La sfida populista e il futuro della sinistra

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Donald Trump non è ancora entrato in carica come presidente degli Stati Uniti, ma gli effetti della sua vittoria alle elezioni si avvertono già, in modo significativo, sullo scenario internazionale. Fare dell’ironia sulle sue dichiarazioni è facile.

A proposito della Groenlandia, del Canada o del golfo del Messico, ma non saranno le battute a mettere in crisi un esperimento politico che ha tutte le caratteristiche di un riallineamento che potrebbe avere conseguenze durature.

La dura realtà con cui dobbiamo fare i conti è che i liberali e la sinistra hanno subito una sconfitta da cui non si riprenderanno facilmente, e che bisogna prepararsi a una lunga traversata nel deserto, nella consapevolezza che non abbiamo un’idea chiara del modo in cui ne verremo fuori.

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LA SITUAZIONE in Europa è altrettanto drammatica. Con la sola eccezione della Spagna, dove la maggioranza di sinistra al governo per il momento regge, la destra appare sempre più forte, e proiettata verso un futuro di consenso che potrebbe rivelarsi duraturo. Trump e i leader della destra europea hanno saputo trarre vantaggio da una perdurante situazione di incertezza sul futuro che ha eroso progressivamente le certezze su cui si basava il consenso post Ottantanove. La promessa di un’onda di prosperità senza fine che avrebbe sollevato tutte le barche, riconoscendo a ciascuno dei piloti una remunerazione adeguata agli sforzi e ai meriti è stata tradita da un capitalismo che, nel giro di qualche decennio, ha disarticolato tutte le istituzioni intermedie e le reti di solidarietà che coltivavano il consenso socialdemocratico che aveva sostenuto il benessere e la crescita nel secondo dopoguerra fino alla fine degli anni Settanta.

La sfida che il neoliberalismo aveva lanciato alla socialdemocrazia è risultata vincente perché i liberali e le sinistre hanno creduto che fosse possibile smussare gli aspetti più radicali della nuova visione della società senza rinunciare del tutto ai benefici derivanti da sistemi di welfare generosi e da economie capaci di competere con successo sui mercati globali. Leader socialdemocratici come Craxi, Mitterand o Blair erano convinti, in qualche misura in buona fede, che fosse possibile domare la bestia senza rinunciare al nucleo normativo del modello socialdemocratico, su cui c’era in qualche misura una convergenza anche da parte dei conservatori.

Ciò che è accaduto, invece, è che, passo dopo passo, lo spirito pubblico è stato affievolito fino a sparire del tutto, e si è affermata una visione della società come mercato, dove tutto ha un prezzo.

QUESTO PROCESSO, a partire dagli anni Novanta, è stato facilitato da una privatizzazione strisciante della politica, che ha reso i partiti della sinistra storica permeabili alle influenze di lobby e interessi che non trovavano più nei partiti leggeri le capacità autonome di decodifica di messaggi che venivano presentati immancabilmente come ispirati dall’interesse generale, ma che erano invece disegnati su misura per privilegiare le richieste dei più abbienti. La cattura è avvenuta poco alla volta, attraverso la cooptazione dei gruppi dirigenti dentro le reti di interesse del potere economico, rendendo i partiti di sinistra indistinguibili da società di servizi per la committenza privata.

L’ascesa di leader e di forze politiche “populiste” è stata un segnale d’allarme per la tenuta delle nostre democrazie che le sinistre, ormai pienamente dominate dalla visione neoliberale della società, hanno scelto colpevolmente di ignorare, convinte che la rendita di posizione costituita dalla “competenza” maturata attraverso l’esperienza di governo fosse sufficiente a mantenere il consenso sufficiente a non perdere il controllo.

Negli ultimi anni i populisti di sinistra, come Corbyn, Sanders o Melenchon, sono stati trattati come nemici da schiacciare, in una lotta senza esclusione di colpi, che ha bloccato qualunque possibilità di rinnovamento. La destra, invece, ha abbracciato il nuovo stile politico, cavalcando la contrapposizione tra élites e popolo in modo spregiudicato, riuscendo a convincere i perdenti della globalizzazione che una nuova destra nazionalista e assertiva potesse offrire la protezione sociale che la sinistra non era più in grado di offrire.

SE OGGI STIAMO assistendo, come temo, a un riallineamento dello spettro politico su entrambe le sponde dell’Atlantico, ciò dipende in larga misura dalle responsabilità di quella parte della sinistra che credendo di assimilare la spinta liberale del post Ottantanove non ha messo in discussione l’egemonia neoliberale.

Oggi che la saldatura tra gli interessi del capitale e la forza d’urto del populismo nazionalista appare inarrestabile dobbiamo ritornare ai valori fondamentali che avevano guidato la lunga marcia del movimento operaio e socialista per comprendere come essi possano trovare espressione in una realtà profondamente mutata. Non sarà né facile, né indolore. Ci sarà da rivedere le idee e le strategie, cercando il consenso dove è possibile trovarlo, anche se questo potrebbe richiedere una certa dose di populismo nello stile della comunicazione.

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