Trump «colpevole», è il primo presidente pregiudicato. Ma non andrà in carcere

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Donald Trump, in collegamento da remoto con il suo legale Todd Blance, assiste alla lettura della sentenza del giudice di New York Juan Merchan – Reuters

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Niente carcere ma condanna confermata. È la sentenza emessa ieri dal tribunale di New York contro il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump nel processo su Stormy Daniels. Fallito il tentativo di ottenere l’archiviazione del caso, il tycoon, 78 anni, si appresta a inaugurare il suo secondo mandato alla Casa Bianca, il 20 gennaio, con la fedina penale sporca. Non ci sono precedenti simili nella storia degli Stati Uniti. Il processo nasce nel 2023 quando The Donald viene accusato di aver falsificato documenti aziendali per insabbiare il pagamento (circa 130mila dollari) del silenzio della pornostar Stormy Daniels su una relazione, risalente al 2016, che avrebbe potuto comprometterne la sua prima avventura presidenziale. Il caso, dopo i clamori sullòa stampa, è arrivato in tribunale però solo ad aprile dello scorso anno.

Dopo sei settimane di udienze, quando la campagna elettorale 2024 era già entrata nel vivo, la giuria popolare di Manhattan ha emesso un verdetto di colpevolezza. Il giudice titolare del procedimento, Juan Merchan, ha chiarito ieri, in punta di diritto costituzionale, che quel pronunciamento non può essere cancellato anche se, nel frattempo, l’uomo su cui pendono 34 capi d’accusa ha vinto la corsa verso la Casa Bianca. «Le protezioni legali garantite al presidente non sono un fattore attenuante – ha sottolineato –, non riducono la gravità del crimine né ne giustificano in alcun modo la commissione». L’uomo e l’istituzione, in sostanza, sono due cose diverse. La sentenza ha certificato, dunque, la «sospensione incondizionata della pena» per rispettare la figura del presidente eletto come prevede la procedura: l’imputato evita multe, reclusione e libertà vigilata ma resta il reato commesso. Trump, in abito blu e cravatta rossa, ha assistito in remoto dal suo resort a Mar-a-Lago, in Florida, alla lettura dell’articolato, seduto vicino al suo legale Todd Blanche, sullo sfondo di due bandiere a stelle e strisce.

Prima che Merchan sentenziasse, è intervenuto a ribadire: «Sono totalmente innocente, non ho fatto nulla di sbagliato». Lo stesso refrain da venti mesi a questa parte. Già sentita e risentita anche la difesa: «Questa – ha tuonato – è una caccia alle streghe».Il caso “hush money” (soldi per zittire) è solo uno dei procedimenti penali di cui Trump è protagonista. E neppure il più grave. A “salvarlo” è stata la vittoria elettorale di novembre. Lo ha ricordato lui stesso quando ha ribadito: «I cittadini hanno seguito il caso in prima persona e mi hanno votato. Ho vinto in tutti e sette gli Stati chiave». Ma tant’è. Tra nove giorni il tycoon giurerà da 47esimo presidente degli Stati Uniti: il primo pregiudicato. C’è da scommettere che, una volta tornato alla Casa Bianca, farà di tutto per portare avanti l’appello già annunciato e arrivare all’agognata archiviazione. Blanche, che lo ha assistito ieri, è stato nominato due mesi fa vice ministro della Giustizia.

Secondo gli addetti ai lavori, la scelta non è maturata per senso di gratitudine nei suoi confronti, visto che non lo ha condotto a una vittoria definitiva, ma perché strumentale alla strategia con cui arrivare, a lungo termine, al ribaltamento della sentenza.L’udienza a New York, ieri, affollata da giornalisti di tutto il mondo, si è conclusa in poco più di trenta minuti. L’aula si è svuotata velocemente mentre fuori dall’edificio, a dowtown Manhattan, decine di trumpiani manifestavano vicinanza e fiducia al loro leader. Poche ore prima la Corte d’appello aveva dato il via libera alla pubblicazione del rapporto del procuratore speciale americano Jack Smith sul 6 gennaio 2021 e sull’influenza esercitata nel tentativo di capovolgere il risultato delle elezioni del 2020.

Trump, da parte sua, è tornato a commentare sui social il pronunciamento del tribunale bollandolo come «bufala», «farsa spregevole». «Ripristineremo la fiducia degli americani nel nostro sistema di giustizia un tempo grande», ha aggiunto. Toni da presidente in pectore che guarda avanti. Tra le sue tante priorità c’è l’organizzazione di un incontro con il presidente russo Vladimir Putin sulla guerra in Ucraina. Lo ha ventilato Trump stesso, giovedì, in un post che non è passato inosservato a Mosca. Il Cremlino lo ha accolto come un «segnale positivo» della volontà di risolvere la crisi ucraina con il dialogo. Il mondo aspetta.





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