Angelo Duro resuscita il cinema più scorretto. «La tv non mi voleva, ora sono primo in classifica»

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Comunque se ne parli, si finisce per tirare l’acqua al suo mulino. È iniziata giovedì scorso la marcia di Io sono la fine del mondo, primo film da protagonista del comico palermitano Angelo Duro, già in testa al box office con un debutto da 195mila euro e oltre 26mila spettatori. Per gridare al miracolo bisognerà aspettare il weekend, ma la commedia è già un caso. E non solo per gli incassi. Diretta da Gennaro Nunziante – il regista dietro ai primi film di Checco Zalone, Rovazzi, Pio e Amedeo -, che ne firma con Duro anche copione e montaggio, Io sono la fine del mondo è un film unico nel suo genere. Quale genere? Quello in estinzione della commedia programmaticamente scorretta, scritta per provocare le anime belle e incassare – nell’indignazione generale – risate grasse e di pancia. Un panda, di questi tempi.

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LO SPOGLIARELLO

Arrivato al cinema in sordina, senza altra promozione che il trailer, Io sono la fine del mondo ha puntato tutto sull’umorismo «da stronzo» (parole sue) di Duro, ex Iena tv e monologhista teatrale con un passaggio a Sanremo in curriculum, nel 2023, ricordato più per uno spogliarello sul palco che per le battute pronunciate a notte fonda. «Assurdo. Non mi invitano in tv, non mi invitano da nessuna parte», ha detto Duro presentando il film nei cinema (oggi a Palermo, domani a Catania). «E ora invece sono primo in classifica: se la sono presa in c…». Sorvolando sul fatto che sia stato lui a rifiutare il confronto – anche a Sanremo si negò alle interviste – di assurdo non c’è nulla, a partire dal successo di un film che fa della (sacrosanta) reazione alle rigidità del politicamente corretto il proprio cavallo di battaglia. 

LE VITTIME

La storia di Io sono la fine del mondo è quella di un ragazzo siciliano, Angelo Duro appunto, che si vendica dei suoi genitori anziani (Giorgio Colangeli e Matilde Piana), colpevoli di avergli reso l’infanzia un inferno: anziché accudirli, come vorrebbe la sorella (Evelyn Famà), li umilia e li maltratta, cercando – letteralmente – di ucciderli. Ma gli anziani non sono le uniche vittime. Prima che sullo schermo compaia il titolo del film, Duro se l’è già presa con i disabili («C’hai solo gli occhi che ti funzionano, usali», grida a un pedone focomelico) e con le donne («Così piccola e già putt…», dice di una neonata che piange), per proseguire con il body shaming di adulti e bambini, allusioni alla pedofilia, battute irripetibili su preti, suore e polizia, con un linguaggio talmente esplicito da far retrocedere i cinepanettoni (quelli veri) allo status di Melevisione. Il viaggiatore obeso bullizzato dal comico in aeroporto («Dovrebbero pesare i corpi, non le valigie, ciccione»), l’ambientalista liquidata brutalmente, la giudice insultata («Se guidano le donne possono farlo anche i bambini»), il disprezzo esibito per il prossimo, specialmente se più debole. In sala il pubblico sghignazza, la formula funziona anche se Nunziante, impeccabile al fianco di Checco Zalone, qui non riesce a imporre al film una forma: le gag si succedono come scenette ripetitive e la recitazione monoespressiva di Duro non regge tutti e 96 i minuti del film. 

LE CATEGORIE

Il divertimento, del resto, è altrove: nello scoprire, di volta in volta, fin dove si spinga Duro, a quali inconfessabili pensieri dia forma, quali categorie finiscano nel tritacarne della sua maschera di crudeltà. «Ha il coraggio di dire tutto quello che pensiamo ma non diciamo», ripetono le persone uscendo dal cinema, riprese dai social del comico. Il quale, a ben guardare, qualche paletto se l’è posto: di battute sulla comunità LGBTQ+ nel film non c’è praticamente traccia, così come manca qualsiasi tentativo di fare satira su immigrazione e integrazione. 

IL COLLEGA

Più coraggioso di Duro, allora, è stato Checco Zalone, che con Immigrato nel 2020 e I uomini sessuali nel 2009, ha dimostrato che l’umorismo non ha confini (per la satira sugli anziani, rivolgersi al monologo di Paola Cortellesi nel film Figli di Giuseppe Bonito e Mattia Torre: c’è più cattiveria in quel «Sarete gli ultimi ad avere un futuro perché non morite più», che in una qualsiasi delle umiliazioni inflitte da Duro ai genitori). Il comico tornerà a febbraio anche a teatro, con lo spettacolo Ho tre belle notizie, in partenza da Bari il 19 febbraio, quattro giorni dopo la fine di Sanremo. Tra le tappe del tour, ad aprile, c’è anche l’Ariston: chissà che non gli venga voglia di riprovarci. Il coraggio per farlo, a quanto dice, non gli manca. 
Ilaria Ravarino

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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