In libreria – Martina Liverani racconta la ceramica italiana in Guarda dove mangi

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Il nuovo libro di Martina Liverani si intitola Guarda dove mangi. Ceramica in tavola, ed è stato pubblicato da Polaris Editore (si compra qui) L’autrice, di cui forse avete trovato la firma anche sulle pagine delle scorse edizioni della Guida di Identità Golose, e che nel 2013 ha fondato la fortunata rivista (o bookazine) Dispensa, un progetto editoriale che esplora il mondo del cibo in relazione ad altri aspetti della cultura e della società, prosegue con quest’opera il suo personale percorso di indagine e narrazione interdisciplinare.

In Guarda dove mangi infatti Liverani sposta l’attenzione dal contenuto al contenitore, raccontando la storia del profondo legame tra cibo e ceramica. Un viaggio affascinante tra forme, decori e tradizioni che caratterizzano la produzione ceramica italiana, mettendola in relazione con l’universo gastronomico. Nell’efficace introduzione al suo libro, l’autrice scrive:

«In Italia ci sono più di 250 tipologie di pane tradizionale, circa 300 diversi formati di pasta, ben 487 varietà di formaggio e 57 Città della Ceramica. L’assortimento che ci caratterizza è l’evidenza di come la creatività si imponga senza freni. E mentre sto scrivendo, certamente i numeri staranno aumentando perché la creatività non sta mai ferma. Così come siamo abituati a conoscere, difendere e condividere le nostre biodiversità alimentari, dovremmo farlo anche per i tanti e diversi stili, forme, decori di ceramica di cui l’Italia è piena. Ogni forma ha una storia, un’occasione e tanti modi di essere interpretata. Ogni decoro, in particolare quelli tradizionali, identifica un preciso luogo o lo stile di una manifattura. Dal punto di vista di una gastronoma come me, la ceramica e il cibo hanno innumerevoli punti di contatto, non è solo una questione di storia o di tradizione, ma è un costante dialogo contemporaneo che non smette mai di stupire ed emozionare. Scrivendo questo libro ho usato parole come impasto, cottura, forno, ricetta; e sono le stesse che adopero quando scrivo di cucina. Nello stesso modo in cui non riesco a togliere gli occhi dalle mani di un cuoco o una cuoca che sta realizzando un piatto, unisce ingredienti e li trasforma per creare qualcosa di delizioso, mi è capitato di non riuscire a smettere di guardare un ceramista che lavora al tornio e crea con le sue mani un vaso o un’anfora o una ciotola. L’alchimia è la medesima e sono gli stessi anche gli elementi: artigiani della ceramica e artigiani della cucina hanno a che fare con la terra, con l’acqua, con l’aria e con il fuoco».

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Nelle primissime pagine di questo volume, troviamo anche le parole di Antonia Klugmann, chef dell’Argine a Vencò, che nella sua prefazione al volume commenta altrettanto questa relazione tra contenuto e contenitore:

«Faccio di mestiere la cuoca e si può capire bene quanto i piatti e dunque le ceramiche, le porcellane siano oggetti amati, desiderati, collezionati. Ho capito con il tempo che non esiste almeno per me il piatto perfetto, ma esiste una relazione magica che si crea tra contenuto e contenitore, un dialogo in movimento. Il contenitore armonioso che fa appunto risuonare, vibrare in modo diverso ciò che contiene. Mi emoziono ancora moltissimo quando la mia idea di pietanza trova il suo posto in un bel piatto per il commensale. Sento un piacere intimo che si trasforma in condivisione di bellezza. La mappa e le storie racchiuse in questo libro aiuteranno tutti noi a esplorare con gioia le sfumature di un mondo inaspettatamente complesso e sorprendente offrendoci nuove possibilità di comprensione e godimento».

Parlando con Identità Golose, Martina Liverani ha raccontato la genesi di questo suo ultimo lavoro: «Credo che le origini di questo libro risalgano a moltissimi anni fa, addirittura alla mia nascita, perché sono nata a Faenza. Può sembrare una battuta, ma in realtà essere di Faenza, una delle città più importanti al mondo per la ceramica, fa sì che questo materiale abbia sempre fatto parte della mia vita, della mia storia personale e del mio panorama quotidiano. A Faenza ci sono circa cento botteghe di ceramica, quindi passeggiando per la città è facile imbattersi in qualcuno che lavora al tornio. Tutto ciò ha fatto sì che io sia cresciuta accompagnata dalla ceramica, dalle storie dei ceramisti. Ma è stato soprattutto in tempi più recenti che ho pensato di scrivere questo libro, anche se in effetti ho iniziato a lavorarci già qualche anno fa, quando mi sono accorta che l’attenzione verso la ceramica stava crescendo anche nel mondo che frequento per lavoro, quello della gastronomia».

Guarda dove mangi è soprattutto un viaggio nella straordinaria varietà della produzione ceramica italiana, che Liverani racconta usando un termine molto azzeccato: «Noi gastronomi siamo abituati a ragionare in termini di biodiversità, quindi a contare quante tipologie diverse di prodotti esistono in Italia o nel mondo. Ebbene, esiste una biodiversità anche nella ceramica italiana, incarnata appunto dalle 57 città della ceramica che si trovano da nord a sud della penisola. Sono città che si caratterizzano per avere una tradizione ceramica specifica, legata a forme, decori, colori e a una scuola locale ben definita. Certamente questo ha a che fare con il territorio: potremmo parlare di terroir anche per la ceramica. Il terroir è l’insieme di paesaggio, persone, territorio inteso come terra, clima; la ceramica è un prodotto che nasce dalla terra, perché è terra impastata, e porta con sé il lavoro dell’uomo e la cultura tradizionale del luogo».

Un patrimonio di saperi e tradizioni che Liverani ha esplorato visitando molte di queste città della ceramica, parlando con i ceramisti, visitando musei e botteghe. Un lavoro di ricerca approfondito che l’ha portata a scoprire quanto questo universo sia interconnesso con quello della gastronomia: «È un percorso molto interessante perché io non ho mai studiato la storia della ceramica, ma se ti interessi alla storia della cucina, alla fine vedi che sono due percorsi che vanno di pari passo».

La ceramica italiana, inoltre, non è un mondo chiuso e autoreferenziale. Come spiega Liverani, nel corso della storia c’è sempre stato un proficuo scambio di influenze con altri paesi e culture: «Proprio perché tavola e cucina vanno a braccetto, così come c’è stata nei secoli un’influenza per quanto riguarda la cucina, c’è stata anche per quanto riguarda la tavola. Man mano che le cucine si incontrano, intercettano mode o si mescolano ad altre culture, anche la ceramica si adatta, inventando nuovi contenitori se prima non c’erano, o riscoprendo contenitori andati in disuso e adattandoli alle nuove tendenze. Se pensiamo ai giorni nostri, sono molti i ristoranti che propongono la bowl, che non è altro che una ciotola. Storicamente, il formato della ciotola non appartiene alla nostra recente tradizione italiana: di solito mangiamo nel piatto, nella fondina, più che nella ciotola. L’influenza delle cucine asiatiche ha portato sulle nostre tavole anche nuove forme, come appunto la ciotola, che tra l’altro è molto versatile: la puoi usare per mangiare un’insalata, un piatto di pasta o una zuppa».

Un dialogo costante tra gusti del passato e nuove tendenze che rende il mondo della ceramica vivo e dinamico. Un mondo che Guarda dove mangi ci invita ad apprezzare in tutta la sua ricchezza e varietà. Perché, come dice Martina Liverani, «apparecchiare la tavola, accogliere gli ospiti con una bella tavola apparecchiata, dove c’è un pensiero, un’idea di accoglienza, così come cucinare è un grande gesto di cura».



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