Il presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella, assassinato dalla mafia – Fotogramma
Magma. Mattarella il delitto perfetto è un docufilm sull’assassinio di Piersanti Mattarella che rilancia – per la morte del presidente della Regione Sicilia, avvenuta sotto casa il 6 gennaio del 1980 da parte di due sicari mai identificati – la pista politico-mafiosa su cui stava indagando Giovanni Falcone. Pubblichiamo l’intervento che monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita, terrà oggi all’anteprima del film.
Piersanti Mattarella, Aldo Moro, Vittorio Bachelet erano tre cristiani. Certo, tra le vittime del terrorismo o della mafia non ci sono stati solo cristiani ma anche laici, comunisti, socialisti … Pio La Torre, Walter Tobagi, Emilio Alessandrini, Ezio Tarantelli, Carlo Alberto dalla Chiesa e molti altri. La democrazia, infatti, non è monopolio di nessuno e vive se è animata da uomini e donne con culture, ideologie, sensibilità diverse. Ecco perché sono state tanto importanti quelle che una volta chiamavamo “culture politiche”, di cui oggi sentiamo tanto la mancanza. Tra esse vi era quella rappresentata in modo degno da Piersanti Mattarella, Aldo Moro, Vittorio Bachelet. Possiamo chiamarli martiri civili spinti da un’ispirazione religiosa. La fede cristiana non è rimasta a monte del loro impegno; ha plasmato in profondità la loro cultura politica e le scelte che ne hanno fatto conseguire. È la stessa cultura politica alla cui elaborazione, prima di loro, avevano già contribuito in tanti, come Luigi Sturzo, Alcide De Gasperi e molti altri, gran parte dei quali non così famosi, forse addirittura dimenticati. Quella che chiamiamo cultura politica cattolico-democratica è stata popolare, ampia, corale, con radici antiche e capacità di confrontarsi con le sfide del mondo contemporaneo. Tale cultura – sconfitta nel primo dopoguerra – nel secondo dopoguerra ha orientato gran parte del cattolicesimo italiano, pur restando minoritaria. E comunque – insieme ad altre culture democratiche – è stata determinante nella elaborazione della Costituzione italiana, un documento giuridico-politico che resta ancora oggi una bussola che accompagna quando si deve andare verso un di più di libertà, di uguaglianza, di giustizia, di pace… La Costituzione italiana è stata scritta con uno spirito inclusivo: doveva essere una Carta per un paese che fosse per tutti, che fosse aperto al futuro e disponibile a superare ciò che invecchia e affrontare in maniera conseguente le nuove sfide che si sarebbero presentate. Moro, Mattarella, Bachelet sono stati in senso profondo uomini di questa Costituzione. Moro perché contribuì anche a scriverla e, con agli due, ne rispettavano la lettera e ne custodivano lo spirito. Tutti e tre, assieme a tanti altri, hanno condiviso della Costituzione il sogno di una Italia che progredisse nella giustizia sociale e nella pace. E quindi, un’Italia più bella, più solidale, con un a tensione umanistica universale. Negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta si sentiva nel Paese il bisogno di un nuovo slancio che fosse radicato nella lettera e soprattutto nello spirito della Costituzione. Il Paese doveva affrontare le nuove sfide che il tempo poneva. Il dibattito pervadeva l’intera società italiana. Chi ha la mia età ricorda, ad esempio, il fervore dei cattolici italiani nell’attuare il Concilio, appena terminato, in Italia. Come non ricordare il Convegno della Chiesa di Roma del febbraio ’74 e quello successivo della Chiesa italiana del ’76 sul tema “Evangelizzazione e promozione umana”? E ricordo – faccio solo due esempi – la sorpresa mia e degli amici di Sant’Egidio nel vedere Aldo Moro prendere contatto con diversi nuovi movimenti cattolici che cercavano le strade per un cristianesimo più legato al Vangelo e alla società. E Vittorio Bachelet che fu tra i protagonisti di questa stagione di rinnovamento della Chiesa e dell’associazionismo cattolico anche con quella “scelta religiosa” – che oggi va certamente ripensata – ma che allora cercò di liberare milioni di cattolici italiani da una triste logica di conservazione e di contrapposizione. Piersanti Mattarella non l’ho conosciuto ma ci colpiva la coraggiosa lotta contro la mafia, che apriva una nuova stache gione per la Sicilia e per l’Italia intera: se tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta la mafia ha subito una sconfitta storica, grazie a Falcone, Borsellino e tanti altri, è stato anche soprattutto per merito suo. Moro, Mattarella, Bachelet sono stati tutti e tre profondamente democratici, aperti al confronto e alla collaborazione con forze politiche di tutt’altro orientamento ideologico. Ciò non ha mai significato per loro cedere a ciò che di inaccettabile c’era in tali ideologie. Non esitarono nel condannare le persecuzioni anticristiane nei paesi dell’Europa orientale e in Urss, che certamente nessuno dei tre ha mai condiviso. E non è stato un caso se nel 1977 il segretario del Partito comunista italiano, Enrico Berlinguer, scrisse una lettera ad un vescovo, monsignor Luigi Bettazzi, che il suo partito si professava «non teista, non ateista, non antiteista». Bensì «laico e democratico». Tutto ciò era il risultato di una profonda evoluzione maturata anche perché uomini come Moro, Mattarella e Bachelet seppero condurre con i comunisti italiani un lungo dialogo rispettoso, profondo, tenace. Cattolicesimo democratico, infatti, vuol dire dialogo per un paese che fosse democratico per tutti. Dialogo: cioè confronto, comprensione reciproca, riconoscimento della parte di verità di cui ogni uomo è portatore, collaborazione. Di questa cultura politica voglio ricordare – di grande attualità oggi – anche la capacità di coniugare le esigenze della difesa e quelle della cooperazione internazionale. Al fondo, anche su questo terreno, c’è stato un sogno, che la loro ispirazione cristiana ha contribuito potentemente ad alimentare: il sogno della pace. I cristiani sanno bene la pace è anzitutto un dono di Dio. E non cessano di invocarla. Ma senza la coltivazione di questo sogno è facile smarrire la strada della pace accettando, rassegnati, la guerra come inevitabile. È il desolante e crudele panorama di questo tempo! I cattolici, che dopo la Seconda guerra mondiale si sono impegnati a fondo per la democrazia in Italia, hanno avuto il sogno della pace e hanno operato per realizzarla. Lo hanno fatto con realismo, consapevoli della complessità del mondo, ma nello stesso tempo convinti che un Paese come l’Italia ha bisogno di alleati forti delle cui decisioni è ovviamente necessario tener conto. La scelta atlantica è in questo senso. Ma questi cattolici – che hanno pagato con la vita la loro scelta – non hanno mai smesso di cercare una terza via tra subordinazione e conflitto nei confronti di tali alleati, facendo valere, nella lealtà, le proprie ragioni, sulla base di una «originale intelligenza degli avvenimenti », come diceva Moro. Per questo hanno occupato una posizione strategica nei rapporti tra l’Occidente e il blocco sovietico, tra l’Occidente e i Paesi allora definiti del Terzo mondo. Per questo la loro idea di Europa era legata alla pace e ad un nuovo ordine internazionale. Tale prospettiva è oggi ancor più urgente di allora. Ha ragione papa Francesco nel parlare di terza guerra mondiale a pezzetti. In realtà, il mondo lo stiamo davvero facendo a pezzi! Con l’omicidio di Moro, di Mattarella, di Bachelet (e di altri ancora), terrorismo, mafia, forze eversive e occulte, volevano abbattere quella democrazia che questi tre uomini rappresentavano, difendevano e promuovevano. Li hanno uccisi, ma il loro sacrificio non è stato inutile: quel disegno terroristico di abbattere la democrazia è stato sconfitto. Il terrorismo italiano era il colpo di coda di un mondo dominato da grandi ideologie: chi ha ucciso Moro e Bachelet, credeva ancora in quelle ideologie e non sopportava chi cercava, come loro e come Mattarella, di appianare i conflitti, conciliare le opposizioni, cambiare concretamente la realtà senza proclami astratti. Siamo entrati in questo nuovo mondo senza Moro, Mattarella, Bachelet, essendo più deboli e più incerti. Il cattolicesimo politico italiano – negli anni Ottanta – ha perso quel rapporto con la Chiesa – a tratti difficile per la necessità di affermare la giusta autonomia dei laici in campo politico, ma necessario per pensare in grande – così importante per le generazioni precedenti. Anche il riferimento all’ispirazione cristiana si è affievolito. Sarebbe sbagliato dire che il cattolicesimo politico italiano è diventato più laico, perché laicità significa cercare un giusto rapporto tra Chiesa e Stato, non disinteressarsi di uno dei due, e mantenere l’ispirazione cristiana nel pluralismo delle tendenze ideologiche e politiche e non perderla. Direi che si è in parte smarrita la strada tracciata dal cattolicesimo democratico nei decenni precedenti e questo patrimonio politico-culturale ha stentato a trovare interpreti adeguati alle nuove sfide. Sì, una cultura politica più povera non solo sul versante cattolico, ma dell’intero Paese. La stessa crisi dei partiti ne è una conseguenza. Oggi viviamo in una nuova epoca storica che, purtroppo, è priva di visioni unitive. Emerge sempre più quella che possiamo chiamare una sorta di “dittatura dell’io” – o, con Guicciardini, il primato del “particulare” – che sta sgretolando il “Noi” ch’è condizione indispensabile per ispirare una globalizzazione dai tratti di quell’umanesimo universale che è l’anima stessa del cattolicesimo. L’eredità di Moro, Mattarella e Bachelet, costituisce un patrimonio da cui si deve attingere anche per l’oggi. Abbiamo bisogno del loro spirito, del loro sogno. Che era lo stesso dei padri costituenti. Ascoltando le parole del Capo dello Stato nell’ultimo giorno dell’anno, ho colto in esse la forza del sogno che guidava i testimoni di allora: il sogno di una democrazia larga e inclusiva. Le tante cose che il Presidente ha detto erano legate le une alle altre da un grande disegno: quello di un’Italia più umana, più giusta e più felice. Appunto, lo stesso di Moro, di suo fratello Piersanti e di Bachelet. Mi chiedo: non dobbiamo – noi cattolici, anzitutto – augurarci uno scatto di pensiero da parte di spiriti “liberi e forti” – per dirla con don Sturzo – che riprendano il coraggio e l’audacia di una cultura politica per un’Italia, anzi, per un’Europa che aiuti il mondo a disegnare una visione che conduca ad un nuovo ordine internazionale? Certo, non possiamo stare a guardare!
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