Anna Sodano: la storia della giovane interrogata, uccisa e fatta sparire dai Sarno

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Anna Sodano fu la prima donna di Napoli est a maturare la decisione di collaborare con la giustizia. Un desiderio che ha pagato con la vita e tutt’oggi ai suoi parenti non è stato restituito un corpo.

All’indomani del clamoroso ritorno a Ponticelli di Vincenzo Sarno, l’ex boss che rese esecutiva la condanna a morte deliberata dal fratello Ciro, vale la pena di ricordare il sacrificio di una giovane donna che ha pagato con la vita l’ostinata volontà dei Sarno di mantenere in piedi quello stesso impero del male che poi hanno contribuito a distruggere con le loro stesse mani, quando hanno deciso di passare dalla parte dello Stato. Un sogno negato, non solo ad Anna Sodano, ma a tutti coloro che prima dei fratelli Sarno maturarono la volontà di voltare le spalle alla camorra e al clan.

Lo stesso Vincenzo Sarno, in veste di collaboratore di giustizia, ha concorso a far luce sul triste epilogo al quale è andata incontro la giovane vita di Anna, una madre che sognava un futuro migliore per lei e per i suoi bambini che, invece, sono stati costretti a crescere senza l’amore di entrambi i genitori, perché pochi anni dopo anche suo marito, Gennaro Busiello, fu assassinato dai Sarno.

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Insieme a Gennaro Busiello detto ‘o caino, il suo compagno, Anna gestiva una piazza di droga nel fortino dei Sarno, il rione De Gasperi di Ponticelli. Si vocifera che prima di avviare il percorso di collaborazione, la Sodano abbia fatto sparire una partita di droga che avrebbe dovuto vendere per conto del clan Sarno. Una delle tante leggende, vere o non vere, che continuano ad accompagnare la sua triste storia. Come la tesi ricostruita alla magistratura dai suoi aguzzini, secondo la quale suo marito avrebbe appoggiato la decisione di ucciderla per dimostrare fedeltà al clan Sarno.

“Datele un bacio da parte mia”, avrebbe riferito Gennaro Busiello al boss Ciro Sarno, durante un processo nel quale erano entrambi imputati. Ignaro del fatto che, in quel frangente, il boss ordinò la morte di entrambi. Malgrado quel significativo atto dimostrativo di fedeltà, Ciro Sarno non si fidava di Busiello. Sapeva che era molto innamorato di sua moglie e non poteva rischiare che una volta tornato in libertà potesse farsi accarezzare dall’idea di vendicarsi.

Quel giorno, in aula, ad assistere al processo, c’era anche una cara amica di Anna, “la pazzignana” Luisa De Stefano. Fu proprio lei a riferire al boss che era riuscita a mettersi in contatto con lei, malgrado fosse già sotto la tutela dello Stato. La “pazzignana” fu inconsapevolmente complice dell’omicidio dell’amica. Anche lei era convinta della buona fede del boss che proponeva ad Anna di trasferirsi lontano da Napoli, in una casa che il clan le avrebbe fornito, unitamente a un vitalizio che avrebbe percepito ogni mese e che avrebbe garantito a lei e ai suoi figli la vita normale e serena che sognava, a patto che rinunciasse all’intenzione di riferire alla magistratura informazioni che avrebbero potuto compromettere il clan Sarno. La giovane donna ha compiuto un passo falso che si è rivelato fatale quando ha lasciato l’hotel dove dimorava temporaneamente, in attesa del trasferimento in una località protetta, per tornare nel rione De Gasperi. A partire da quel momento, nessuno sa che fine abbia fatto. Nemmeno i suoi aguzzini. I collaboratori di giustizia hanno poi spiegato che il suo cadavere fu consegnato agli “amici di Sant’Antimo”, unitamente all’ordine di farlo sparire e mai si sono interrogati circa la fine che avevano riservato al corpo della giovane. Forse risucchiata in una betoniera o sepolta chissà dove. Così è finito il sogno di una vita normale covato da una giovane madre di 27 anni, la cui unica colpa fu aver desiderato di voltare le spalle ai Sarno, alla camorra, alla droga.

Vincenzo Sarno, l’unico dei fratelli Sarno a piede libero quando la Sodano fu uccisa e di fatto il soggetto incaricato dal fratello Ciro a zittire per sempre la donna, in veste di collaboratore di giustizia, ha fornito la sua ricostruzione dell’efferato omicidio. Esordì spiegando che durante la detenzione del compagno Gennaro Busiello, la donna iniziò una relazione con un altro uomo e la decisione di collaborare con la giustizia scaturì dall’intenzione di mettersi in salvo da un tutt’altro che scontato delitto d’onore, rifugiandosi tra le braccia dello Stato. Fu proprio il suo compagno, Mario, a ricostruire gli ultimi giorni di vita di Anna. Raccontò l’inquietudine e il turbamento che la divoravano, perché le mancavano i figli e non era sicura di disporre della forza emotiva necessaria per trascorrere un lungo periodo lontana da loro.
Fu proprio Vincenzo Sarno ad interrogare la donna, quando giunse nel rione, dopo aver lasciato l’Hotel Excelsior di Napoli presso il quale soggiornava sotto la tutela dello Stato. L’ex boss ha raccontato che l’interrogatorio era finalizzato ad indurla a confessare le dichiarazioni rese alla magistratura. Seppure la donna si limitò a spiegare di aver fornito indicazioni circoscritte a piccoli episodi di spaccio, non bastò a salvarle la vita. Vincenzo Sarno affidò la donna a suo nipote Luigi Amitrano che già sapeva cosa fare. Freddata a colpi di pistola in auto, il cadavere di Anna Sodano fu poi consegnato ad esponenti della criminalità di Sant’Antimo in affari con i Sarno e non è mai stato ritrovato. Chiaro e inquietante il messaggio lanciato dai Sarno: questa è la fine che fanno “gli infami” o coloro che bramano di tradire i Sarno. “Cancellati dalla faccia della terra”, inghiottiti nel nulla. Non bastava ucciderla, i Sarno dovevano cancellare ogni traccia della sua esistenza per dissuadere altri affiliati dall’emulare le sue gesta.

Ucciderla non era abbastanza. Il cadavere di Anna Sodano, il ricordo di un fantasma che da decenni vaga nel nulla, è stato inghiottito anche dalla macchina del fango. Calunniata, diffamata, sul suo conto, dentro e fuori le aule di tribunale, furono dette tante cose. Descritta come una consumatrice abituale di stupefacenti, un vizio che a dire dei boss, la rendeva una madre inaffidabile. Un atto necessario a sminuire la ferocia dell’omicidio, trattandosi pur sempre di una giovane donna e madre. Una narrazione che tendeva a mettere in dubbio il suo amore materno per smorzare la gravità del gesto compiuto dal clan che per preservare i suoi interessi aveva scippato la madre ai suoi bambini. Così come impietosi furono gli attacchi rivolti alla donna, definita una “fuggiaschella”, una donna di facili costumi. Perfino la sua sparizione fu giustificata dal clan in quel modo, puntando il dito su una probabile fuga d’amore. Un modus operandi peculiare della camorra, quello finalizzato a screditare la vittima per sminuire la ferocia del clan e non attirare dissenso e disprezzo da parte degli affiliati, ma anche della gente comune, consapevole che l’omicidio di una giovane madre, desiderosa di cambiare vita, rientra in quel genere di azioni imperdonabili.

Anna Sodano è sparita per sempre il 29 gennaio del 1988, oggi avrebbe 64 anni. A 37 anni di distanza dalla sua scomparsa, il suo carnefice, Vincenzo Sarno, dopo un trascorso da collaboratore di giustizia, è tornato a Ponticelli per rivendicare di riconquistare un posto di rilievo nel contesto malavitoso locale.



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