La ristorazione della Calabria è un’eccellenza notevole che potrebbe essere il valore aggiunto per attrarre turisti da tutti il mondo. Non è il solito panegirico della ‘ndujia perché il parere non è nostro ma proviene da un’autorità in materia. Opinione di Pina Belfiore, per vent’anni ispettrice della Guida Michelin in America e oggi “guru” della gastronomia a New York, la capitale del mondo.
La Belfiore, dal 2004 senior ispettrice per la guida Michelin (Nord-America), antropologa culturale e ora consulente e mentore nel campo della ristorazione, ha dichiarato la sua entusiastica ammirazione per la cucina calabrese, in un’intervista esclusiva al Gambero Rosso curata da Liliana Rosano.
Belfiore non è calabrese ma di origini siciliane quindi il suo giudizio non risente di nostalgia. L’antropologa gourmet ritiene «la Calabria, un vero e proprio gioiello». Non facile spiegare i motivi in dettaglio ma questa la risposta di Belfiore: «È difficile spiegare cosa mi accade quando assaggio alcuni piatti preparati con vera arte, un’arte che nasce da millenni, dalla storia dei contadini ma anche dalla cura e dall’orgoglio». Bene pane, sottaceti, l’olio, i tuberi, i formaggi, la selvaggina con attenzione particolare al cinghiale che abbiamo, come è noto, anche necessità di abbattere per salvare le colture dei contadini. Non va bene, a quanto pare, con i frutti di mare «i meno impressionanti», ma per tutto il resto «è incredibile».
Valutazioni del genere non sono nuovi. Nel 2017 il New York Times pose la Calabria al 37simo posto su 50 nella sua annuale classifica sui luoghi imperdibili da visitare. Le autorità furono orgogliose del risultato, si organizzarono due trasmissioni televisive negli Usa ma nessuno ci ha mai comunicato quella piccola campagna lillipuziana che risultati abbia prodotto. Temo che anche l’endorsment Belfiore produrrà ben poco, tranne una breve sbornia in chi l’apprende. Faccio notare che in molti B&B e hotel calabresi a colazione trovi burro delle Alpi invece che burrini silani mentre a Matera si offre pane locale con pomodoro e olio. Si chiama filiera. E nei nostri paesi puoi anche trovare una festa della birra che scimmiotta le usanze bavaresi. Forse dalla Belfiore noi calabresi dovremmo prendere miglior suggerimento su quella capacità di cura che è il nostro cibo, e più orgoglio verso i nostri prodotti poveri fossero una “chiampara” o un boccaccio di olive schiacciate sott’olio.
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È morto Oliviero Toscani, breve riflessione sul suo rapporto con la Calabria. Gli episodi scomodi sono stati raccontati. In particolare, un processo perso per diffamazione nei confronti di un giovane che a Vibo Valentia si vide negare un selfie come potenziale ‘ndranghetista. Rubricherei questo episodio alle scomodità irruenti di Toscani che avendo denaro in abbondanza poteva permettersi di essere molto politicamente scorretto. Quando Vittorio Sgarbi lo chiamò assessore alla creatività nel comune di Salemi dopo un anno Toscani se la prese “con la mala abitudine, il malcostume, il fatalismo, la rassegnazione, la mancanza di energia e di coraggio» dei siciliani. Niente di antimeridionale perché tempo dopo, non ha mancato neanche di insultare i veneti, “un popolo di ubriaconi e alcolizzati atavici: i nonni, i padri, le madri”. Il fotografo aveva questo difetto. Un Caravaggio della pubblicità che invece di avere il torto della spada aveva quello dell’insulto al pubblico.
Ben più attuale l’altra vicenda calabrese. Quella della campagna pubblicitaria voluta da Agazio Loiero per promuovere la Calabria nelle circostanze del delitto Fortugno. Vennero investiti diversi milioni, i contenuti erano molto alla Toscani. Gruppi di giovani calabresi con candidi vestiti con claim del tipo “Malavitosi? Sì, siamo calabresi” e l’auspicio che gli ultimi (noi) saremmo diventati i primi. La campagna non bucò. Di memorabile (si fa per dire) rimase una sorta di uno contro tutti ad Arcavacata di Toscani contro docenti e studenti di Scienze della comunicazione. Il claim di successo di quella stagione in effetti fu quel “E ora ammazzateci tutti” uscito in maniera spontanea dai “ragazzi di Locri”, protagonisti di quella stagione antimafia calabrese e che bucarono la parete con vittimismo gandhiano. Dovremmo capire e analizzare perché Toscani che ha rovesciato grandi luoghi comuni del nostro tempo come il razzismo non ci sia riuscito con la Calabria. La colpa non fu di Agazio Loiero che ha avuto il merito di averci provato, come ci provò con il corto di Wenders a Riace. Le colpe, se di colpe si tratta, furono collettive. Purtroppo, molto simili a quelle del nostro presente. Sembra facile raccontare la Calabria e smontare i luoghi comuni sui calabresi, purtroppo così non è. Neanche Oliviero Toscani ci è riuscito.
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È stata anche la settimana di Franco Piperno, uno che sulla Calabria ha dato pensieri meridiani molto originali smontando molti luoghi comuni. Il fisico rivoluzionario è stato ieri commemorato nell’Università di Arcavacata, dipartimento di Fisica dove ha insegnato. I meriti scientifici e politici sono noti. Devo purtroppo registrare che il sindaco socialista di Cosenza, Franz Caruso, non ha avvertito la sensibilità di celebrare uno dei più importanti assessori della municipalità di Cosenza a Palazzo dei Bruzi. Ricordo che Piperno in un’intervista alla rivista di urbanistica “Made”, sul rapporto tra scienza e territorio, diceva nel 2001: “Rende è troppo piccola ed ha una storia troppo esigua per reggere il peso dell’Università della Calabria. Il rapporto più vero e intimo è con Cosenza”. Caruso ha fatto sapere che c’è un regolamento che consente di ricordare in Comune solo chi è stato sindaco. Non è così. Mancini fece ricordare a Palazzo comunale con cerimonia pubblica Riccardo Misasi che non era mai stato sindaco e così Luigi Gullo. Eva Catizone sindaco commemorò il consigliere comunale Petrozza. E allora? Caruso ha dettato una dichiarazione di cordoglio con una foto sua con Piperno in riferimento al Planetario. Era quella una visita del fisico al sindaco per chiedere interventi di risoluzione per una questione che marchia Cosenza al pari di Agrigento capitale della cultura con la pioggia nel teatro Pirandello.
Chi ha meriti sul Planetario è Mario Occhiuto che decise di completare il progetto di Mancini collaborando con Piperno. Oggi il Planetario è un luogo di cui i cosentini si devono vergognare. Attrezzature preziose distrutte dai vandali per incuria manifesta, spazzature e rovi nel sito simbolico che con il ponte di Calatrava doveva dare nuova potenza alla città. Più di una commemorazione negata è questo il vero oltraggio a quello che ha insegnato a tutti Franco Piperno. Franz Caruso somma questa nuova perla alla già tragicomica vicenda della statua di Mancini (oggi ci sarà un flash mob di chi si oppone allo sfratto). Forse aveva ragione Andreotti a sostenere che a pensar male ci si azzecca. Quel pensare che ti fa ritenere che memoria e presente di Franco Piperno e Giacomo Mancini a Franz Caruso non siano per nulla graditi. Meglio oscurarli. Se è così non credo ci riuscirà. (redazione@corrierecal.it)
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