Con la Sentenza n. 19396/2018 del 05 dicembre 2024, la Corte di Cassazione, a sezioni unite, ha affermato il diritto del dipendente pubblico, che sia stato prosciolto nel merito all’esito di giudizio per responsabilità amministrativo- contabile, di chiedere e ottenere il rimborso da parte della amministrazione di appartenenza di tutte le spese legali sostenute per la difesa nel giudizio davanti alla Corte dei conti, eventualmente anche in misura superiore a quella liquidata a carico della medesima amministrazione dal giudice contabile, con conseguente possibilità di adire il giudice ordinario in caso di rifiuto.
La vicenda di fatto ha avuto quale protagonista un alto funzionario pubblico che dopo essere stato assolto dalla sezione giurisdizionale della Corte dei conti della Campania, con compensazione delle spese di lite, adiva il giudice ordinario per ottenere il rimborso delle spese legali sostenute nel giudizio contabile.
La domanda, accolta in primo grado, era stata respinta in appello per dichiarata adesione all’indirizzo espresso dalla Corte di Cassazione che con la sentenza n. 19195 del 2013, aveva enunciato il principio che, in caso di proscioglimento nel merito del convenuto in giudizio per responsabilità amministrativo-contabile innanzi alla Corte dei conti, spettava esclusivamente a detto giudice, con la sentenza che definisce il giudizio, liquidare – ai sensi e con le modalità di cui all’art. 91 cod. proc. civ. ed a carico dell’amministrazione di appartenenza – l’ammontare delle spese di difesa del prosciolto, senza successiva possibilità per quest’ultimo di chiedere in separata sede, all’amministrazione medesima, la liquidazione di dette spese.
La questione, a seguito di ricorso dell’interessato, perveniva alla cognizione delle Sezioni Unite della Cassazione, sia in ragione della successione in materia di interventi normativi da interpretare e coordinare fra loro, sia sulla base della presenza di un contrasto giurisprudenziale fra Sezioni della Suprema Corte. Le Sezioni Unite, con la Sentenza in commento hanno accolto la pretesa del ricorrente ritenendo ammissibile la liquidazione in sede extragiudiziale del diritto al rimborso del dipendente assolto in sede amministrativo- contabile, con conseguente possibilità per lo stesso di adire il giudice ordinario nell’ ipotesi di rifiuto da parte dell’amministrazione.
Le ragioni poste a fondamento della decisione possono riassumersi nell’adesione all’indirizzo già espresso dalla cassazione con la sentenza Sez. Un. n. 17014 del 2003 secondo cui “l’oggetto del giudizio è duplice. Il primo attiene al giudizio di responsabilità contabile degli originari convenuti. Il secondo si riferisce al rapporto che corre tra i convenuti e la loro “amministrazione di appartenenza”, verso la quale possono esercitare il diritto ad essere rimborsati delle spese sostenute nel giudizio di responsabilità, ricorrendone le condizioni”.
Secondo le sezioni unite l’art. 3 comma 2 bis d.l. n. 543 del 1996 convertito, con modificazioni, nella legge n. 639 del 1996 si inserisce quale “risposta” di carattere generale all’ esigenza, già avvertita a livello di disposizioni particolari della legge statale, regionale e della contrattazione collettiva, che l’incolpato assolto sia comunque tenuto indenne dalle spese affrontate nell’ambito del giudizio di responsabilità amministrativa.
Tanto non solo per intuibili ragioni di giustizia sostanziale ma anche a maggior tutela dello stesso buon andamento dell’amministrazione ex art. 97 Cost., per i possibili condizionamenti del dipendente pubblico, nell’espletamento dei propri compiti, in ragione del timore delle conseguenze economiche connesse a un procedimento giudiziario a suo carico, anche nell’ipotesi in cui detto procedimento si fosse concluso senza l’accertamento di responsabilità (in questi termini, sulla ratio dell’istituto, v. Corte cost. n. 267 del 2020 e Corte cost. n. 189 del 2020).
Nella medesima prospettiva puntuali affermazioni nella giurisprudenza della Corte di cassazione hanno riconosciuto che questo apparato normativo risponde a un interesse generale, quello di sollevare i funzionari pubblici, che abbiano agito in nome, per conto e nell’interesse dell’amministrazione, dal timore di eventuali conseguenze giudiziarie connesse all’espletamento delle loro attività istituzionali (Cass. Sez. Un., n. 13861 del 2015). Analogamente, il Consiglio di Stato ha affermato che il fine avuto di mira dal legislatore è volto a evitare «che il dipendente […] tema di fare il proprio dovere» (Consiglio Stato, sezione quarta, sentenze n. 280 del 2020 e n. 8137 del 2019). Con l’art. 3 comma 2 bis cit. il legislatore ha mostrato quindi di volersi far carico in termini globali dell’esigenza di garantire al dipendente riconosciuto esente da responsabilità amministrativo-contabile il rimborso delle spese legali affrontate e tanto trova riscontro, sotto il profilo letterale, nell’ampiezza della formula utilizzata, rinvenibile nella enunciazione che le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei Conti sono rimborsate dall’amministrazione di appartenenza. Per tali ragioni il Collegio ha ritenuto non condivisibile l’approdo giurisprudenziale (sentenza n. 19195/2013) che riserva esclusivamente alla sede del giudizio contabile l’attuazione del diritto al rimborso poiché, anche richiamando precedenti pronunce del giudice di legittimità, si evince che il rapporto, che si instaura fra l’incolpato, poi assolto, e l’amministrazione di appartenenza, nulla ha a che vedere con quello che ha per oggetto il giudizio di responsabilità contabile. Il primo, infatti, si riferisce al rimborso delle spese sopportate dall’incolpato, poi, assolto e si costituisce tra l’interessato e l’amministrazione di appartenenza.
A questo rapporto è estraneo quello relativo al giudizio di responsabilità contabile. Tra i due rapporti non vi sono elementi di connessione, in ragione della diversità del loro oggetto (Cass. Sez. Un. n. 17014/2003). Ora, mentre sul giudizio contabile la regolamentazione delle spese spetta appunto al giudice contabile, la statuizione sulle spese relative al rapporto sostanziale che intercorre fra amministrazione di appartenenza e dipendente – e sulla base del quale l’amministrazione è onerata ex lege del suo rimborso in favore del dipendente prosciolto – esula dalla giurisdizione contabile e appartiene a quella del giudice del rapporto di lavoro – da cui il diritto al rimborso promana -, con la conseguenza che essa deve ritenersi attribuita, di norma, al giudice ordinario (v. in questo senso anche S.U. 24.3.2010 n. 69969). .
FONTE SIULP Sindacato Italiano Unitario dei Lavoratori della Polizia
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