, Roma e Bologna che hanno preso decisioni non allineate alla volontà del governo, sono stati contestati dalla politica. Magistratura Indipendente come giudica questa situazione?

“Ci sono sensibilità diverse sui limiti del singolo nel manifestare le proprie opinioni politiche: noi di Magistratura Indipendente riteniamo che il magistrato non solo debba essere imparziale, ma debba anche apparire così, e riteniamo opportuno evitare determinati comportamenti, pur legittimi, che però mettono in discussione la sua credibilità”

Nella magistratura ci sono visioni in parte diverse a seconda dei vari gruppi associativi. Tutti condanniamo in modo unanime e fermo gli attacchi personali ai colleghi: il singolo giudice non deve essere mai attaccato sul piano personale. L’unica cosa ammissibile è la critica al provvedimento. Ci sono sensibilità diverse sui limiti del singolo nel manifestare le proprie opinioni politiche: noi di Magistratura Indipendente riteniamo che il magistrato non solo debba essere imparziale, ma debba anche apparire così, e riteniamo opportuno evitare determinati comportamenti, pur legittimi, che però mettono in discussione la sua credibilità. Nella vita privata e quotidiana, è opportuno che il magistrato si esponga sui social? Per noi no. Legittimamente può partecipare a convegni o esprimere la sua opinione. Cosa diversa è criticare sui social provvedimenti del governo, soprattutto su temi che non riguardano la giustizia, su temi che non ci competono.

Come valutate la proposta di affidare alle corti d’appello le decisioni in materia di immigrazione anziché affidarle alle sezioni specifiche dei tribunali?
È un’idea ancora in cantiere. Non ci sono le risorse: una materia non può essere spostata dall’oggi al domani senza cambiare nulla. Le corti d’appello hanno pochi magistrati e già faticano a far fronte al loro carico di lavoro. Figuriamoci se gli viene attribuita una nuova materia che genera molti fascicoli: ci sarebbe un tracollo del sistema, considerando che è impossibile inserire negli organici ulteriori magistrati. Sarebbe un grave problema per l’efficienza del sistema, per i tempi e per il raggiungimento degli obiettivi del Pnrr. Il problema è di merito, non affrontato dall’opinione pubblica perché sembra una guerra tra il governo che dice A e la magistratura che dice B. I magistrati non hanno aderito alle indicazioni della legge del governo perché ritengono che la normativa comunitaria, dell’Unione europea, dica qualcosa di diverso. Siccome nel nostro paese c’è una gerarchia delle fonti, dove le norme europee prevalgono sul diritto interno, hanno rimesso la questione alla Corte di giustizia dell’Ue che dirà se i giudici italiani hanno agito bene o se la legge italiana è conforme. Qui non c’è una magistratura che si oppone ideologicamente alle scelte del governo in materia di immigrazione: i magistrati applicano le norme e se queste norme cambiano, devono essere cambiate nel modo corretto.

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A proposito di “opposizione ideologica”, alcuni esponenti del governo temono da tempo un “complotto” della magistratura. Magistratura Indipendente, ritenuta la corrente più moderata, a volte più vicina ai conservatori, come la vede?

Sono certo che non c’è nessun complotto: il ruolo della magistratura non è fare opposizione, ma applicare la legge e questo comporta sempre lo scontento di qualcuno. Succede nei processi civili e in quelli penali. Quando sono in gioco valori o interessi in cui la persona coinvolta è un politico, c’è qualcuno che si lamenta. Inoltre le inchieste giudiziarie hanno sempre riguardato qualsiasi schieramento politico. Il fatto che ci siano inchieste per determinati reati è sintomo di una buona salute della democrazia del nostro paese. Io mi chiedo: i cittadini sarebbero contenti se l’Italia fosse come quegli Stati in cui, quando un politico viene eletto, le inchieste su di lui e sui suoi familiari vengono accantonate?

Un’ultima domanda. I magistrati che cominciano a lavorare in questi anni, come si sentono in questo clima?

Vedo i colleghi più giovani abbastanza spaventati dai continui attacchi e dall’incertezza. Il timore non manca. Tuttavia, i nuovi colleghi sono propositivi e saldi, quindi supereranno le difficoltà. Di certo, questo continuo scontro non aiuta nel lavoro di tutti i giorni.

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