C’è ormai, nell’isola, la convinzione di trovarsi vicini a una soluzione per l’annosa questione dell’abusivismo edilizio e delle demolizioni delle case. L’ottimismo che trapela affonda la radice in una (almeno apparente) disponibilità della maggioranza parlamentare a varare una legge blocca ruspe (anche se, come ci ha spiegato Gaetano Ferrandino,la proposta legislativa giace tuttora in fase di assegnazione). Proprio da Ischia e dalla Campania, grazie in particolare agli studi approfonditi dell’avvocato Bruno Molinaro, sono giunte all’attuale maggioranza governativa, suggerimenti per un dispositivo di legge di due soli articoli (proposta di legge Zinzi della Lega) atta a bloccare le ruspe e a creare una scala di priorità nelle demolizioni, a partire dai manufatti costruiti da chi ha precedenti camorristici o mafiosi, per continuare con gli edifici che costituiscono un pericolo pubblico, quindi con gli immobili speculativi, con immobili insistenti su aree di particolare pregio ambientale o su aree demaniali e poi tutti gli altri. Tutto questo ha un senso se costituisce un punto fermo nella storia dell’abusivismo, un discrimine netto tra il prima e il dopo. Mentre lavoriamo al blocca ruspe, non possiamo tollerare che si continui a costruire abusivamente. Lo stesso criterio di “abusivismo di necessità” è accettabile solo visto a posteriori, cioè nel momento in cui si prende atto di una situazione storica ed urbanistica in cui i pubblici poteri non hanno fatto il loro dovere, con la mancata pianificazione, il mancato controllo del territorio, il mancato commissariamento dei Comuni inadempienti, con la mancata politica di edilizia economica e popolare. Non si può giustificare invece a priori l’abusivismo di necessità, non si può preventivamente giustificare quello che comunque è illegale.
Quale segnale occorre lanciare e quali no, per far intendere e introiettare nella comunità il senso giusto della questione? Certamente è controproducente, contro logica, licenziare provvedimenti legislativi come il salva-casa di Salvini, il salva-Milano di Sala, come la Legge Urbanistica della Regione Campania n.5/2024, tutte tese a incoraggiare il perpetuarsi di consumo dissennato di suolo. Riferisco quanto scritto, a tal proposito, ad ottobre su Repubblica, dall’urbanista Alessandro Dal Piaz (uno dei migliori d’Italia) poco prima di morire: “Il salva-casa legalizza alloggi monoutente di 30 mq (o di 38 mq per una coppia) e stabilisce che basta l’auto dichiarazione della Scia per abilitare al cambiamento di destinazione d’uso, a residenza (e, perché no, a casa-vacanza e B&B) di capannoni, depositi e pertinenze. E’ facile immaginare cosa può succedere nella nostra Regione per l’azione concomitante del salva-casa e della legge regionale 5/2024. La legge regionale stabilisce che ogni fabbricato residenziale può essere rigenerato demolendolo e ricostruendolo con il 35% (talora il 50%) in più di cubatura. E il salva-casa stabilisce che tale accresciuta cubatura può essere suddivisa in tanti miniappartamenti di 30/38 mq liberamente destinabili anche a casa vacanze”. Ecco un perfetto esempio di scellerataggine legislativa mixata tra destra e sinistra politica, tra Governo e Regione. Pessimi segnali lanciati alla collettività che contribuiscono ad ingenerare psicologicamente nei cittadini la convinzione che in futuro ci sarà sempre la possibilità di scappatoie e sanatorie per nuove aggressioni al territorio. I segnali che invece andrebbero lanciati alla popolazione sono: che si chiude inesorabilmente un’epoca, si mette un punto fermo, oltre il quale non saranno più tollerati abusi edilizi. Che non si colpisce più a caso il povero cristo monoproprietario ma si vanno a colpire innanzi tutto i grandi speculatori e immobiliaristi senza scrupoli.
Che l’isola d’Ischia non offre più margini di nuovi insediamenti, se non attraverso il recupero di edifici malandati, obsoleti, abbandonati, privilegiando chi la casa non ce l’ha o non ce l’ha più a causa del terremoto o dissesto idrogeologico. Altri messaggi che vanno lanciati sono: che abbiamo, sull’isola, forze dell’Ordine sane (almeno nei vertici) alle quali affidarci per la tutela della legalità e giustizia. Collaboriamo attivamente con esse per tenere alta la soglia di attenzione contro gli attentati macroscopici e nuovi al territorio, ma non soltanto nei casi in cui il vicino ci dà fastidio con l’abuso che ci lede personalmente. E’ necessario che si risvegli una coscienza civica a difesa del bene collettivo. Abbiate, abbiamo il coraggio di difendere il nostro patrimonio naturale, storico, geologico, archeologico. C’è chi continua a sostenere che non è compito di singoli cittadini o Associazioni di cittadini, segnalare gli abusi. Non è così, è compito di ciascuno di noi tutelare i beni collettivi. Altro che “delazione”, questo è senso civico, è amore per la legalità e per la convivenza regolata tra gli esseri umani. E’ assurdo che un cittadino normale non possa denunciare, con posta certificata, un caso di illegalità direttamente alla Procura della Repubblica (Circolare 11 novembre 2016 del Ministero della Giustizia paragrafo 3) e debba necessariamente recarsi presso un Presidio delle Forze dell’Ordine per sottoscrivere una denuncia e magari sentirsi chiedere se fai parte di un’organizzazione associativa regolarmente costituita e registrata, altrimenti la segnalazione non viene nemmeno considerata. Allora perché esiste il whistleblowing, segnalazione (anonima e protetta) di un lavoratore (pubblico o privato) che viene a conoscenza di un reato consumato da collega infedele nell’espletamento del lavoro in azienda o in ente? Perché nel caso di abusivismo edilizio, affinché si attivino organi di polizia e magistratura, bisogna personalmente esporsi a ritorsioni di chi ha commesso il reato (che, in alcuni casi, sono soggetti pronti a tutto)?
Un altro messaggio da lanciare ai cittadini è che non è possibile ottenere la giustizia sociale abitativa con un’isola frammentata in sei amministrazioni (e non basta la presenza e la competenza del Commissario Legnini a sopperire alla frammentazione, perché comunque le decisioni finali di riassetto territoriale devono passare per le amministrazioni locali). Occorre dunque una semplificazione amministrativa. Occorre lanciare il messaggio che bisogna preservare la montagna, non ancora aggredita del tutto dall’invasione edilizia e lo si deve fare innanzi tutto per la sicurezza degli abitanti a valle, considerato che il dissesto idrogeologico parte a monte. E, in tale ottica, va perseguito l’obiettivo, particolarmente sostenuto dall’Associazione isolana CO.RI.VERDE, di istituzione del Parco Protetto del Monte Epomeo. Occorre liberare la costa da insediamenti speculativi che hanno occupato (con complicità pubbliche varie) aree demaniali, sconsideratamente date in concessione e mai controllate. Intanto martedì sarà presentato dal Commissariato Straordinario il PDRI (Piano di Ricostruzione post terremoto e post alluvione). In esso, oltre a stabilire che 367 sono le unità abitative da delocalizzare, si fa anche un generico riferimento alla necessità di implementare Parchi pubblici. Peccato, era l’occasione buona per essere più precisi e decisi, prefigurando l’istituzione del Parco Regionale del Monte Epomeo. I Comuni, se ne avessero voglia, potrebbero ancora, in sede di osservazioni al Piano, inserire tale previsione. E mi dispiace che il Commissario Legnini, che gode di tutta la mia stima, non abbia fatto opera di convincimento sui Sindaci per una tale soluzione. Chiudo con la citazione di due proverbi africani: “La terra non ci è stata data dai nostri antenati ma prestata dai nostri figli” (autore del Kenya); “Puoi portare uan persona fuori del suo villaggio ma non puoi portare via il villaggio che è dentro quella persona” (autore del Kenya). I cittadini delocalizzati ed eradicati dal loro contesto, si dovranno allontanare dal loro villaggio, che però porteranno nella loro anima fino alla morte. Questo per la ricostruzione, ma se vogliamo veramente la rigenerazione dell’isola verde (e c’è chi la vuole) dobbiamo ricondurre l’abusivismo edilizio nell’alveo della ragionevolezza e del rispetto di uomini e natura e recuperare l’antico spirito isolano di contadini e pescatori, fondato sull’amore per la terra e sul sacro rispetto per il mare. Una ricostruzione senza rigenerazione, ove per rigenerazione s’intende anche la ricomposizione dello sfilacciamento sociale, sarebbe un’opera monca.
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