L’eterno ed inestricabile problema delle pensioni

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Umberto Baldo

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Sapete perché Matteo Salvini è una spina nel fianco per Giorgia Meloni?

Non più per questioni di numeri, dato che FdI ormai viaggia nelle urne a velocità tripla rispetto alla Lega, bensì perché usando una tattica che gli è congeniale, il Capitano a livello interno cavalca qualsiasi tigre, mentre a livello internazionale si allea con le forze di destra più retrive ed impresentabili dell’orbe terraqueo.

In altre parole, nella sua ansia di cercare un consenso che, elezione dopo elezione, sondaggio dopo sondaggio, gli sta sfuggendo di mano, non si rende conto che qualunque formazione di destra, anche estrema, una volta andata al Governo, deve naturalmente spostarsi su posizioni più moderate, di centro come si usa dire, perché le democrazie si governano dal centro, non dalle estreme.

E questa parabola l’abbiamo vista fin dall’inizio, e continuiamo a vederla in Giorgia Meloni, che si è dovuta adattare ad abbandonare i toni “barricaderi” di quando era all’opposizione, rimangiandosi di fatto le promesse elettorali, per acconciarsi a governare un Paese che sembra essere stato organizzato e strutturato in modo tale da rendere impossibile a qualsiasi Esecutivo di portare a compimento un programma di governo, qualunque esso sia.   Non è un caso che io, forse sguaiatamente, la definisca Repubblica di Pulcinella.

E in questa necessità di “convergere al centro” Giorgia Meloni ha fatto proprio il vezzo più tipico delle classi politiche italiche: l’arte del rinvio.

Volete qualche esempio?

La riforma delle pensioni rinviata al 2027; riduzione del debito pubblico, intesi come vincoli di riduzione della spesa, sempre al 2027; apertura alla concorrenza, tipo gare dei balneari, 2027.

Spero non occorre che vi sottolinei il 27 non è un numero magico, bensì l’anno delle prossime elezioni politiche, alle quali la maggioranza vuole presentarsi senza aver scontentato nessuno.

Contabilità

Buste paga

 

In verità una sola cosa non è stata rinviata, il rinnovo delle concessioni alla distribuzione dell’elettricità, prorogate di 20 anni senza alcuna gara. I concessionari in cambio della proroga pagheranno allo Stato una “una tantum”, ma udite udite, potranno recuperarla dalle bollette pagate da noi comuni mortali (sic!).

Poi vi incazzate perché vi trovate bollette elettriche incomprensibili e nettamente disallineate al rialzo rispetto ai reali consumi! 

Spero vi sia chiaro che attraverso le stesse ci fanno pagare soldi che dovrebbero uscire dalla fiscalità generale (ma tant’è, finché Pantalone paga perché Lor Signori dovrebbero cambiare registro?).

Continuando sul tema dei rinvii, nei giorni scorsi avrete certamente letto che la Cgil aveva contestato all’Inps le simulazioni relative all’aumento di tre mesi dell’età di pensionamento e dei contributi necessari all’accesso alla pensione.

Levata di scudi della politica, indignazione, accuse neanche tanto velate all’Inps (che aveva semplicemente applicato una norma di legge), ed alla fine  l’istituto di Previdenza è stato costretto a fare marcia indietro.

Superfluo rilevare che la punta di diamante della protesta politica è stata la Lega, visto che Salvini dal 2011 è quasi ossessionato dal voler eliminare la Legge Fornero, senza peraltro riuscirci, e credetemi che per quanto sbraiti non ci riuscirà mai, a meno che non gli si consenta di sfasciare definitivamente i conti dello Stato.

E la riprova di ciò sta tutta nelle dichiarazioni di qualche tempo fa del Ministro dell’Economia Giarcarlo Giorgetti, l’unico che non si può permettere voli pindarici perché deve fare quadrare i bilanci senza scassarli, e ad onor del vero fino ad ora ci è riuscito.

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Cosa dice Giorgetti?

“Che il sistema pensionistico non è sostenibile a fronte dell’invecchiamento della popolazione, e che gli interventi sulle pensioni dovranno essere realizzati in un contesto di sostenibilità della finanza pubblica”.

E’ solo buon senso quello del Ministro, perché se ci sono oggi 3 lavoratori ogni 2 pensionati, nel 2050 il rapporto sarà 1 a 1.  Ecco perché, visto l’aumento delle aspettative di vita, l’Istat calcola che nel 2027 si dovrebbe andare in pensione con 67 anni e tre mesi di età, e poi 3 mesi in più ogni 2 anni.

Badate bene che tutto si può fare, anche bloccare questo innalzamento trimestrale, ma per farlo bisogna che lo Stato trovi 2,3 miliardi  in più ogni anno. 

Quello delle pensioni da sempre è un tema piuttosto divisivo da un lato, e molto sentito dai cittadini dall’altro.

E non solo in Italia visto quali difficoltà ha avuto Macron a far passare una riforma del sistema   che prevede l’innalzamento graduale dell’età pensionabile, fra l’altro una riforma molto più blanda della legge Fornero, in quanto prevede che l’età della quiescenza passi da 62 a 64 anni a partire dal 2030.

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 

Logico quindi che i politici si guardino bene dal dire la verità agli italiani, vale a dire quello che il solo Giorgetti si azzarda ad affermare: che il sistema così com’è rischia di non reggere. 

Perché?

La motivazione in sé è addirittura elementare; più si allunga la vita media e più a lungo la gente gode dei trattamenti pensionistici (pensate che ci sono ancora 400mila pensionati baby, quelli che negli anni  fra il 1965 ed il 1990 sono andati in pensione con 14anni 6mesi ed 1 giorno di servizio, ed anche meno in certi casi)

In assenza di qualche correttivo i soldi da destinare al sistema pensioni cresceranno in modo esponenziale, fino al punto dell’insostenibilità (non dimenticate mai che l’Europa, con il 10% della popolazione mondiale, gode del 25% del welfare planetario).

Fino ad ora si sono escogitati due leve per tenere in equilibrio il sistema: i coefficienti che determinano l’ammontare della pensione (il quantum dell’assegno), e i requisiti di anzianità contributiva o di età anagrafica per averne diritto (il quando).

I coefficienti di trasformazione vengono rivisti ogni due anni (e si abbassano con l’aumento dell’aspettativa di vita); e l’età anagrafica richiesta è anch’essa soggetta a revisione periodica (esattamente quello che ha fatto nei giorni scorsi l’Inps aumentandola di tre mesi, salvo poi tornare indietro per le proteste dei politici).

Ricordo che questa “revisione” periodica venne introdotta con il decreto legge n. 78 poi convertito nella legge n. 122/2010 (il primo scatto di tre mesi si materializzò nel 2013).

Conto e carta

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Quando il Governo Conte-Lega introdusse quota 100 di fatto congelò questo adeguamento dei requisiti fino a tutto il 2026.

Così il problema non si è più riproposto negli ultimi anni; ma per il principio che “non esistono pasti gratis”, questa misura non è affatto a costo zero per lo Stato.

E questo i nostri Demostene (almeno quelli che capiscono qualcosa di sistema pensionistici, e credetemi non sono molti) lo sanno bene, eccome se lo sanno; ma si guardano bene dal dirlo, sempre per il timore di diventare impopolari.

Detta papale papale il mancato adeguamento dei requisiti di età anagrafica costa fior di miliardi al bilancio pubblico.

E’ molto probabile che, in linea con la pratica del rinvio, il Governo Meloni decida per un nuovo blocco degli adeguamenti dell’età anagrafica fino al 2027 (il perché ve l’ho già detto prima). 

Certo il Ministro Giorgetti dovrà attrezzarsi per trovare i soldi per le coperture. 

Si farà come sempre; tagliando la rivalutazione all’inflazione delle pensioni sopra i 50mila euro, e magari strizzando ancora un po’ di più i cog……i. ai nababbi che superano i 35mila euro lordi di reddito dichiarato.

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Quelli che non dichiarano nulla, o che evadono bellamente, possono così stare tranquilli che il Governo dei patrioti non li disturberà.

Umberto Baldo





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