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Il derby della Madonnina vissuto nel reparto «La Nave» del carcere milanese. «Il calcio per noi tifosi è una fuga dalla monotonia»: quasi una piccola evasione, però legale
Lunedì 6 gennaio, giorno della Befana. Tutto è pronto per l’ennesimo derby della Madonnina. Gli animi si scaldano e l’euforia è a mille. San Vittore spaccato in due fazioni: da una parte la Milano nerazzurra e dall’altra quella rossonera. In ballo c’è il primo trofeo del 2025. La Supercoppa.
Alle 18.30 manca ancora un po’ all’inizio della partita ma la tensione già sale. Comincia quell’ansia che ti scuote le gambe e non ti fa stare un attimo fermo. Sono fatto, così non ci posso fare niente. Scalpito. E quindi inevitabilmente cominciano gli sfottò: «Ma dove vuoi andare Enzino? Accupa! Accupa*!». (*Accupare = v. intr. diventare cupi, intristirsi, ndr)
Eh, sì. Davanti abbiamo l’Inter. La squadra più forte del campionato, la squadra campione d’Italia. C’è poco da dire. Ma io non mollo. E ricordo agli interisti che il Milan c’è. Specialmente nelle partite importanti. E che siamo l’unica squadra ad averli battuti in campionato.
Anche Michele però da dove sta continua. «Enzo non uscire dalla cella – ride – che ti vengo a prendere io e vedi come te lo dico!».
Ore 19.55 e la partita sta per cominciare. In sezione c’è aria da stadio. Cori che si scaldano. È un momento bellissimo, come mi piace quella sensazione di sfida e di tensione che continua a crescere.
E poi via, la partita comincia. Che dire. Già da subito si vede che sarà un grande scontro. Occasioni da una parte e dall’altra. E sono davvero contento perché il Milan c’è sul serio. Sigarette a ripetizione. L’Inter macina il suo gioco ma il Milan risponde. Però là davanti manca qualcosa. Al Milan manca la zampata vincente. E il primo tempo è quasi allo scadere quando al 46esimo segna Lautaro Martìnez. Madòooo… non si è capito più niente. Mi affaccio al blindo e vedo di fronte a me interisti che gridano, mentre di fianco a me il mio amico Gianluca grida «accupa Enzo, accupa!». Una desolazione. Mi è passata la fame, la sete, ogni cosa.
Così comincia il secondo tempo. E nella mia testa ero ancora fiducioso. Ma subito arriva il secondo gol dell’Inter. Una mazzata. Sento solo la voce di Gianluca: «Enzo accupa!». E più da lontano quell’altra di Michele: «Enzino non ti sento!». Niente, ero in depressione totale.
Invece… dopo pochi minuti arriva il gol del Milan: Theo Hernàndez! E lì mi sono accesi gli occhi. Ma non ho esultato tantissimo. Ero ancora parecchio teso. Finché a un certo punto il mister Conceiçao mette dentro un certo Rafael Leao, non so se mi spiego. E la partita cambia totalmente. Il Milan spinge. E a un certo punto arriva il pareggio. Pulisic! Non si è capito più niente: è uscita fuori la San Vittore rossonera. Cori che gridano «chi non si alza nerazzurro è!». Ora abbiamo la partita in pugno, chi se lo aspettava un pareggio. Intanto la partita sta per finire, nella mia testa sto già pensando a chi batterà i rigori di questa partita interminabile. L’arbitro dà 5 minuti di recupero. E al 93esimo, il guizzo di Leao: palla in mezzo per Abraham, gol! Gol! Mi stava prendendo un infarto. Gioia immensa. E questa volta sono stato io a gridare «Gianluca accupa!». E poi: «Michele mi stavi cercando?». Le facce degli interisti attapirati. E il fischio finale. La vera festa. Il Milan è campione. San Vittore davvero come uno stadio. E veramente: il calcio a volte è più che una fuga dalla monotonia. A volte, anche solo per poco, è letteralmente una piccola evasione. Legalizzata.
* Reparto “La Nave” – Casa circondariale di San Vittore, Milano
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