«Oggi è una giornata solare e bella. In carcere non è possibile vedere il sole perché i muri sono molto alti. O per mancanza di potenza, oppure perché si vergognava di vedere la nostra condizione, il sole non si abbassava mai al nostro livello. Alla fine sono riuscito ad abbracciare queste belle giornate solari. È stato difficile, ma ce l’ho fatta». Ilhan Sami Comak risponde così alla domanda «Come sta?», con un sorriso da ragazzino stampato sul volto.
DOPO 30 ANNI DI DETENZIONE in semi-isolamento, Comak è uscito dal carcere il 26 novembre scorso. Nato nel 1973 nella città di Bingöl, si trasferisce a Istanbul nel 1992 per studiare geografia all’Università degli Studi di Istanbul. Due anni dopo, nel 1994, viene arrestato e, da quel giorno, non è più uscito dal carcere.
A 21 anni, Comak viene accusato di aver causato tre incendi in luoghi distanti nello stesso momento. Il processo contro di lui fu condotto in fretta e si concluse con una condanna a morte, poi commutata in ergastolo. La decisione del giudice fu presa «anche se non c’erano prove sufficienti». Nonostante avesse dichiarato più volte di essere stato torturato e costretto a firmare una confessione mentre era incosciente, il tribunale non tenne conto di questo, né del referto medico legale che attestava tracce di tortura sul suo corpo.
Il percorso legale di Comak è stato segnato da processi che si aprivano e si chiudevano, dalle decisioni della Corte europea dei Diritti dell’uomo (Cedu) e dalle misure prese dal Comitato disciplinare penitenziario. Così sono trascorsi trent’anni, in una lunga lotta per la giustizia.
COMAK RACCONTA le sue prime sensazioni dopo la scarcerazione: «La varietà del mondo, la profondità dello spazio e la natura mi hanno colpito una volta uscito dal carcere. Durante le visite potevo avere un contatto fisico con le persone a me care, ma una volta fuori le potevo toccare per quanto tempo volevo. Tutto ciò mi ha sorpreso un po’, ma soprattutto mi ha reso molto felice perché finalmente raggiungevo quel mondo che da anni mi mancava».
Durante la detenzione, Comak ha scritto dodici libri. Inoltre, è stato pubblicato un volume in inglese che raccoglie alcune delle sue poesie, Separated from the Sun, curato da Caroline Stockford e pubblicato da Smokestack Books. Le sue opere sono state premiate in Turchia e all’estero. Tra i riconoscimenti ricevuti figurano il premio di poesia Metin Altiok, il premio Sennur Sezer e quello per la Libertà di espressione del ministero della Cultura norvegese. Nel 2020, il quotidiano britannico The Guardian ha pubblicato un appello firmato da numerosi intellettuali per la sua liberazione. Nello stesso anno, il prestigioso circolo poetico londinese The Poetry Society ha dedicato una serata intera alla sua poetica.
«NON HO MAI SMARRITO la mia strada e la mia parola non è mai caduta per terra», ha detto Comak appena uscito dal carcere. Spiega così il significato delle sue parole: «Sono entrato in carcere come una persona buona e ne sono uscito allo stesso modo. Quelle parole rappresentano le responsabilità che avevo nei confronti degli altri, in termini di relazioni umane. Il carcere mi ha portato via trent’anni, tre mesi, sei giorni e cinque ore, ma sono uscito come una persona migliore, anche come poeta. Sono diventato un poeta conosciuto nel mondo per la mia letteratura. E non ho mai rinunciato all’idea di essere una persona buona».
Ilhan Sami Comak racconta che, prima di entrare in carcere, era una persona semplice e non conosceva la poesia: «Avevo letto alcune poesie di Hikmet, Majakovskij, Neruda, Esenin e T. S. Eliot. Non avevo né l’obiettivo né la capacità di diventare un poeta. Tuttavia, una volta condannato a una pena pesante, ho realizzato che la mia vita non poteva continuare in quel modo. Il tempo in carcere è lento, non scorre, ti contagia ed è monotono. Tutto ciò è contro la natura umana, e io non volevo consegnare la mia anima a questo oscuramento. Così ho scelto di dedicarmi alla poesia».
ALL’INIZIO, COMAK SCRIVEVA tanto, ma spesso non si trattava di vera poesia. «Ho tentato molte volte, ho fallito, ma non ho mollato. A un certo punto ho capito di aver raggiunto l’obiettivo e ho iniziato a migliorare. La poesia mi ha offerto un tempo diverso rispetto alla vita in carcere. Era come un ramoscello che ho afferrato in mare per arrivare a riva. Se oggi sono sano di mente, lo devo alla poesia».
In cella Comak ha conosciuto decine di poeti da tutto il mondo. «Ora vorrei incontrarli di persona, parlare con loro e vedere la luce nei loro occhi». Tra i progetti di Comak c’è ora la pubblicazione di un libro, in Turchia e in Europa, composto dalle poesie di diversi autori scritte per lui durante la sua detenzione.
«Trent’anni in carcere – racconta Comak – sono stati difficili. Molte persone care sono morte, non ho potuto assistere ai loro funerali, e in alcuni casi l’ho saputo tardi. È stata una grande oppressione e una dura prova. Tuttavia, ne sono uscito come una persona buona e un bravo poeta, quindi penso di aver superato l’esame. Spero che anche altre persone ancora in carcere possano essere toccate dalla bellezza». Comak riassume così, con emozione e sobrietà, la sua esperienza. Mentre inizia ad abbracciare la vita da uomo e da poeta libero.
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