Si è fatto carne. Rapporto sulla storicità dei Vangeli

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Dilazioni debiti fiscali

Assistenza fiscale

 










«Il cristianesimo è, per essenza, una religione storica», scriveva il medievista Marc Bloch, «nel senso che i suoi dogmi fondamentali poggiano su avvenimenti», primo dei quali è la venuta al mondo di Gesù Cristo, Dio fatto uomo, e in un preciso luogo e momento storico. Dimensione non solo importante ma decisiva, perché se quanto riferiscono i Vangeli fosse un clamoroso falso, vana sarebbe la nostra fede (cfr. 1Cor 15,14). E vana sarebbe anche una fede che, prescindendo dall’avvenimento storico, diluisse la figura (e la divinità!) di Cristo nella fluida proiezione di come noi vorremmo che fosse, piuttosto che come Lui è. Per questo i Libri della Bussola inaugurano la collana “Formazione” con Si è fatto carne. Rapporto sulla storicità dei Vangeli, di Luisella Scrosati.

L’autrice prende le mosse proprio dai tentativi – nati in ambito protestante e diffusi poi in casa cattolica – di separare artificiosamente il “Gesù della storia” e un presunto “Gesù della fede” che finisce per assumere contorni sempre più indefiniti. Se, di fronte a questa dicotomia, Rudolf Bultmann decise di liberarsi del “Gesù storico”, altri decisero di puntare su quest’ultimo, «ma ritagliato in modo da corrispondere ai presupposti più ideologici che storici di chi stava ponendo la ricerca». Una situazione «drammatica per la fede», come ebbe a definirla Benedetto XVI nella sua trilogia su Gesù di Nazaret, domandandosi: «che significato può avere la fede in Gesù il Cristo, in Gesù Figlio del Dio vivente, se poi l’uomo Gesù era così diverso da come lo presentano gli evangelisti e da come, partendo dai Vangeli, lo annuncia la Chiesa?». In altre parole, a forza di relativizzare e demitizzare, dei Vangeli non si salva nulla, nemmeno Cristo stesso.

Carta di credito con fido

Procedura celere

 

E invece Cristo non lo hanno inventato i cristiani, né hanno forzato le profezie a Lui riferite, prime fra tutte quelle di Michea sul luogo in cui sarebbe nato il Messia (Mi 5,1) e quella di Isaia sulla nascita da una vergine (Is 7,4). La Betlemme profetizzata da Michea coincide proprio con le testimonianze dei primi secoli che hanno serbato memoria del sito della Natività; sito che l’imperatore Adriano tentò di “convertire” al culto pagano proprio per cancellare tale memoria (e fornendoci inconsapevolmente una controprova).

A sua volta Isaia è «vittima illustre» di certo «razionalismo biblico» persuaso che in fondo il profeta intendesse genericamente una giovane donna. Invece il termine almah «non indica semplicemente una giovane donna sposata, ma una vergine, ancora posta sotto la tutela paterna». E i verbi a lei riferiti (concepire e partorire), nel testo ebraico sono al presente: «Non è scritto che colei che è ora vergine concepirà e partorirà, cessando così di essere vergine, come accade per tutte le giovani che divengono madri; bensì che la vergine, mentre concepisce e partorisce, permane vergine». Insomma, Michea non si era sbagliato e nemmeno Isaia.

Occhio alle date di Atti e Vangeli, la cui redazione è stata troppo spesso considerata tardiva rispetto agli eventi. A riportarle alla giusta collocazione è stato l’insospettabile John Arthur Thomas Robinson, un vescovo anglicano di area liberale (tutt’alto che interessato quindi a una esegesi di stampo “tradizionale”) e convinto «che non vi sia Vangelo, lettera o altro scritto del Nuovo Testamento, posteriore all’anno 70» – anno della distruzione del tempio di Gerusalemme – basandosi «sul confronto tra il contenuto dei diversi scritti ed il contesto politico e religioso». Addirittura non oltre il 62 per gli Atti e ancora prima per i Vangeli. Robinson retrodata anche l’ultimo libro del Nuovo Testamento: solitamente l’Apocalisse di Giovanni si considera scritta negli ultimi anni del primo secolo, ma «Robinson è convinto che il libro dell’Apocalisse rimanderebbe ad un contesto molto vicino a quello della prima lettera di Pietro, che egli, insieme ad altri autori, colloca nel 65 d.C.», riferendosi (nel cap. 13) alla persecuzione di Nerone più che a quella di Domiziano.

La vicinanza spazio-temporale, e quindi l’attendibilità dei Vangeli come fonte, emerge anche dai nomi citati. Un dato evidenziato da Peter J. Williams, dal 2007 direttore della Tyndal House di Cambridge, che sottolinea inoltre la «disambiguazione» dei personaggi con lo stesso nome (per esempio Simone lo Zelota e Simone il Cananeo) e «proprio di quei nomi che risultavano tra i più diffusi in Palestina» (a cominciare dal diffusissimo Maria: di Magdala, di Cleofa, ecc.). «È un dettaglio? Sì, ma un dettaglio che indica che gli evangelisti hanno raccontato una storia vera, offrendo al destinatario precisazioni assolutamente “naturali” per chi ha visto e udito, ma che al contrario esporrebbero un falsario alla possibilità di smentita». A meno di non pensare a un evangelista-falsario che abbia premesso uno studio approfondito per nascondere l’inganno. La veridicità è attestata anche dai nomi (e dei dettagli!) dei luoghi menzionati nei Vangeli canonici e dal confronto con i Vangeli apocrifi che invece «non nominano mai le località palestinesi, con la sola eccezione del Vangelo di Filippo che menziona Gerusalemme e Nazareth». La scarsa conoscenza geografica di questi ultimi – osserva Williams – diviene così una conferma involontaria dell’autenticità dei quattro Vangeli «perché ci fanno vedere quel che avverrebbe se gli autori inventassero le loro storie». E «siccome il falsario lo si riconosce proprio nei dettagli», commenta la Scrosati, «gli evangelisti possono serenamente essere assolti».

Al lettore distrattamente abitudinario delle pagine evangeliche la Scrosati mostra innanzitutto quel che ha sotto gli occhi senza farci caso: «i Vangeli sono gremiti di dettagli di straordinaria importanza, anche dal punto di vista storico e apologetico». Dettagli che le ricerche e gli studi citati dall’autrice non fanno che mettere in risalto, mostrando che ben difficilmente quelle pagine sono opera di un tardivo falsario. «Ci sono molte ragioni per tornare a dire, senza arrossire di fronte ai soloni, che i Vangeli sono (anche) fonti storiche affidabili; per poter stare sereni che le parole di Gesù sono davvero quelle riportate; che gli evangelisti erano veramente della cerchia dei primissimi discepoli. Infine, che il Gesù della storia e il Cristo della fede si sono finalmente riconciliati. Anzi, non hanno mai litigato».




Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Carta di credito con fido

Procedura celere

 

Source link