La povertà e dunque la scarsità di cibo, una strada che conduce allo spreco. Pare impossibile, eppure il disagio sociale la segna con un solco profondo. Andrea Segrè docente all’Università di Bologna e consigliere speciale del Sindaco di Bologna per le Politiche alimentari urbane e metropolitane è direttore scientifico dell’Osservatorio Waste Watcher International-Campagna Spreco Zero. Insieme a Ilaria Pertot dell’Università di Trento – figura di riferimento internazionale nella ricerca avanzata agroalimentare – ha scritto il libro “La spesa nel carrello degli altri” (Baldini e Castoldi) e, sabato 18 gennaio alle 18 all’Arsenale della Pace in piazza Borgo Dora 61, sarà il relatore di “Liberi dallo spreco”. L’incontro fa parte della sessione 2024/2025 dell’Università del Dialogo, lo spazio di formazione permanente promosso dal Sermig con l’obbiettivo di riflettere sui problemi del nostro tempo in chiave prospettica. Info: 011 4368566 – sermig@sermig.org.
Quanto sono collegati lo spreco e la povertà alimentare?
«Moltissimo. E proprio questa correlazione è stata lo stimolo della ricerca che abbiamo condotto la professoressa Pertot ed io e che sarà oggetto del dibattito al Sermig e che ha ispirato il nostro volume “La spesa nel carrello degli altri”. Sono i più poveri, purtroppo, che sprecano di più e mangiano peggio. Acquistando prodotti di scarsa qualità e quindi più economici il margine di spreco cresce vertiginosamente perché il cibo diventa rifiuto molto più in fretta. La fascia economica dei meno abbienti spreca il 17% in più delle altre fasce sociali e bisogna assolutamente intervenire su questo dato anche perché la scarsa qualità incide sulla dieta e sulla salute delle persone».
L’Italia, tempio del cibo, è un Paese attento alla tutela alimentare?
«Noi in Italia il cibo lo raccontiamo, lo fotografiamo ma alla fine non mangiamo bene e sono i dati sulla salute dei nostri connazionali a dircelo chiaramente. Con un conseguente impatto sui costi sanitari».
La scuola può essere d’aiuto per combattere lo spreco alimentare?
«Sì e infatti bisognerebbe inserire l’educazione e la formazione alimentare fra gli insegnamenti scolastici. Certo da sola la scuola non basta. Complici anche i vari format televisivi sulla cucina e sul cibo ormai siamo molto lontani dall’essenza di quello che è l’alimentazione».
Quali altre azioni si possono mettere in campo?
«Il primo passo è pratico e politico al contempo: riconoscere il diritto al cibo e a un’adeguata alimentazione. Poi è necessario incentivare la filiera corta o gli orti urbani. Bisogna declinare a livello locale quello che è difficile fare a livello internazionale».
In quali parti del mondo si spreca di più e perché?
«Il nostro osservatorio Waste Watcher è internazionale e, quindi facciamo ricerca sugli sprechi non solo in Italia ma anche a livello globale studiando dei Pesi campione. Ad esempio negli Usa lo spreco domestico pro-capite è superiore di due volte a quello italiano o europeo».
La produzione agricola può essere più rispettosa dell’ambiente?
«È un obiettivo di tutti Paesi che hanno a cuore le risorse neutrali. L’unica strada è la ricerca perché non esiste una ricetta universale e durevole. Basta pensare ai disastri ambientali per capire che le risposte per produrre meglio vanno continuamente aggiornate e solo la ricerca può farlo».
La strada migliore è quella di ridurre i consumi?
«Noi dovremmo avere ciò che ci serve. Né di più, né di meno. Abbiamo creato un mondo in cui l’eccesso è la norma. E l’eccesso porta inequivocabilmente allo spreco. E poi la strada non è solo ridurre ma anche migliorare i consumi».
Le eccedenze alimentari oggi vengono perse o riutilizzate?
«Molte eccedenze vengono recuperate a fini caritativi. Ma il problema è a monte: bisogna evitare di avere eccedenze. Non si può costruire il sistema sulle eccedenze perché tanto le recuperi poi a fini benefici. Risparmiando sulla filiera si possono garantire prodotti di qualità per tutte le fasce sociali».
È utopistico pensare di raggiungere lo “spreco zero”?
«No. È un obiettivo raggiungibile e che abbiamo il dovere di raggiungere. L’agenda Onu prevede di ridurlo del 50%. Con dati alla mano, posso affermare con certezza che si può fare molto di meglio.
Cosa è lo sprecometro?
«È un’applicazione che che ti dà la misura immediata delle conseguenze dello spreco domestico. Se gettiamo via 100 grammi di formaggio, perché lo abbiamo lasciato ammuffire in frigo, sappiamo subito quanti euro abbiamo buttato nella spazzatura, quanta acqua è stata sperperata e CO₂ generata, in km percorsi da un’auto».
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