Alexander Jakhanagiev e la domanda a Giorgia Meloni sulle formiche: «Non era premeditata, il senso l’ha dato la sua risposta»

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di
Natalia Distefano

«Lei calpesta le formiche, ci fa caso mentre cammina?». Il direttore dell’Agenzia Vista che ha spiazzato la premier spiega: «Era una domanda aperta, di orizzonte. Niente provocazioni, sul web interpretazioni fantastiche»

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Alexander Jakhnagiev, classe 1978, nato a Sofia (Bulgaria) lo riconosci al volo tra le teste dei giornalisti che affollano le conferenze stampa della politica italiana. È per quella sua lunga treccia che gli cade su una spalla. «Berlusconi ci scherzava sempre su – racconta il giornalista, direttore dell’Agenzia Vista –. Mi diceva: “Scommettiamo che prima o poi te la taglio?”. Non ce l’ha fatta neanche lui a farla sparire. È parte di me». Da ieri sul web si discute della sua treccia «un po’ Pawnee, un po’ Cherokee, un po’ Zen», scrive mowmag.com. Ma soprattutto si discute dell’unica domanda riuscita – sul serio – a spiazzare la premier Giorgia Meloni durante il suo incontro con i giornalisti: 41 in tutto quelli accreditati, tra cui Jakhnagiev appunto, per altrettante domande sul paese e il suo operato, dalla politica internazionale ad Acca Larentia, dalla sorella Arianna ad Alon Musk. L’unica, però, che l’ha fatta traballare e sorridere è stata quella del direttore «cherokee»: «Lei calpesta le formiche? Ci fa caso mentre cammina?». Risposta: «Io… non lo so. Diciamo che se le vedo non le calpesto. È la risposta giusta?.. sono disperata». A 24 ore dal siparietto tra sgomento e risate a Montecitorio, e dopo il polverone mediatico sui significati nascosti delle «formiche», Alexander Jakhnagiev (che è anche uno stimato pittore e scultore bulgaro naturalizzato italiano) racconta al Corriere della Sera come sono andate davvero le cose.

Partiamo dalla domanda. Da cosa è nata? Perché le formiche? Dove voleva arrivare?
«La verità? Non era premeditata. Non me l’ero assolutamente preparata. Chi pensa che ho passato del tempo a formularla, con chissà quale intento provocatorio, si sbaglia. E mi fa sorridere che invece altri ci stiano ragionando su tanto a lungo. Io sono un giornalista, ma sono anche un artista, lavoro con le immagini: quelle della mia pittura e quelle video per l’Agenzia Vista. Così ha preso forma questa domanda. Per immagini. Mi sono venuti in mente gli insegnamenti di mia nonna Nadja, il detto popolare bulgaro “quando calpesto le formiche piove”, poi il fatto che la natura agisce secondo un istinto che nell’uomo diventa una scelta e quindi, traslando, un’orientamento politico. Ho pensato alla Meloni che ha militato a lungo in una minoranza, era piccola, mentre ora è presidente del Consiglio. Grande tra i grandi del mondo. Davvero, è stata una sorta di visione. Così ho deciso di fare questa domanda che io definisco “di orizzonte”, come ho detto anche in conferenza stampa. Una domanda di ampio respiro, aperta a qualsiasi interpretazione e dunque a qualsiasi risposta. A dare davvero il senso alla domanda è stata solo la risposta della premier».




















































Le è piaciuta?
«Perché non avrebbe dovuto piacermi? Anche se all’inizio, lo confesso, ho pensato che forse Meloni, che è una persona acuta e anche ironica, avrebbe potuto cavalcare la domanda per parlare di tante cose, di argomenti importanti. O che avrebbe potuto costruire metafore, pescare una citazione, togliersi qualche sasso dalla scarpa. Ma poi ho capito che la sua è stata una risposta concreta e onesta a una domanda nata con altrettanta spontaneità. Inoltre, in qualche modo, la sua reazione è in linea con il principio di istinto naturale che porta le formiche a scappare quando arriva la pioggia. La premier ha risposto con la pragmaticità che le è congeniale. Anche questa è un’espressione del suo modo di agire».

Molto filosofico. Ora però ci può spiegare bene il detto popolare?
«Me lo raccontava sempre mia nonna paterna, con la quale ho trascorso molto tempo, e si spiega così: le formiche sentono quando è in arrivo la pioggia, e allora si affrettano a completare quello che stanno facendo per rientrare al più presto nei formicai e mettersi al riparo. Ma paradossalmente, agitandosi, non solo sembrano molte di più ma diventa anche più facile calpestarle. O più difficile evitarle. E così si dice che quando si calpestano le formiche vuol dire sta arrivando un temporale. Ed esiste anche un seguito: “Chi scappa dalla pioggia rischia di incontrare la grandine”». 

La pioggia quindi non era qualche catastrofe politica? Non ha paragonato Musk a un insetto? Nessuna dietrologia insomma? O volontà di mettere in difficoltà Meloni?
«Niente di niente. E poi da quando la pioggia è una cosa negativa? Lo chieda agli agricoltori in Sicilia se è negativa! Mi rendo conto che una domanda aperta, irrituale, in quel contesto e con i minuti contati possa diventare una domanda difficile. Ma la mia volontà è stata quella di offrire uno spunto di riflessione. Qualcuno ha parlato di metagiornalismo, e in un certo senso si può essere d’accordo. Perché oggi il problema di chi fa informazione non è tanto fare le domande scomode o ficcanti, quanto ricevere le risposte. Ormai i politici sono preparati, sanno quali sono i temi caldi. Si aspettano tutte le domande, anche quelle che non gli vengono fatte. E se non gli piace la domanda, piuttosto che il silenzio, riportano la discussione su quello che interessa a loro».

Eppure sul web si è scatenato il caso. Dopo la “maggioranza bulgara” e “l’editto bulgaro” ora si parla della sua domanda “bulgara”. E, anche, della sua treccia.
«Ho ricevuto tanti messaggi da colleghi e anche da politici. Ma nessuno dallo staff di Meloni, se è questo che vuole sapere. Invece le dico cosa mi diverte: sui social si è creata una spaccatura. Quasi due nuovi partiti: da un lato c’è chi dice che sono un giornalista di regime, filofascista, che avrei potuto fare domande compromettenti sulle bollette invece di far sorridere la premier con la storia delle formiche; dall’altro si schiera chi mi accusa di essere il solito giornalista di sinistra che filosofeggia, di fiancheggiare i centri sociali, e di portare questa mia treccia come un simbolo di chissà quale battaglia rossa».

E invece perché la treccia di lato?
«Mi piacciono le cose asimmetriche, cerco la bellezza nelle cose anche non perfette. La porto da quando ho 14 anni, da quando ho iniziato ad avere una mia identità nella pittura. Piaceva a mio padre Ivan, anche lui pittore e artista, e ci sono molto affezionato. È semplicemente una parte di me. In fondo il clamore sui social per cose del genere la dice lunga su cosa è “compromettente” oggi».

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10 gennaio 2025 ( modifica il 10 gennaio 2025 | 14:13)

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