La mancata neutralità dei giudici tributari è un rischio per l’indipendenza di tutti i giudici

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Le Corti di Giustizia Tributaria, preposte a risolvere le liti tra fisco e cittadini, restano inquadrate all’interno del ministero dell’Economia e delle finanze. A quest’ultimo, è noto, fanno capo anche le agenzie fiscali, che sono le principali controparti dei cittadini nelle controversie decise dagli stessi giudici

Per il nuovo anno si prevedono grandi mobilitazioni sulle riforme della giustizia. Al centro della contesa ci sarà, ancora una volta, l’indipendenza dei giudici, da sempre oggetto di accesi dibattiti. Non sembra fare notizia, invece, che una delle magistrature speciali, quella tributaria, stia silenziosamente scivolando verso un’inesorabile dipendenza dal potere esecutivo.

Se n’è occupata la Corte costituzionale, con una sentenza (n. 204/2024) che a fine anno ha molto deluso gli addetti ai lavori ma merita di essere letta in controluce.

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Le Corti di Giustizia Tributaria, preposte a risolvere le liti tra fisco e cittadini, un tempo erano articolazioni interne dell’amministrazione finanziaria. Hanno progressivamente perduto la natura amministrativa e oggi sono organi di giurisdizione veri e propri. Nel 2022 sono state interessate da un’importante riforma (legge n. 130), che ha previsto anche un nuovo status per i giudici.

D’ora innanzi saranno selezionati mediante concorso ed eserciteranno la funzione a tempo pieno. Una vera svolta: sinora erano tutti sostanzialmente onorari, essendo già avvocati, commercialisti, magistrati di altre giurisdizioni. Hanno lavorato egregiamente per decenni ma essi stessi hanno auspicato il completamento del lungo processo evolutivo che ha portato quelle che prima si chiamavano “commissioni tributarie” a diventare “corti di giustizia”.

Cordone ombelicale

Non è accaduto: sul terreno dell’indipendenza – che costituisce la più preziosa materia prima della giurisdizione – proprio la riforma del 2022, prevedendo l’assunzione di giudici a tempo pieno, ha reso insostenibile il perdurante inquadramento organico all’interno del ministero dell’Economia e delle finanze. A quest’ultimo, è noto, fanno capo anche le agenzie fiscali, che sono le principali controparti dei cittadini nelle controversie decise dagli stessi giudici.

Un cordone ombelicale inopportuno, anzi da recidere immediatamente perché ora, ancor più che in passato, il giudice si trova ad essere due volte non-indipendente: da un altro potere dello stato e anche da una delle parti in causa. Non a caso tutti i precedenti progetti di riforma di iniziativa parlamentare, di ogni parte politica, ne prevedevano il passaggio alla presidenza del Consiglio o al ministero della Giustizia.

Non hanno trovato attuazione: il Mef non ha inteso rinunciare al rapporto simbiotico con chi decide le cause che riguardano le sue Agenzie fiscali e questa linea è prevalsa persino rispetto alla conclamata volontà parlamentare di segno opposto. Un epilogo che conferma l’urgente necessità di spezzare un legame così stretto.

La Costituzione impone che ad ogni giudice siano assicurate terzietà, imparzialità, indipendenza. Anche i magistrati che amministrano la giustizia tributaria devono essere al riparo da qualsiasi ingerenza politico-governativa, alla pari dei loro colleghi degli altri ordini giudiziari, e ad essi spettano tutte le guarentigie costituzionali connaturate al loro status.

Una situazione pericolosa

Subito dopo la riforma del 2022, tre Corti di Giustizia Tributaria (di Milano, Venezia, Messina) hanno invocato l’intervento della Corte costituzionale, denunciando la mancanza di serenità e il turbamento derivante dalla percezione di dover giudicare «non trovandosi in campo neutro bensì in casa di una delle parti in causa», che esercita competenze «intrusive», essendo la «meno imparziale che possa esistere tra tutte le amministrazioni pubbliche». Una situazione che arreca anche un grave pregiudizio alla credibilità della giurisdizione tributaria.

La sentenza non ha risolto la questione, dichiarandola inammissibile per ragioni formali ma di fatto ha reso più evidente il problema e, per una sorta di eterogenesi dei fini, ha conferito più forza agli argomenti di chi sostiene l’assoluta incompatibilità dell’attuale assetto della giustizia tributaria con i principi di indipendenza e terzietà del giudice.

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Ha enfatizzato, infatti, la natura giurisdizionale delle Corti tributarie, ancor più dei precedenti della stessa Corte costituzionale, giungendo a dire addirittura che la riforma del 2022 «ha avvicinato molto la giurisdizione tributaria a quella ordinaria». Sembra quasi un invito all’affinamento delle prossime eccezioni di incostituzionalità, ma non si tratta solo di questo.

Con questa importante premessa, una minore intransigenza sull’indipendenza dei magistrati tributari prepara il terreno per la limitazione dell’indipendenza di ogni giudice, di tutte le giurisdizioni. Una situazione pericolosa, che impone una presa di responsabilità e un intervento risolutivo che si colloca nel rango delle grandi scelte politiche, che debbono essere assunte in parlamento.

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