Uranio impoverito Angelo Fiore Tartaglia: “Una battaglia di giustizia”

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di Anna Germoni





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“Dopo il mio rientro dal Kosovo ho cominciato ad accusare sintomi e patologie varie. Oggi mi ritrovo paraplegico per un cancro del midollo spinale causato dall’uranio impoverito e mi negano qualsiasi risarcimento compresa la pensione quale vittima di guerra”. Ancora uranio impoverito killer. Era il 3 agosto del 2021 quando il capitano Lorenzo B., del 187° reggimento paracadutisti della Folgore scrisse queste parole. Frasi simili a quelle di altre migliaia di militari italiani, rimaste inascoltate o ignorate. Alcune lettere incastrate nelle maglie della burocrazia elefantiaca che svela con pienezza tutta l’aridità dell’animo umano. Dopo oltre venti anni di silenzi, nonostante siano stati condotti numerosi studi scientifici, rimane la polemica sugli effetti dell’esposizione all’uranio impoverito con il ministero della Difesa che nega ancora ogni responsabilità. Ne parliamo con Angelo Fiore Tartaglia, l’avvocato dei soldati italiani vittime di uranio impoverito, che ha sconfitto lo Stato in oltre 400 cause legali.

Avvocato, quanti militari ammalati?
Moltissimi, non ho una stima di un numero esatto. Tanti anni fa erano 8.000. Tra l’altro ci sono militari che non si tutelano, non fanno la domanda di causa di servizio, né di vittima del dovere. C’è ancora tanta disinformazione sull’argomento.

Perché?
Vengono rassicurati quando vanno all’estero. Non se ne parla. Molti militari temono che se fanno la domanda di causa di servizio, vengono riformati perdendo il posto di lavoro. Altri invece, per una sorta di patriottismo, non fanno causa perché ritengono di mettersi contro la propria amministrazione, contro la Patria.

Quanti morti?
Sulla base della mia esperienza professionale rispetto al passato fortunatamente sono meno. Purtroppo non c’è la possibilità di fare un’indagine statistica per le ragioni che ho detto. Qualcuno fa causa ma a fronte di risultati favorevoli che richiedono però una costanza di impegno e dei tempi piuttosto lunghi. Per fare un esempio, l’amministrazione continua a bloccare i procedimenti per il riconoscimento di vittima del dovere fintanto che non viene riconosciuta la causa di servizio che viene puntualmente negata, per cui bisogna fare ricorso al Tar, che impiega dei tempi molto più lunghi rispetto al giudice ordinario. Purtroppo c’è questo tipo di atteggiamento anche ostruzionistico. La Cassazione con ben tre ordinanze sui miei ricorsi ha detto che i due procedimenti sono indipendenti, per cui bisognerebbe non bloccare uno nell’attesa della definizione dell’altro ma portarli avanti a livello amministrativo contestualmente. Ma ci sono una serie di ragioni per le quali questa annosa e triste vicenda viene tenuta sottotono. Si blocca così il riconoscimento delle vittime del dovere a causa di malattie contratte per l’uranio impoverito, facendo dipendere la decisione di questo procedimento da quello della causa di servizio che poi deve essere affrontata dinanzi al Tar.

Ha vinto oltre 400 cause contro la Difesa. È stato audito più volte in commissione C’è un punto fermo sul nesso di casualità?
Siamo ancora in alto mare. L’ultima commissione parlamentare ha dato una spinta all’emersione di questo problema, anche se le reazioni sono state, diciamo, contrarie ai risultati della commissione da parte dell’amministrazione dello Stato.

Ossia?
C’è ancora l’atteggiamento negazionista dell’amministrazione pubblica. Mentre con la magistratura posso dire che le cose sono andate avanti e molto bene, a fronte della prova della presenza del militare in certi ambienti contaminati, di rischi, alla mancata adozione di misure di protezione e alla presenza di nanoparticelle e di patologie che rientrano in quelle ormai tipizzate dalla giurisprudenza. Qui si inverte l’onere della prova. Quindi deve essere l’Amministrazione a fornire prove del contrario, tra l’altro molto consistenti, di ciò che fornisce e asserisce il militare. È la controparte a dover provare che la patologia è sopraggiunta, per una causa autonoma del tutto differente dai fattori di rischio evidenziati dall’ uranio impoverito. Il pronunciamento è sia del Consiglio di Stato sia dalla Cassazione nel 2024 su mio ricorso. Questo è l’orientamento prevalente, anche se poi bisogna fare i conti caso per caso. E ogni volta devo far affermare costantemente gli orientamenti che si sono affermati nel tempo, per evitare che ci siano dei pronunciamenti che ribaltano la situazione.

C’è una presa di coscienza collettiva e di trasparenza dell’Ue sull’uso delle munizioni all’uranio impoverito?
No. Il problema è ancora tenuto sottotraccia. Solo in Italia abbiamo una giurisprudenza di questo tipo. In Europa non esistono pronunciamenti e tra l’altro non vi è un vero e proprio diritto militare. Aggiungo una cosa a cui tengo. Sono stato il primo a fare affermare il diritto militare, in 30 anni di attività professionale. Quando ho iniziato nel ’95 non esisteva nemmeno in Italia. Poi mi sono appassionato a questo argomento e sono stato un pioniere di tutto il diritto militare, fino a giungere alla problematica più importante: la vita e la salute dei militari, quale appunto la questione dell’uranio impoverito. Ma in Europa non ci sono pronunciamenti di questo tipo. Non c’è una cultura giuridica del diritto militare.

A che punto sono le cause contro la Nato in Serbia?
La presenza dello Stato è molto più forte che in Italia. In questa causa sono solo un consulente. Il giudice in primo grado ha sentenziato l’immunità della Nato. Eppure sui crimini di guerra non esiste immunità e poi c’era un accordo che non riguardava i danni di guerra. Il giudice dopo aver interpellato il ministero della Giustizia aveva accolto favorevolmente la richiesta della Nato, che era stata avanzata dalla stessa, al Governo di far valere l’immunità. Quindi tecnicamente e giuridicamente il governo serbo ora si assume tutta la responsabilità. Abbiamo fatto appello e ancora ci deve essere un pronunciamento. Però abbiamo avanzato, anche contestualmente, delle azioni per l’accertamento del nesso di causalità con l’uranio impoverito di queste malattie, che sono numerosissime e costituiscono una piaga sociale.

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Quali volti non dimenticherà mai?
Li ho nel cuore tutti. Occuparsi di cancro o di patologie connesse all’esposizione e contaminazione da uranio impoverito è molto pesante anche per me a livello umano. Vedo tante persone, le loro condizioni di salute fragili, appese a un filo tra vita e morte. Si confidano. Si aggrappano a me. Mi raccomandano anche le sorti dei loro familiari, dei figli, delle mogli. Le loro frasi sono: “Avvocato, se io vengo a mancare le affido la mia famiglia”. Questo grande senso di responsabilità, lo sento molto nel profondo della mia anima. Per me, sono tutti come figli miei.


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