Pnrr, l’Italia primeggia in Europa. Ma deve accelerare per riuscire a spendere le risorse europee

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Se tutto andrà secondo il Piano di Ripresa e Resilienza, da qui al 2026 l’Italia otterrà da Bruxelles oltre 74 miliardi di euro, quasi il 40% del monte risorse complessivo del Recovery tricolore. Stando però ai risultati ottenuti dalla Penisola prima dello sprint finale di un anno e mezzo in cui dovrà centrare 351 obiettivi, l’Italia primeggia sugli altri Paesi europei. E non ha esitato a ribadirlo più volte la premier Giorgia Meloni: l’Italia è prima in Europa per numero di obiettivi Pnrr raggiunti (271 su 621, pari al 44%), per risorse finora ricevute (122,2 sui 194,4 miliardi complessivi, il 63%) e per richieste di pagamento formalizzate (sei tutte con esito positivo, e la settima inviata allo scadere del 2024).

Un altro primato italiano in materia di Pnrr lo ha messo nero su bianco uno studio della Bce: l’economia tricolore beneficerà maggiormente del Recovery rispetto a quelle degli altri Paesi Ue, con il pil che si spingerà tra l’1,3% e l’1,9% cumulato in più fino al 2026. Laddove l’Eurozona registrerà in media un +0,4-0,9%.

Il nodo spesa 

Il vero successo della maratona Pnrr si valuterà però al traguardo, perché sul compimento del Piano incombe il rischio del reiterarsi dell’atavico problema italiano: la scarsa capacità di mettere a terra le risorse. Basta lasciar parlare i dati per capire che il sistema Paese deve ingranare la sesta per non perdere l’occasione Recovery. La sovracitata analisi Bce evidenzia non solo che appena il 18% dei progetti del Piano è stato completato, ma anche che «tra i cantieri aperti e in corso, due terzi rischiano di subire ritardi». Quanto ai fondi Pnrr spesi finora, pur se in crescita nel 2024, restano pochi: il 2025 parte da quota 64 miliardi di euro, stando alle stime della più recente Cabina di regia sul Pnrr di fine novembre nonché l’ultima sotto la guida di Raffaele Fitto, neo-commissario Ue a cui è subentrato come ministro degli Affari europei Tommaso Foti.

Quasi 4,5 miliardi di interessi da pagare nei prossimi due anni

L’Italia però non si può permettere di sprecare la pioggia di risorse comunitarie anche perché non sono gratis, anzi il 64% delle risorse del Recovery che spettano a Roma – ossia 122,6 miliardi – sono prestiti, quindi costituiscono debito da restituire con gli interessi. E non saranno bruscolini: solo finora si parla di 1,3 miliardi e nei prossimi due anni se ne aggiungeranno quasi altri 4,5, stando al bilancio del ministero dell’Economia.

Se infatti le tempistiche di restituzione delle somme prese in prestito sono abbastanza lunghe da ridimensionare il peso del debito contratto sul bilancio pubblico annuale, il pagamento degli interessi inizia a stretto giro. Nello specifico, da un lato, per ogni rata del Pnrr ricevuta è previsto un periodo di ammortamento di 10 anni e poi un percorso di 20 anni di rimborso graduale della quota capitale, ossia l’ammontare effettivo del prestito al netto degli interessi. Una modalità di restituzione fissata dal «Loan Agreement sul Recovery» sottoscritto nel 2021 dall’allora governo Draghi con l’Ue, declinata poi per ogni tranche nei rispettivi decreti di accertamento di erogazione della rata stilati strada facendo dal Mef. Prendendo ad esempio la prima e la penultima rata ottenute dall’Italia (non si considera l’ultima perché emessa il 23 dicembre, quindi non è stato pubblicato ancora il decreto ad hoc) si nota che gli 11 miliardi di prestiti dei 16 miliardi di prefinanziamento ottenuti ad agosto 2021 dovranno essere restituiti a partire da maggio 2033 fino al 2052. Mentre i 7,9 miliardi presi a prestito sugli 11 totali della quinta rata di agosto 2024 dovranno essere restituiti tra settembre 2035 e lo stesso mese del 2054. Per avere indicazioni quantitative sul percorso di rientro della quota capitale si devono invece attendere i bilanci di via XX Settembre dal 2033 in poi.

Dall’altro lato, il pagamento degli interessi sui prestiti del Pnrr inizia dopo appena un anno: per il prefinanziamento si è partiti infatti nel settembre 2022 e si finirà nel 2051 mentre per la quinta rata si pagherà annualmente dal settembre del 2025 al 2054. Anche in questo caso i decreti di accertamento del Mef si limitano a indicare le tempistiche dei versamenti, senza precisarne l’ammontare, anzi delegando la definizione delle spese alla «Confirmation note» che la Commissione europea invia al Tesoro italiano, 20 giorni prima di erogare il prestito. Quindi il governo conosce l’effettivo costo del prestito all’ultimo miglio, un po’ in preda all’instabilità. Certo l’esecutivo Ue si impegna a offrire i prestiti sostanzialmente al costo con cui si è procurata i fondi sul mercato, però prendendo man mano a prestito i fondi necessari per finanziare il Recovery è sottoposto a condizioni di mercato variabili. Basti pensare che il tasso d’interesse Ue era pari a zero al momento dell’erogazione del prefinanziamento all’Italia ed è poi lievitato a quota 4,5% in concomitanza della quinta rata.

L’impatto di tali oscillazioni del costo del denaro è evidente paragonando i previsionali di spesa del Mef del 2023 e del 2024: l’asticella dei costi per gli interessi sul Pnrr è salita da 500 a 850 milioni per il 2024 e da 710 milioni a 1,8 miliardi per il 2025. (riproduzione riservata)

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